Vi avverto, questo è un articolo in cui non vale la tesi mistica che prima era meglio e ora è peggio. Prima era prima e ora è ora. E riguardo il metal potrei dirvi che prima era in un modo (e c’era del buono e del meno buono) e ora è in un altro modo, perché il tempo passa, le cose cambiano ma ci sono comunque aspetti positivi e negativi in ogni cosa finché è viva. Non significa che tutto sia sempre uguale e non esistano peggioramenti. Anzi, tutto cambia e come diceva Eraclito, non potremmo mai entrare nello stesso fiume.
Una cosa che cambia, in peggio, è la salute di noi tutti, per esempio. Invecchiamo e degeneriamo, questo finisce per falsare la percezione che abbiamo del mondo. Iniziamo a dirci che è sempre più brutto, sempre più ingiusto e che almeno, una volta, ai miei tempi… e si tratta di una lurida trappola. Il mondo era uno schifo anche quando avevamo quindici anni. La memoria ci fotte e lo fa per una questione psicologica ben precisa… che ignoro quale sia ma deve esserci, cazzo.
Pensiamo che allora, ai tempi andati, esisteva un metal migliore di oggi ma è solo perché in quegli anni il nostro cazzo si alzava con noi tutte le mattine, mentre ora preferisce starsene altre quattro o cinque ore a poltrire nella sua alcova. Qualche differenza c’è, quindi, ed è nelle nostre mutande.
Ci sono comunque elementi oggettivi che dimostrano quanto il metal sia diverso. Se peggiore o migliore, beh, questo sta al gusto di chi scrive e di chi legge e potremmo discuterne fino alla morte dei tempi. Non mi riferisco a fattori abituali come la mancanza del pubblico entusiasta degli anni 80. Questo non può dimostrare che oggi il metal non sia vivo e cazzuto più che mai.
Però ci sono delle tecnologie nuove che ci hanno cambiato e hanno cambiato anche il metal. Tutto cambia. Tutti cambiamo, questo vorrei dirvi. Non è solo il metal a cambiare ma anche noi. Non esiste che noi siamo sempre noi e il mondo gira sempre più all’impazzata, capite? Siamo noi che ne percepiamo la pazzia, più cresciamo e più ci si rivela!
Le tecnologie moderne hanno migliorato alcuni aspetti della nostra vita, peggiorandone altri. Siamo sempre lì, alla coperta troppo corta ma cosa volete farci? Io però ho individuato i fattori che, in modo sorprendente non vengono mai troppo notati, ogni volta che si discute sulle cause alla base del “declino” del metal.
Tutti focalizziamo l’attenzione sul mercato discografico collassato dopo Napster. Per carità, è anche quello. Ovviamente ha causato una prima novità terribile: la mancanza di soldi. Non che prima ce ne fossero tanti nel giro metal, però almeno per fare i dischi sì. La tecnologia è venuta in soccorso da subito è oggi permette dei costi talmente bassi per la realizzazione di un album, che si può farlo anche se poi non ci si ricava granché vendendolo a pochi eletti.
I lati negativi sono 1 – che non si possono più fare le cose alla vecchia maniera, ovvero usando tecniche analogiche reputate la base della qualità audio dei vecchi lavori, e soprattutto non si può coinvolgere i geni dell’ingegneria sonora e della produzione, che erano davvero ciò che garantiva una differenza rispetto al fai da te delle band oggi.
Queste figure, il producer e l’ingegnere, ovvero chi indica la direzione giusta e chi crea il suono per farci arrivare il disco, stanno scomparendo. La triste verità è che se il mercato non legittima l’esistenza di una figura creativa, questa dopo un po’ muore.
I poeti non esistono più. So cosa dite: ne conoscete tanti tra i vostri contatti su facebook, ma io voglio dire gente che pubblica libri di versi, riempie i locali leggendo i propri componimenti ad alta voce e ispira le nazioni. Cose così. Come non esiste più l’arrotino (Grinder) o il maniscalco per noi cavalli (Master Of Steel). Solo il giornalista metal esiste ancora. Non ci ha mai fatto una lira nessuno a scrivere di Iron Maiden, eppure eccoci qui: siamo il mistero tra il cervo volante e la sua stessa anatomia che gli impedirebbe di volare.
