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Great Master – Dove l’epic/power metal naviga a vele spiegate!

Lo ammetto, non conoscevo questa band. La storia è andata più o meno così: Mi arriva questa richiesta di recensire una band italiana dopo un mio “sagace” commento sotto un post “anti-power metal” e io penso: “Ah! Facile facile!! Con tutta la mxxxa che esce chissà quale ciofeca mi toccherà!” E invece…

Non pensiate però, come ho fatto io, che questi musicisti siano dei pischelli. E’ tutta gente che, a vederla, ha una quarantina d’anni o anche di più (mò m’ammazzano!) e che quindi hanno un background d’attività di un certo livello. Mi sono smazzato a scoprire qualcosa di loro e salta fuori che la band venne fondata nel 1993 a Venezia e che un loro vecchio album si intitola Serenissima. Che originalità eh?! Ma è pur vero che Venezia era una delle più ricche e potenti tra le repubbliche marinare e allora come non tributare il passato della città che ha dato i natali ai sei “loschi” figuri?

Tra una serie di fermi forzati, rimpasti di line up – il nuovo cantante Stefano Sbrignadello, che sostituisce Max Bastasi, ha i numeri del grande singer e si sente che è uno che ha studiato – e rinascite improvvise il galeone della copertina ce li riporta belli pimpanti ed ehm… arrembanti.

Ed è la copertina, per quel che mi riguarda, il migliore biglietto da visita perché per un vecchio sclerotico  come il sottoscritto non potevo evitare il paragone con The wake of Magellan dei mai troppo rimpianti Savatage. Ma con delle enormi differenze estetiche e simboliche. Se il vascello fantasma dei ‘ Tage era tutto uno scafo mezzo sfasciato e in balia del maltempo a rappresentare, forse, le vicissitudini sfortunate della band, qui il naviglio è pimpante e viaggia con il vento in poppa.

L’artwork ha quella fascinazione d’altri tempi che a me piace tanto. Infatti scopro essere un dipinto di tal James Gale Tyler (1855). Dipinto che viene reso “atto alla bisogna” dalla Jahn Vision Art. Che strano: anche il mastermind della band si chiama Jahn…  Va beh!

Quisquilie… Fatto sta che vedo una nave, vedo dell’acqua e penso tra me e me: “Vuoi vedere che si tratta di pirate metal?” e subito la mente mi corre ai Running Wild o agli Alestorm. Beh… sono rimasto piacevolmente sorpreso perché di sicuro si possono trovare rimandi musicali a quelle band  ma il tutto è plasmato e mixato con una buona dose di personalità e una quasi totale assenza di pacchianeria! Si: gli  Alestorm sono pacchiani perché divertenti e viceversa ma a me dopo un po’ stancano.

Dei Running Wild oso dire…

oso dire che….

Non dico nulla và! Rock and Rolf è intoccabile!

I Great Master non nascondono il fatto che le tematiche del disco si riferiscano proprio a quelle figure leggendarie narrate in polverosi libri di avventure nel mar dei Sargassi o che abbiano ascoltato in loop Black Hand Inn. Con questo non sto dicendo che il disco sia una fotocopia di quell’album. Anche perché la band si concentra su mid tempo e quindi il tutto suona più pomposo ed epico.

Ci sento echi dei mai troppo nominati Savatage, soprattutto nell’impostazione vocale, teatrale e “americana”. Eh niente… per me Stex è il valore aggiunto della band senza nulla togliere alla bravura e all’equilibrio degli altri membri. La produzione è una meraviglia grazie alle sapienti mani di Simone Mularoni e i suoi Domination Studio di San Marino, attracco sicuro per tante altre ciurme tipo DGM, Trick or Treat o Dumper.

Tutto suona “Boombastico” come vogliono i tempi ma per nulla artificioso. Ci sono i trigger ai tamburi, probabile Kemper per le chitarre ma chissene quando ti salta fuori un prodotto di tal fatta! Insomma i nostri prodi pigliano il Bucintoro (o un paio di gondole) si fanno la rotta Venezia-Rimini e da lì, in fila indiana, via verso il monte Titano a cercar il tesoro del Capitano Flint!

