Pretty Boy Meganoyd – Un altro ritorno discutibile?

La Los Angeles che mi sono sempre immaginato io, e che da sempre ricordo da quando scoprii la copertina del disco Hotel California degli Eagles, è immersa nel sole e nella dolce brezza che soffia dal Pacifico. Palme, belle ragazze in bichini, ville e auto scintillanti. Forse queste ultime un po’ datate ma comunque scintillanti.

E come dimenticare gli strip club o il Sunset Strip? Posti che non ho mai visto e che probabilmente mai vedrò…

E comunque per il “real fun” sono fuori tempo massimo in quanto a età! All’epoca, quando ero molto più ingenuo di ora, come era bello sognare di luoghi esotici dove l’estate durava non lo spazio di un’infanzia, ma tutta la vita.

Era bello immaginarsi, sfaccendati ma pieni di “impegni importanti” (seeee! Come no!) trascorrere le ore migliori in spiaggia guardando di sottecchi le natiche sode delle ragazze e pensare a come rimorchiarle. E uno dei metodi, forse quello che andava per la maggiore, per i disadattati che provenivano dalle provincie del mondo quale poteva essere?

Se eri uno sportivo, di buona famiglia e belloccio avevi la strada più o meno spianata. Ma se eri un cacchio di brufoloso adolescente senza arte ne parte?

Beh: Non rimaneva che metter su una band! A dispetto, e in contraddizione, con la frase subito sopra i Pretty Boy Floyd si inseriscono in quel filone “Hair Metal”- o Glam o Street – che racchiude in sé numerosissimi esponenti eccellenti.  E bellocci in genereale. Inutile fare i nomi: li conoscono anche i grinder più accaniti – ché anche i grinder hanno un cuore e anche ai grinder piace la fica.

Cioè intendiamoci: Quando si era giovani – sì; anche i grinder lo sono stati – per rimorchiare abitando, che so, a Porto Sant’Elpidio quali strategie adottare?

O spacciarsi per un “picciotto” a servizio di un qualche boss, oppure metter su una cassettina di hair metal da suonare a tutto volume per le vie della città. L’hair metal era perfetto per irretire le giovincelle che sentendo quelle voci miagolanti e ammiccanti – che facevano intendere spesso senza lasciare spazio all’immaginazione – di amplessi bollenti, cadevano ai piedi del guappo del quartiere quali mosche dopo una spruzzata di DDT.

Prima delle ragazze saranno arrivati probabilmente i vigili urbani che, insospettiti da cotanto sprezzo del decoro pubblico, perquisivano anche il sotto palla del malcapitato. Se a costui andava bene, conosceva la figlia del capo dei vigili e il rimorchio era riuscito. Solo e unico rimorchio con il beneplacito del padre di lei e della chiesa che avrebbe suggellato davanti all’altare l’unione di due anime perse per sempre.

Non so, sinceramente, come sia andata per i Pretty Boy Floyd.

La loro storia è piuttosto incasinata. Tra girandole di brutti ceffi che si sono alternati ai vari strumenti (quegli electric toyz che qualcuno pensava fossero vibratori e invece erano proprio vibratori) ascese (scarse) e cadute (tante) alla fine hanno combinato pochino.

Pare che si siano fatti anche qualche giorno di galera per reati più o meno gravi. O meglio, questo dice la leggenda. Nella realtà sono stati graziati. Rito iniziatico quello della notte in carcere che avrebbe suggellato per sempre la fama di “bad boyz” di tizio o caio.

E dire che negli anni della grande depressione e del crollo di Wall Street  “Pretty Boy Floyd” era il nomignolo che la polizia aveva affibbiato a tal Charles Arthur Floyd, bandito che ebbe una certa notorietà e che godeva di un’aura di rispetto tra la gente comune.

Il rapinatore di banche, si narra su Wikipedia, non sopportava quel nomignolo. Lui era “brutto, sporco e cattivo” altroché il Bel ragazzo Floyd!!

E aveva ragione, considerato tutto!

Comunque i Pretty Boy Floyd cercarono di cavalcare il successo che arrideva ad altre formazioni che bazzicavano il Sunset Strip ma non combinarono un granché.

Arrivarono lunghi e fuori tempo massimo. Le canzoni che produssero erano in linea con quanto facevano gli altri.

Come dico sempre io: tutta colpa del 1991 e del grunge!

In tutta sincerità ci sarebbe da dire che la loro produzione non è stata così essenziale, eh?!

Interscambiabile e confondibile con un sacco di altre band simili – i primi che mi vengono in mente sono gli Enuff’z’Nuff, i secondi i Quireboys – ma dopo decenni di astinenza da questo filone, complice il sempre assiduo Padre cavallo che mi ha mandato “l’input”, mi ha fatto piacere riascoltare linee musicali note.

Leggendo su intercess sembra che per i Pretty Boy non sia ancora finita. E mi viene da chiedere, in un sussulto di iper-criticismo, se nell’epoca che stiamo vivendo sia il caso di rimettere insieme il baraccone.

Loro dicono di sì. Sono convinti che nuove leve dedite allo sleaze siano pronte e mature per lasciarsi “trapanare” dai loro “Electric Toyz”. Boh… a me fa piacere riascoltare anche questo sotto-genere che, in tempi ormai lontani, mi fece sognare di estati infinite e di amori brucianti e durevoli quanto un maschio di mantide religiosa dopo l’accoppiamento.

Poi scendevo in cortile, vedevo il mio Ciao della Piaggio e pensavo che era ora di andare a raccogliere i pomodori in mezzo ai campi. I sogni di gloria per quel giorno erano messi nel cassetto.

“Sarà per un’altra volta!” mi dicevo.

“Sarà per stasera o per domani sera!” mi ripetevo.

Poi, non so neppure io come, il tempo è volato e ora mi ritrovo ad ascoltare i Bathory. Altroché Los Angeles.