I 4 fattori
1 – Le social band
Il metal è diverso in parte perché sono diverse le persone nate nel 2001 e che oggi rappresentano la carne fresca del genere.
Chi è cresciuto in un mondo di social e digitalizzazione, ha subito un cambiamento di cervello, è provato.
Non solo chi è cresciuto ma anche chi si è ritrovato su facebook nel mezzo del cammin di sua vita. Tutti subiscono questo cambiamento.
Se un pischellone fa thrash oggi, lo farà con un cervello diverso da voi e me, cresciuti negli anni 80 e 90. Avete notato che i musicisti sono sempre più multitasking? Hanno più di un gruppo. Spesso raggiungono quantità di progetti da compulsione: “ne ho uno black, uno ambient, uno thrash, uno death e uno folk…”
La grande differenza tra Stefano Giusti (dico un nome a caso della vecchia guardia) e mio nipote Lorenzo è probabilmente una sola: il ragazzo usa le nuove tecnologie midi per incidere brani e studia assoli su you tube, forma più gruppi facebook che nella vita vera, ma non si domanda cosa ci sia di sbagliato in tutto questo. Lo fa e non si frena. Non ha conflitti. Stefano magari fa le stesse cose di Lorenzo ma si tormenta tutto il tempo dicendosi che sta servendo il male.
Vi ho detto che le novità tecnologiche ci salvano dai vecchi problemi e ci creano nuovi problemi. Questo applicato al metal cosa vuol dire? Esempio: internet è bello perché le persone che vivono a grandi distanze possono conoscersi e incidere dischi senza muoversi da casa propria. Straordinario no? Eppure questa cosa sta praticamente impedendo l’esistenza dei nuovi Black Sabbath.
I Black Sabbath erano tutti della stessa città e non si amavano molto, anzi, Ozzy e Iommi si detestavano proprio. A scuola il secondo pestava il primo. Non giudicate Tony, anche voi avreste preso a calci il giovane Osbourne, era insopportabile, cazzo!
I quattro ragazzoni di Birmingham però capirono che se volevano una band dovevano accettarsi tra loro. Lasciamo stare che erano tutti dei grandi destinati a realizzare grandi cose. Non lo sapevano. Di meglio non erano riusciti a trovare intorno a casa e dovettero accontentarsi, farsi andar bene l’un l’altro. Fosse successo oggi, ai tempi di internet, probabilmente il giovane Tony avrebbe 30 progetti da condividere dalla cameretta con decine di artisti in giro per il mondo e Ozzy non se lo cagherebbe di striscio neanche a pagarlo.
Il punto è che qualsiasi gruppo, tranne i Led Zeppelin, appena si è trovato nella stessa stanza, non si è esaltato per la famosa “magia” che pervadeva l’aria. Si è esaltato perché prima di trovare qualcuno decente con cui finire una canzone senza sbagli di tempo e cagate varie, deve averne passate di tutti i colori.
Quindi trovare un batterista preciso, un cantante che non stoni e un chitarrista con un buon bagaglio tecnico deve aver sparato dei musicisti frustrati verso un picco di dopamina che, davanti a qualcuno accettabile, gli deve aver fatto mettere da parte i dettagli poco gradevoli (tipo che il chitarrista non apprezzava il cantante, vedi Van Halen, o il chitarrista accettava il batterista pur considerandolo un coglione e viceversa (Metallica con Mustaine).
Ora non è più necessario questo genere di sacrificio. Se uno non ti piace lo banni. Anzi, che dico i Led Zeppelin… ? Persino loro hanno dovuto mandar giù di rospi in nome dell’arte. Page non amava il modo di cantare di Plant. Non lo capiva per niente. Però quando riesci a trovare altri tre elementi decenti, te li tieni stretti e provi a far funzionare le cose.
