fil di ferro

Fil di ferro – Il sangue del lupo che ci ulula dentro!

Oggi sono davvero lieto di presentarvi una band che, nella mia vita, ha avuto un posto d’eccellenza. Da quando, tredicenne teppistello di periferia, frequentavo i più malfamati locali della provincia di Torino, bazzicando felice i posti dove i bikers e i metallari di quei tempi lontani si ritrovavano per bersi qualche birra in allegria, ricordo i Fil di Ferro tra i maestri di vita che ognuno di noi avrebbe voluto prendere a esempio.

In un panorama in cui suonare e ascoltare metal era una benedizione per pochi eletti (parlo della fine degli anni ottanta, quando i nostri erano già al secondo disco) alcuni precursori del metallo italiano che sarebbe venuto dopo calcavano i palchi ed erano per noi eroi a tutti gli effetti.

Se tra tutte le band hard rock e heavy metal nate sotto il tricolore, dovessi scegliere quelle che preferivo in quel periodo io vi direi, sicuramente: Fil di Ferro, Strana Officina e Vanadium.

Ve li direi in quest’ordine, perché dischi come Hurricanes o Fil di Ferro sono stati la mia iniziazione al metal, quello vero, quello suonato senza paura di niente e di nessuno.

Per anni sono stato un fan accanito (lo sono ancora oggi, ok, è vero) e la colonna sonora della mia gioventù comprende, senza dubbio alcuno, diversi pezzi dei Fil di Ferro! Ricordo bevute in birreria con Michele De Rosa e Bruno Gallobalma, viaggi fino a casa di Sergio Zara per poter assistere alle prove della band e tanti, tanti concerti dal vivo.

Io mi sono trasferito, perdendo le tracce della band per un lungo periodo, tanto che quando sentii da amici del torinese che i Fil di Ferro avevano inciso altri dischi restai piacevolmente sorpreso e corsi a cercarli per sentire se i miei eroi d’infanzia fossero ancora forti come li ricordavo.

Ora, dopo tanti anni, il destino (nella veste di Padrecavallo) mi ha dato una grande possibilità, quella di recensire l’ultimo loro disco: Wolfblood.

I lettori di Sdangher ben sanno che io non ho l’abitudine di premiare i gruppi per le loro carriere, ma giudico i prodotti che ho sotto gli occhi in maniera obiettiva e molto diretta.

Bene: Wolfblood è un album godibilissimo, deciso e fresco, nel quale la chitarra di Miky Fiorito sa far sognare (sentitevi dal minuto 4.45 di Memory And Thoughts in poi per capire) e dimostra di avere grinta da vendere. La voce di Paola Goitre, particolarissima, dona al prodotto una marcia in più. La sezione ritmica affidata al grande batterista Michele De Rosa, altro veterano della band, e al bassista Gianni Castellino, già coinvolto nel precedente album It’s Always Time, lavora in perfetta armonia per dare al tutto un tiro notevole, anche nei pezzi più calmi. Il disco è vario, potentissimo, ben suonato e non lo dico solo per rispetto ma perché è assolutamente vero.

Le undici canzoni che lo compongono sono suonate col cuore e con la maestria raggiunta in anni e anni di attività sui palchi di mezza Europa, con passione e dedizione, senza mai lasciarsi influenzare dai trend passeggeri, ma restando fedeli al proprio stile.

Pezzi come King Of The Night, forse il brano più “Fil di Ferro style” dell’album, lo dimostrano e confermano che siamo di fronte a qualcosa di unico.

La title track, Destiny Of The Gods o la veloce The Shining Priest Of The Night sono perle preziose, gemme di valore che mi fanno dire ancora una volta: Grazie Fil di Ferro!