Si perché le tematiche trattate si ispirano ai racconti del malaticcio scrittore Robert Louis Stevenson; alle sue mappe di isole caraibiche, forzieri nascosti e cospirazioni al lume di candela dentro una bettola fumosa e che sa di rancido.

Quale è la particolarità della storia? Che le suggestioni sono sì  “stevensoniane” ma le vicende narrate sono ambientate 20 anni prima dei fatti de L’isola del tesoro. C’è quindi anche l’influsso, e non poteva essere diversamente, della serie tv Black Sails del 2014 dove apparivano tutti insieme il Capitano James Flint, Billy Bones e il cuoco di bordo John Silver.

Altra curiosità “extra Great Master”. L’antefatto all’isola del tesoro venne pubblicato in Inghilterra 125 anni dopo, nel 2008, e scritto da un ex biochimico inglese. Tale John Drake. Parentesi letteraria chiusa ché non frega a nessuno.

Lo sforzo di Jahn Carlini & Co. è stato notevole. Tutto è ben bilanciato e anche le ospitate – nelle figure di Alessia Grasso (clean vocals), Irene Squizzato (Accordion o organetto che dir si voglia) e del bass player Alessandro Jacobi dei già noti Elvenking (Cori e violino) – trovano la perfetta collocazione a impreziosire un piccolo forziere di undici gemme. Ad ascoltare il disco mi sono sentito come Tom Sawyer quando decise di andare a giocare ai pirati con i suoi amici sull’isola al centro del Mississippi.

Quindi si diceva: Epic power metal “piratesco” con predilezione per i mid tempo. Ma, sorpresa sorpresa, ci sono anche notevoli episodi squisitamente power con doppia cassa a manetta e cori esaltanti. Praticamente dalla track sette (The Black Spot) fino alla undici (Skull and Bones) il power più adulto e serioso, nel senso buono, la fa da padrone.

Non sto a elencarvi quello che ho trovato in ogni singola canzone a livello tecnico/musicale. Rischierei di non dire nulla di interessante. Ma posso certamente affermare che l’ascolto del disco mi ha rapito. Mi passavano davanti agli occhi della mente immagini di battaglie navali (War), inseguimenti lungo l’Atlantico tra flotte reali e navi pirata, naufragi e cacce al tesoro (Urca de Lima), soliloqui di condannati che aspettano di penzolare dalla forca (An Hanged Man) o ancora di uomini bramosi di ricchezze che fanno rotta verso ovest (Toward The Sunset).

Non viene dimenticato il vecchio “Long John Silver” omaggiato nella track numero otto. Comunque pure le altre come Shine On (trovate il video lyric su YouTube), le atmosfere battagliere di Over The Seas o la sognante intro Hostis Humani Generis con rumore di onde che si infrangono sulla battigia non sono da buttare via. Tutt’altro!

Insomma. Un bel prodotto con moltissimi highlights. Non avendoli mai potuti vedere/sentire in un qualche concerto non conosco la loro resa live, ma sono convinto che canterei queste canzoni dall’inizio alla fine! Come già detto i cori e le melodie ficcanti si prestano allo scopo in maniera impeccabile!

Questa per me relativamente nuova realtà mi ha ben impressionato e me ne compiaccio considerando lo stato in cui versa il mondo metal anche italiano. Tra vociacce sgraziate stra-abusate, soliti scenari ucronico-apocalittici dove le macchine vincono su tutto e tutti, e un rifiuto della melodia- vista da molti come “una roba da poser un po’ gay”- questo album è una boccata d’ossigeno!

E se proprio volete contrastare i tormentoni estivi che, ne sono certo, arriveranno anche la prossima estate portiamoci in spiaggia la musica dei Great Master e suoniamola a tutto volume. Potrebbe succedere di scorgere, in lontananza, un galeone di filibustieri che solca il mare- anche se è solo l’Adriatico – e le sculettanti fans del latino-americano accorgersi che i pirati sono meglio dei “bauscia” simil cubani!