La “magia” che si racconta nelle biografie revisioniste è frutto di mesi e mesi di durissimo lavoro in saletta, che è un po’ come vedere quattro carcerati che sopportano le rispettive puzze e cazzate mentre a turno, con un cucchiaio si scavano una via di fuga dalla galera in cui sono cresciuti. Questo è un gruppo che ci crede, all’inizio della carriera.
Ora no. Cerchi quello che ti va proprio a genio, in modo estremamente selettivo. Anche nei rapporti di coppia, con Tinder e simili funziona allo stesso modo. Se avete bisogno di un chitarrista e non sapete dove sbattere la testa, eccovi l’app giusta. Se necessario pagate un turnista e ve ne sbattete. Tanto ci sono fior di batteristi che, per cento euro al pezzo vi suonano tutto un disco.
Anche prima c’erano nomadismi necessari per la nascita delle band. C’erano queste formazioni sparse di stato in stato, in America. I Fates Warning di inizio anni 90 erano già lontani da uno stato all’altro e si trovavano solo determinati periodi dell’anno a provare insieme. Il resto era un mandarsi fax, cassette registrate per posta celere e telefonate infinite.
I Repulsion andarono in Florida e vissero per un po’ lì, sgobbando in lavori di merda, nel tentativo di mantenersi un alloggio e fare una band con Chuck dei Mantas. Le cose non funzionarono e loro tornarono a casa. Schuldiner si trasferì per un po’ in Canada nel tentativo di suonare con gli Slaughter. Poi tornò a casa con le palle sotto i calcagni. Questa però era gente che stava fuori di testa. Erano sognatori, folli. Per loro l’arte valeva qualsiasi sacrificio.
Oggi le persone sono più ciniche e demotivate. Non si guadagna con la musica e non vale la pena spendere soldi e trasferirsi in un altro paese. Chuck era così sicuro del successo che quando uscì Scream Bloody Gore che assediava l’ufficio della Combat Records chiedendo i milioni che secondo lui i discografici stavano incassando alla faccia sua, in conseguenza delle vendite “stratosferiche” del suo disco. E l’etichetta, secondo lui, si guardava bene dall’ammetterlo. Vi rendete conto?
Oggi nessuno si aspetta più dei soldi dal metal. Lo fa per amore e si guarda bene dal rovinarsi la vita per esso. E internet gli permette di farlo senza muoversi da casa e sganciare nulla o quasi. Oggi la rete permette davvero a voi di contattare un bassista americano, spedirgli le sue parti, fargliele incidere e riavere indietro il tutto. E non è la stessa cosa di quello che successe tra Napalm Death e Jesse Pintado.
Questo vuol dire solo una cosa: fisicamente non c’è quasi più una band che suda per giorni, mesi e anni in una fottuta sala prove. Ed è uno dei motivi per cui i dischi oggi suonano in maniera più precisa (grazie alla mano santa dei programmi di registrazione) ma quasi disumana.
2 – Q-base & co.
Secondo fattore: come si compongono oggi i pezzi? Una volta le band non conoscevano la teoria musicale. Quasi nessuno ne sapeva una ceppa. Nei Metallica c’era Cliff Burton che aveva un’idea di cosa significasse armonizzare e comporre in modo teorico e grazie a lui i brani della band raggiunsero quello spessore corale che sentite nelle chitarre in doppio e multiplo controcanto.
Nei Led Zeppelin solo Page aveva una formazione classica e grazie a lui, è teoria comune che tutti e quattro quei mostri abbiano potuto fondersi in modo così solido e incredibile. Torniamo lì: la “magia” è frutto della conoscienza e del sacrificio.
Ora non sto discutendo se la teoria migliori o meno una band. Sicuramente sì. E al tempo tutti avevano uno che ci metteva una pezza. Spesso era un produttore (Bob Ezrin, per dirne uno).
Grazie alle orchestrazioni vere e le armonizzazioni ragionate in modo geniale (del tipo mettere violini e flauti sotto le chitarre, per capirci) si riusciva a definire un suono tondo e sfaccettato, ma ci pensavano i producer e gli ingegneri, per lo più a queste “magie”.
