Stavo cercando di capire che fine avessero fatto certe band del recente passato, quelle che mi hanno gasato parecchio alla fine degli anni Novanta. Partendo dal fatto che qualsiasi genere, o sottogenere di metal si suoni, oggi ha poco senso registrarlo, farne un disco e pubblicarlo, nel caso si faccia (ancora…) nu metal o groove metal come gli SKINLAB, ha ancora meno senso pubblicare un’uscita nel 2019.
Invece a fine Ottobre Steev Esquivel e la sua combriccola hanno fatto le cose in grande con l’uscita di Venomous, quinto album della band di San Francisco uscito per Art Is War records.
Si sono affidati a Ulrich Wild per la registrazione e la produzione, uno che ha inciso i capolavori dei Deftones, ha fatto l’ingegnere del suono ai Pantera e a una sfilza di nomi memorabili, tra cui Otep, Prong, Incubus, Static X. Insomma, questi Skinlab hanno ancora voglia di far le cose a modo. Non è che hanno consegnato ai posteri una scazzottata di note e percussioni, urla e sputi, dopo una pizza insieme, tanto per ricordare i vecchi tempi…
A tal proposito hanno richiamato in formazione l’ex chitarrista Snake (forse anche solo perché sa usare un computer per le pre-produzioni o forse perché porta la gangia alle prove) e han buttato fuori della musica tostissima, energica, pregna di ignoranza.
Tre quarti d’ora tra hardcore, chitarrone pesanti e ritmiche coinvolgenti. Zero elettronica, pianole moderne o ammiccamenti a tutto ciò che è “post”. Un album stilisticamente perfetto: nu metal old style (si, vabbè, suona paradossale, lo so)
I suoni in generale si avvicinano molto a Roots dei Sepultura e anche alcuni brani propongono soluzioni già esibite dai brasiliani ai tempi in cui i Cavalera’s abbandonarono il thrash metal. Gli Skinlab hanno scelto le carte buone dal mazzo dei maestri, anche se loro magistrali non sono mai riusciti a esserlo. Vantano un padrino come Robb Flynn dei Machine Head, che li ha aiutati molto agli esordi, ma non hanno mai scritto una pagina importante in ambito heavy.
Non c’era questo gran bisogno che gli Skinlab tornassero e forse lo sapevano anche loro. Ma è anche per questo che è uscito qualcosa di genuino, vero e sentito. L’hanno fatto per se stessi, perché c’avevano voglia. Punto. Intendiamoci, a 50 anni Esquivel non credo abbia avuto addosso delle pressioni editoriali da etichette discografiche o schiere di fan da sfamare con del nuovo materiale: ha fatto semplicemente quello che gli piace e che sa fare meglio.
Anch’io seguirò il suo esempio: me ne sbatterò e lo ascolterò come se fosse uscito 25 anni fa, infischiandomene per tre quarti d’ora che il mondo, quello musicale, me compreso, sia per sempre cambiato.