Sdangher pratica spoilerismo a bestia. Se non avete letto il fumetto ripassate un’altra volta!
In Samuel Stern – Il nuovo incubo, primo albo di una nuova serie prodotta dalla Bugs Comics, si parla subito di anima – o meglio della negazione di un’anima – da parte degli uomini. Chi la “sente” è pazzo. Chi ci pensa è solo un illuso. Dentro non abbiamo nulla. E pazzo o illuso è il diavolo che ancora si infiltra in questo buco di mondo lasciato orbitare tra fredde stelle e una sempre più cosmica mancanza di fede, e prova a corrompere o rubare questa cosa che convenzionalmente chiamiamo anima e che invece è solo un mischione di viscere da evacuare e cattivo funzionamento del sistema circolatorio. C’è una frase che apre Samuel Stern e a concepirla è un certo Angus Derryleng. Fermi con google, non è un filosofo del 1400 ma un personaggio della serie stessa. “La paura della possessione” dice “è non di essere invasi da un verme conquistatore, ma che quel demone blaterante e osceno, rabbioso e beffardo, non sia altro se non roba nostra… Il nostro vero Se che torna a reclamare l’anima liquida che noi stessi disconosciamo”.
C’è un prete, Duncan O’Connor, che è un tipo un po’ sopra le righe. Lui ha una strana relazione d’affari con un uomo dal passato controverso che si presta a svolgere un servizio benefico per l’umanità. Samuel Stern, esatto. E per quanto ammettendo una certa ritrosia, il rosso e atletico cuginetto di Hellblazer, contribuisce a salvare anime possedute da demoni e soprattutto pensa a ripulire anche la propria, dopo una serie di errori che coinvolgono la sua perduta figlia. Come plot a me ricorda molto Outcast di Robert Kirkman, e a voi?
Inoltre, la struttura di Samuel Stern è troppo Bonelliana. Dove?
– un episodio autoconclusivo di 98 pagine (in cui si spiegano ingenuamente le parole difficili con delle note ad asterisco a bordo pagina in tempi di android e googlarismi esasperati)
– Una strana coppia di protagonisti, uno fico e uno no ma simpa.
– I disegni classici e la trama lineare
-Una certa gestione della suspance temperata dall’ironia fulminante di battute a effetto.
-Il contesto anglofono filtrato dal patrimonio filmico e narrativo che il bigio Scurati qualche anno fa definì: “letteratura dell’inesperienza”.
-l’horror tendente al moderato in un contesto che di solito si permette picchi di estremismo coprolaliaco e blasfemismo. Se l’opera deve uscire tutti i mesi in edicola e non vuol fare la fine di Splatter capisco che non possa tirare in ballo sparate incestuose e crocefissi bagnati. Persino la rivista di Paolo Di Orazio non lo faceva!
Dylan Dog a palla, insomma.
Riepilogando: Outcast + DYD = Samuel Stern.
Ma non sto rilevando le influenze e i modelli di riferimento con l’intento di sminuire il prodotto finito, sia chiaro. Anzi, in questo senso SS (brutto dirlo così, lo so) è una piacevole commistione di tradizione autoctona ed esterofilia. Bisogna ammettere che necessita di una naturale rodata. Ci sono poi tutta una serie di premesse che dicono molto sulla complessità dei personaggi. Il primo episodio però non offre molto tempo per riflettere. Si galoppa lungo una trama piena di ritmo, funzionante, ma priva di grandi guizzi creativi o twist impensabili. E questo perché la storia è funzionale e gregaria (secondo la scuola Kirkmaniana) alle speculazioni filosofiche e psicanalitiche del duo Fimasoli e Filadoro.
In un certo senso, posso dire di trovarmi di fronte a un fumetto intellettuale? Non dico anche un po’ hipster (nonostante la barba del protagonista mi metta davanti a una serie di intense auto-interrogazioni) solo perché a distanza di sei anni che ho sentito per la prima volta questa parola, ancora non sono riusciti a capire bene cosa significhi davvero.