Oggi la gente è ignorante quanto allora se non di più. I produttori non sanno leggere quasi un pentagramma, però si intendono molto di software e bug, e soprattutto fanno miracoli con i programmi in midi. Con quelli è possibile scrivere tutte le tablature di ogni singola nota senza neanche saper suonare uno strumento.
Una volta stavo in una band in cui il cantante, che non era in grado di tenere in mano una chitarra, si presentava in saletta con questi cd pieni di sue composizioni orchestrali in midi. Pretendeva che le suonassimo ma per lo più erano cose anatomicamente impossibili. Uno Steve Harris però oggi può mettersi lì e stabilire quanti colpi di rullante e di piatti debba fare il batterista su un passaggio. Li definisce col midi e poi lo invia al pc degli altri membri della band. E se è un maniaco del controllo come l’originale, il batterista dovrà ubbidire.
Negli anni 80 ci si presentava in saletta, si faceva sentire un riff, magari un giro d’accordi con una stentata melodia in naa naaa naaah e poi tutti insieme si provava a dare un senso alla cosa, ognuno badando al proprio strumento e usando un registratorino. Oggi c’è un solo compositore ignorante che sa usare bene un programmino al pc. Lo spedisce agli altri che devono eseguire le proprie “partiture” e portarle in sala d’incisione il giorno tot.
Dubito che Jeff Waters usi un metodo diverso da questo con i suoi Annihilator. Prima la vera “magia” di un pezzo veniva fuori dallo scazzo del bassista e il chitarrista, che non si trovavano d’accordo su un passaggio di batteria. Ci si addannavano per tutto un giorno, tra insulti e urla di frustrazione, finché alla fine, come le doglie prima del parto, si finiva per dare alla luce un pezzo frutto dello scontro tra più menti. Per creare qualcosa di vivo, bisogna essere in due.
Ovviamente non parlo di Bach: lui creava solo con Dio. Ma penso ai tanti gruppi rock e metal che negli anni 60-90 hanno creato mondi partendo da una saletta, una convivenza forzata, qualche idea smozzicata e tanta frustrazione.
Persino Frank Zappa ha iniziato a morire a livello rock quando ha chiuso fuori dalla vita tutti quegli strepitosi turnisti e si è messo a comporre col Synclavier. Lui però era sempre stato un direttore d’orchestra e non il leader di una band. Invece, quattro o più sensibilità diverse che singolarmente non valgono molto, tese a raggiungere un punto d’incontro nella metropoli della creatività, possono fare miracoli di rock e metal, se stanno uniti. Ecco cosa non c’è più oggi, la chimica di più corpi e teste. I dischi sono proiezioni softwarizzate dello sperma creativo di uno. Sono pippe che ci spacciano per miracoli di partenogenesi.
E ovviamente, il millennial manco sa di cosa parlo, mentre il vecchio brontolone che è cresciuto al tempo in cui per far capire un riff bisognava smadonnare un giorno e mezzo, oggi dice: “vero, ma meglio ora, almeno gli altri hanno chiaro cosa ho in testa di fare io”. Ma un gruppo non funziona mica così. Persino gli Who non funzionavano così.
3 – Cosplaying metal
Avete presente le foto dei gruppi italiani degli anni 80? C’era chi aveva il chiodo, chi si vestiva come i Priest, chi era tipo i ragazzi del muretto e chi avava un look da contadino, tutti nella stessa band, tutti nello stesso scatto. Ovviamente quei tipi non avevano la possibilità di vestire davvero come desideravano. E vale a dire come vedevano le band sui poster o nelle foto sulle riviste. Ma nemmeno i primi Metallica ci riuscivano: pensate alla storia del teschio d’argento e gli occhi rossi che si passavano a turno Hetfield e Mustaine tra un concerto e l’altro?
Sapete, io nel 1992 quanto ho patito prima di trovare un paio di jeans elasticizzati alla Chuck Billy? Me ne andavo per negozi di abbigliamento con Metal Shock sotto il braccio, mostravo la foto e tutte le commesse e queste mi rispondevano: “ah, ma sono da donna. Sicuro di voler andare in giro con dei vestiti da femmina?”
