Qualche giorno fa, uno sdanghero ha pubblicato una sorta di denigrazione programmatica nei confronti del genere da me più amato. Sì lo so; sono anacronistico e in ritardo con i tempi di replica. Forse sono anche un po’ di destra ma con il cuore a sinistra… O era il contrario? Boh…
Comunque, giusto per rinfrescare la memoria ai più distratti, nell’articolo si parlava di genere composto da band banali e piene di clichè. Banali nelle liriche in quanto trattavano di draghi, dame e cavalieri o di eterne lotte tra bene e male, e piene di stereotipi musicali come “doppia cassa a elicottero” e “voci bianche” che, secondo alcuni, non centrerebbero una fava con l’aggressività del metal e la sua dirompente carica sovversiva.
Sorvolerei sul fatto delle “voci bianche” perché “de gustibus non disputandum est” (o una cosa simile) ma non posso in quanto italiano, e il bel canto (tralasciando il neo-melodico che non è bello ma solo rottura di coglioni) è nelle mie corde.
Mi piace pure la potenza e l’estensione di Albano Carrisi o di Massimo Ranieri, quindi vedete voi.
Tra l’altro ho la sfacciataggine di sostenere che questo modo di cantare in maniera più o meno aggressiva si basa su solide fondamenta. Chi ha dato il via al tutto?
Ma certo! Ian Gillan fu uno dei primi. Poi Glenn Hughes. E che mi dite di Ted Neeley?
Ma come chi è, Ted Neeley?
Esatto, colui che dette vita al Gesù Cristo più superstar che sia mai esistito!
Certo non si può tutti essere Bruce Dickinson o Rob Halford (ehm…Owens dove sei?) oppure Carl Albert /R.I.P. fenomeno!) ma in tantissimi ci hanno provato con, spesso, ottimi ed emozionanti risultati. E tutto per farsi bollare come fastidiosi castrati!
Inutile stilare una lista dei cantanti o delle band che hanno nelle loro fila singer dotati di estensione e di espressività. Ce n’è una miriade. Vorrei tentare invece di scandagliare le emozioni che questo fantastico genere muove dentro di me.
Sono sempre stato convinto che la musica sia una questione di atmosfere e di come queste vengono assemblate. Se si nega che un buon 90% (vado a spanne) dei personaggi che suonano power sono dei musicisti con gli attributi, allora possiamo tranquillamente andarci ad ascoltare un po’ di Techno Trance e pipparci il pippabile nel primo dance club che troviamo. Se si dice che le liriche delle band power sono delle ciofeche travestite da cioccolatino idem. Possiamo darci all’ascolto di Baby K.
Ah già! E’ vero. Ci sono le alternative a questo mondo di armature, spade di smeraldo, fuoco-acciaio e sudore ecc ecc. Certo che ci sono! Ma ne parleremo poi… forse.
Da bambino, mi raccontava mia madre, quando in TV passavano brevi estratti di musica sinfonica, che io mi incantavo. Da bambini è molto facile, lo so, essere rapiti dalla prima cosa che passa in televisione, ma qualcosa a livello embrionale doveva esserci già. E infatti, decenni dopo, quale artista del mondo rock metal che avesse solo una vaga attinenza con quella musica mi ha rapito per la prima volta ?
Non potete negare l’influenza di questo maestro in tutto quello che poi è venuto dopo. E delle sue sottili venature classiche. Di Randy mi piace il gusto, l’uso delle melodie, la sua sensibilità e dolcezza (Goodbye To Romance; Dee; Mister Crowley). Anni dopo essermi riempito le orecchie del chitarrismo di Randy chi mi sono ritrovato tra i mei ascolti?
Iron Maiden, Van Halen e Malmsteen.
Ero fregato! Tecnica, gusto e la giusta dose di aggressività che cercavo. Anche perché volevo a tutti i costi dimostrare a mio padre che i metallari non erano quei completi scalzacani di cui tutti parlavan male. Quale migliore occasione?
Non contò un cazzo!
Tirai dritto e scoprii i Loudness del fantastico e gustoso Akira Takasaki e i Candlemass (lo so; non sono power ma sono una figata) con i bellissimi cantabili soli di Lars Johansson e il cantato evocativo e possente di Messiah Marcolin.
Ecco. Questa cosa dei soli cantabili, memorizzabili e memorabili era ed è per me un punto fermo.
E il power, stante purtroppo una certa ripetitività da parte di qualche band, è un genere che contiene un sacco di questi esempi.
Quando un chitarrista, nel suo assolo, ti molla una linea melodica che ti sfonda i neuroni facendoti salire le lacrime agli occhi, oppure esaltandoti alla ennesima potenza alè! per me non c’è più storia. Quando ti arriva un cantante come Andrè Matos (R.I.P.), come Michael Kiske o come Apollo Papathanasio (cantante dei Majestica prima e dei Time Requiem poi) accompagnati da musici di tutto rispetto, beh… siamo a campo vinto! Mi pare che da qualche decennio ci sia, da parte dei fan della musica più estrema, un tentativo di delegittimare la parte più melodica, talvolta malinconica, più emozionale e “dolce” del metal.
Perché?
Non è un po’ come voler fare i “Brooders ov Medal” sostituendo i Manovali con, che so, i Meshuggah?