Ma è un fumetto intellettuale, dai. Samuel Stern è una roba sulla possessione diabolica, ok? La gestione dell’esorcismo però non è, come il modello Blattiano, prima psicanalitica e poi catto-ragbysta. La scienza non recede mai all’inspiegabile.
Quando parte la consueta tarantella satanica di letti fradici di sudore e zuppe di piselli, crocefissi, rosari e lingue sanscrite al contrario, il fumetto ribadisce la domandona: cosa sono i demoni in un mondo senza Dio? Cosa è l’anima? E se il solo Satana fosse il fiume Ombrone che taglia in due il nostro inconscio noi qui che stamo affà? Per fortuna le tecniche dell’illuminato protagonista non escludono nessuna ipotesi, conducono la battaglia verso altre etnie e religioni, fedi, tecniche psichiche o rimedi counselistici presi da internet e quindi l’interrogativo non rimane in aria a fare da cortina.
Insomma, la vera forza di Samuel Stern (il fumetto e non il personaggio, che secondo me è ancora un po’ sciapo e dovrà camminare parecchio se vorrà conquistare il cuore dei lettori) è questo scacco iniziale che definisce la sfida: giocarsi una partita col diavolo in un mondo che ormai non crede più all’esistenza di nulla e quindi è in balia dell’insignificanza e dello stesso caos divoratore che ridusse Fantàsia a un granello di sabbia.
Ma Samuel Stern non è ancora tutto qui. Vi prego, prestate attenzione alle figure delle vittime.
Lo so, la famigliola al centro dell’invasione diabolica sembra uscita da un telefilm prodotto da Ken Loach, ma va oltre:
-Maggie è una donna avvezza alle rassicurazioni talari. Quando però le si inizia a parlare di diavoli e possessioni si ribella peggio di una patita di Cluedo. Lei è forte ma stanca, è sformata e logorata da un matrimonio ormai degenerato nella rissa e gli insulti e nel cuore ha più smog emotivo di quanto si creda.
-La bimba invece è il catalizzatore della nullificante egemonia domestica dei genitori e finisce per costituire la fessura entro cui potranno farsi largo i vecchi demoni dell’Io: i fottutissimi sensi di colpa.
-Il marito e papà, Robert, ubriacone da pub, sovrappeso, senza lavoro, maledice la figlioletta come scansione del suo calcinculo bipolare e prende a botte la moglie per sfogare l’ansia e intanto smaltire la sbornia. Però ci soffre.
In un episodio di Dylan due genitori così non sopravviverebbero mezzo albo, tagliati via dal maglio moralizzante della Big Eers Squad. La bambina sarebbe consegnata alle cure dell’Indagatore, sempre pronto a fare padre e marito supplente, tanto alla fine dell’episodio si azzera tutto. Qui invece i genitori “perduti” rubano la scena a Stern e Don Angus, mostrando, nonostante tutto, di non perdere mai per strada la propria umanità… Sia lui, bolso e fallito, manesco e frignone, che lei, accusatrice per quasi tutto il tempo sono e restano persone!
Tutti e due rischiano di essere ridotti a una rilettura macchiettistica ma virata al nero dei coniugi Flo e Andy Capp, ma nel finale, per nulla consolatorio, quando la donna ribadisce un amore auto-lesionista squisitamente incongruente e per questo credibile nei confronti del marito (dopo averlo smerdato 90 pagine) io lettore grido alla verità! Quello di Maggie è infatti lo stesso folle amore fatto di colpe e odio autogeno, che spinge le mogli ridotte in fin di vita sul letto di un ospedale a offrire ancora una possibilità al marito lacrimante. E l’amore di lui per i suoi cari, è vero e inarrestabile lo spinge nella bocca dei demoni.
Troppo facile rendere mostri in pelle umana quelli che sono soltanto degli uomini, come hanno fatto per troppo tempo Stephen King e gli Sclaviani, così da ucciderli e darci un mondo più rassicurante. Quelli di Samuel Stern sono persone, in tutta la loro rivoltante fragilità e non è detto che muoiano. In questa cosa, io trovo che il fumetto di Filodoro e Formiggini o come si chiamano quei due, è grande.