Non erano da donna, erano da thrash metal! Sicuramente c’erano tanti negozi nelle grandi città dove avrei trovato ciò che volevo. Vedevo che gli Extrema ce li avevano quei calzoni. Mi sarei vestito anche io come loro, se fossero esistiti Amazon o Ebay. Avrei portato in classe il look di Steve Harris sulla foto di Powerslave o di Mustaine su quella di Rust In Peace, se fosse esistito il catalogo EMP.
Ed è quello che accade oggi. Un ragazzino compra i vestiti come gli Exodus del mio tempo. Ricrea in puro stile cosplay (fenomeno recente, almeno in Occidente) tutto, dagli abiti al suono. Si ordina la chitarra come Gary Holt in Bonded By Blood e si portano i capelli lunghi con la frangetta. L’avremmo fatto anche negli anni 80 e 90 ma era impossibile. E si usava ciò che si trovava. Magari creandosi accidentalmente un look personale.
Negli anni 90 dalle mie parti c’era un chitarrista molto bravo che si ispirava a Malmsteen; anche fisicamente. Andava dal sarto con le foto e si faceva cucire i vestiti come lo svedese. Era uno con un sacco di soldi e poteva permetterselo. Altri usavano i vestiti anni 80 che la madre non riusciva più a mettere. Ora una band metal può davvero imitare il look e l’attitudine di tanta gente in modo perfetto, perché il materiale da studiare è vastissimo e facile da reperire ma finisce per non lasciare spazio all’improvvisazione. Ed è da quella zona grigia del vorrei ma non posso che nascevi TU!
Biff Byford nei primi anni di carriera provava a fare il verso a Glenn Hughes. Lo emulava, ma non poteva rigirarsi davanti agli occhi decine di filmati su di lui e quindi catturava sommariamente le mosse, a orecchio sbertucciava i falsetti e si sentiva sicuro così finché non capì che era la parte più ridicola delle sue performance. Così decise di tenere il resto e sostituire quella parte da scimmia con qualcosa di più originale. Non sarebbe mai capitata una cosa come i baffi impomatati di Jonathan Nordwall, al tempo. Lui vorrebbe fare il verso a una moda decaduta presto dei mustacchi metallici, ma sembra che abbia raccolto una merda di cane e se la sia piazzata sotto il naso. Il discorso c’entra poco ma avevo bisogno di dirvi questa cosa. Che cazzo di baffi!
Non sto criticando questa tendenza all’imitazione, è normale che si inizi scimmiottando qualcuno. Ogni bambino cresce grazie alla capacità di emulare gli altri. Però Biff, per quanto potesse ripetere ciò che il cervello gli aveva permesso di registrare dagli spettacoli di Hughes, doveva accontentarsi di un’infarinata e il resto mettercelo da solo. Le cose andarono peggio quando, soldi e possibilità maggiori lo spinsero a fare il verso a David Lee Roth. Lì gli abiti erano quelli giusti e le mossette pure, ma non c’è niente di peggio di uno con stile che finisce per copiare uno con un altro stile.
Voglio dire che si imitava anche prima, ma era impossibile riprodurre i modelli presi in considerazione. Questi riducevano il pericolo cosplaying e spingevano a colmare il gap con la propria merda, la propria personalità, il proprio fottuto estro. Se c’era.
Per dire, nella mia mente ho fantasticato su come potessero muoversi e agitarsi i Dokken tra un pezzo e l’altro ma solo nel 2007 sono riuscito a vedermi i loro clip d’epoca su You Tube… e fu un trauma! Oggi se un vent’enne con una buona voce volesse ricreare l’attitudine di Don Dokken su un palco potrebbe studiarselo al dettaglio e farsi spedire dall’America un bel giaccone di pelle con le frange, il cappello da cowboy e gli spandex leopardati. Andrebbe dalla parrucchiera con foto e contro-foto del vecchio Don e il gioco sarebbe fatto. Avremmo un sosia. Ma non un musicista con qualcosa da dire.