Non so se sia una mania tutta italica o se queste diatribe esistono anche all’estero ma sinceramente poco importa. La cosa che conta, almeno per me, è che se nella seconda metà degli anni 90 non ci fosse stata la rinascita del classic-power (con tutte le miriadi di altre definizioni e sotto-definizioni) a quest’ora saremmo invasi ancora di più da quella robaccia Nu (sta per Nettezza Urbana?) e da quelle stramberie che combinava Mike Patton nel post- Faith No More. O da schifezze atomiche tipo i Primus, gli Impaled Nazarene e, gli dei me ne scampino e liberino, i Cannibal Corpse.
A proposito di cliché e testi del cazzo. Che si può dire delle liriche delle band appena citate?
Nulla. Una sequela di vomitate, un’apologia alla violenza gratuita che non esorcizza ma tende a estetizzare la violenza stessa. Non c’è catarsi. Solo fastidio.
Per un poser come me, invece, testi malinconici e toccanti come Before The Winter o Forever degli Stratovarius, accoppiate musica-testo come How Many Tears degli Helloween – l’intermezzo “acustico” mi fa salire le lacrime agli occhi mentre il testo è un cacciavite che viene rigirato nel profondo dei miei/nostri sensi di colpa – sono una manna dal cielo.
C’è chi ha trattato il tema dell’amore, o meglio della perdita dello stesso, in modo egregio. Per esempio i nostrani Labyrinth nel loro geniale (ma sottotono a livello di suoni) No Limits.
Sicuramente c’è chi ha parlato di fantasy e medioevo. I Blind Guardian su tutti. E adesso il primo che arriva a dirmi che sono una band di poser e inutili come uno spazzolino da denti per pulire il cesso lo scomunico ufficialmente! Possono piacere o meno. Questo fa parte del gioco. Ma sono una delle colonne portanti del nostro genere (insieme a Chris Boltendahl da giovane).
A proposito di Blind Guardian e loro epigoni: mi è parso, sempre nel corso degli anni, che loro, in quanto tali, siano una sorta di istituzione intoccabile. E ci mancherebbe. La mannaia, invece, risulta decisamente impietosa per i nostrani Rhapsody (of fire/of Steel/by Lione-Staropoli-Turilli).
Come ho già scritto nella rece al grandioso album dei Dimhav da Legendary Tales fino a Dawn of Victory sono stati esaltanti. Poi, causa le loro scelte stilistiche “estreme” in campo sinfonico, si sono auto-castrati.
Quindi il problema, tutto italiano mi sa, con questa band quale sarebbe? I testi? Bah…
La musica? Ri- bah!
Mi ricordo che, anni fa (96-97), c’era chi rompeva le balle per il carattere di Lione o per il fatto che negli album i Rhapsody si servissero di una batteria elettronica o perché non si esibivano in Italia. Vi do una notizia: Phil Anselmo ha un carattere di merda; Malmsteen idem. La batteria elettronica (anzi campionata a PC) l’ha usata pure la mia ex band perché il batterista dell’epoca era una fava; l’hanno usata i tanto osannati Fear Factory in accoppiata con quella acustica e, udite udite, è stata usata – in via del tutto sperimentale – anche sull’album Edge of Thorns dei Savatage, gli dei li abbiano in gloria!
E che dire delle ballad! Le tanto vituperate ballad!
Sono un sostenitore dell’alternanza delle atmosfere. La potenza e la cattiveria sono nulla senza il controllo. O meglio: la potenza e la cattiveria gratuite, insistite e perpetrate ad libitum perdono la loro efficacia.
Addirittura in uno stesso brano una cambio di atmosfera radicale può fare la differenza. Certamente è arduo rintracciare nel power metal qualcuno che sia tanto bravo da farci stare tutto questo in massimo cinque minuti di canzone… Beh. Gli Angra in parte ci riuscirono in certi brani di Holy Land e di Fireworks.
E allora ben vengano le ballad! Ben venga il momento riflessivo che ci consente di metabolizzare trenta o quaranta minuti d’assalto sonoro e di riappacificarci con il mondo.
Si è meno metallari e più poser per questo? Frega niente.
Ah già! Mi arriva una comunicazione di servizio da parte del mio lobo frontale che anche i Jinjer hanno fatto scoregg… pardòn, canzoni con la suddetta alternanza. Peccato si senta lontano un miglio per me che sia una cosa artificiosa da matti!
Ora, concludendo; sono più che cosciente che la tara di qualsiasi genere musicale sia la ripetitività. Questo accade anche nel tanto, ultimamente osannato da alcuni, extreme-alternat-groove-brutal-scoregg-metal e chi lo nega è un disonesto. Successe anche con Steve Ray Vaughan che tentava di emulare Hendrix seguendo quel canovaccio compositivo.
Non sarebbe più semplice affermare che si preferisce ascoltare la musica che si avvicina di più al nostro modo di vedere/sentire/vivere il mondo senza per forza precluderci altre esperienze?
E se ci riesco io che, oltre ad essere un power-poser, ascolto anche i Carcass (di Heartwork e Swansong però) secondo me ci riuscite pure voi.
Peace and Love “Brooders ov Medal”.