Oggi quanto stile vedete in giro? E quante riproduzioni? Quanta magia percepite nei dischi e quanta meccanicità? Dai nuovi album nascerà sempre meno vita poiché la creatività di oggi, basata sull’autarchia e sulla tecnologia emulativa, crea campi di sterilità su cui è impossibile seminare e in futuro raccogliere.
4 – La micro-settorialità
Quarto fattore. Sapete, non è un caso che si sia passati dal rifiuto polemico delle etichette degli anni 90, quando band contestavano persino la definizione “metal”, a questa tendenza attuale ad abbracciare con voluttà marchi privi di senso come death-doom, power-speed, southern-groove; addirittura i gruppi aiutano i giornalisti a creare nuove etichette.
Se esistesse un negozio di dischi (ce ne sono ancora, ma appaiono e scompaiono come il bazar di Safarà) il reparto metal sembrerebbe sempre più uno scaffale di cibo in scatola al supermercato. “Il pirate metal mettilo vicino al power teutonico. Il power americano lo trova sotto il tecno-thrash-speed”. “Prego, giornalista, noi facciamo Viking Wildest Metal!”
La realtà è che ormai tutto si è spappolato in duemila nicchie della minchia, ma c’è un motivo. Ora si può attingere alle più misconosciute correnti del rock. Qualsiasi album è rintracciabile e scaricabile. Chiunque ha maturato questa corrente hipster di farsi una micro-cultura in una cultura macro.
Molti artisti si specializzano in un sottofilone, ascoltano e riproducono solo quello. Il bello è che il metal era già una micro-cultura, quindi andare in fissa con il folk metal è un po’ come sapere tutto dei fagioli e mangiare solo quelli, mentre prima si pappavano tutti i legumi e basta. L’apparato digerente va in merda, ma il mondo dei legumi è così vasto e informe che fa tanta paura. Meglio i fagioli classici: solidi, dignitosamente borolotti, sempre coerenti con se stessi!
C’è chi si lega allo speed-thrash 85-89 e chi si focalizza sul doom-death 91-94. Tantissime band prendono un pelo del culo di Dave Mustaine e ci costruiscono la propria casa. Tutto questo ha finito per spingere i gruppi a scindere il metal in tante puzzette.
Pensate a un cuoco sapiente che accoltella una cipolla. La taglia e poi la ritaglia fino a farne tanti pezzettini ini ini. Ecco il metal degli ultimi vent’anni. Prima la cipolla metal veniva sfogliata e ora triturata a lama. Capite perché i metallari hanno un debole per gli spot dello chef Tony?
La tendenza c’è sempre stata. Ricordate le dispute tra thrasher e glamster? E prima ancora tra punk e metal? Per fortuna esistevano gli Slayer e i Maiden che mettevano tutti d’accordo. Oggi se si presentano dei gruppi che provano a unire mondi diversi finiscono per prendere pigne da una parte e dall’altra: Avenged Sevenfold, per dire la prima band che è praticamente odiata all’unanimità.
Anche al loro stesso interno le band si scindono. Fateci caso. Tempo fa c’erano due cantanti in una band. Sembrava una cosa modereccia ma era un sintomo ben più preoccupante. C’era il cantante con la voce in growl e quello con la voce pulita. C’era l’angioletto buono e il diavolo pestifero. Il malinconico nerd e il gangstarapper con la raucedine. Una volta avevamo Nick Holmes e ci esaltava il suo continuo passaggio dal gutturale al melodico, ricordate? Dai primi duemila è arrivato lo sdoppiamento.
Anche i nuovi sottogeneri che fondono più elementi non finiscono per creare una formula nuova ma producono un effetto tipo olio e acqua. C’è il momento folk, il momento death e il momento thrash. Tranne gli Skindread, oggi non mi sembra di sentire altro.
Non c’è un attimo in cui si uniscono generi o sottogeneri differenti in un unico urlo possente. Ovviamente tutto il mondo è così, non solo il metal. Siamo pieni di emozioni in cui ci identifichiamo e finiamo per essere tanti uomini quante sono quelle emozioni. E finiamo per essere tanti musicisti quanti sono gli elementi che formano il genere che abbiamo deciso di bazzicare.