edge of forever

Edge Of Forever – Da dove viene l’hard rock melodico migliore? Ma dall’Italia, che domande!

Il disco, che esce il sei di dicembre, è destinato a passare molto tempo nel mio stereo, ve lo dico subito. Alessandro Del Vecchio, voce e anima degli Edge Of Forever, abbia superato se stesso in questo lavoro, in primis circondandosi di “musici” di indubbio talento che in queste undici tracce danno il meglio di sé.

Native Soul si apre con una canzone cantata a cappella, che dimostra già da subito lo spessore delle doti canore di Del Vecchio e ci da immediatamente l’idea di come questa band stravolga gli stereotipi del genere suonato, per esplorare vie meno comuni ma con una classe e una capacità creativa di livello decisamente superiori alla media.

Il tipo di rock proposto è un melodic hard rock ad ampio respiro, che va da sonorità che ricordano da vicino band storiche come i Journey (soprattutto in Promised Land) o addirittura i Whitesnake dei tempi migliori, ma senza mai scadere in un copia incolla ben suonato, perchè gli Edge of Forever danno a ogni pezzo un’impronta personale, come nella bellissima Take Your Time, canzone dedicata allo scomparso amico (e produttore del primo album della band) Marcel Jacob e primo singolo estratto dall’album.

Il tutto mantiene però un livello ottimo, grazie soprattutto a una attenzione quasi maniacale per i particolari, in grado di consegnarci un disco equilibrato e di grande eleganza, soprattutto mai scontato.

Il nuovo chitarrista Aldo Lonobile offre all’album un contributo potente ma raffinato, con ritmiche decise e assoli incisivi che non mancheranno di regalarvi brividi all’ascolto. Anche la sezione ritmica è forte e precisa (è affidata a Marco di Salvia alla batteria e a Nick Mazzucconi al basso) e riesce a dare vigore a un lavoro che scorre bene dal primo all’ultimo minuto. Per rendersi conto del livello raggiunto, d’altronde, basta ascoltare pezzi come la title track, Dying Sun, War o la già citata Promised Land, tutte in grado di farsi ricordare a lungo per il suono catchy ma anche per il gran lavoro in fase di composizione.

Una menzione va anche alla grafica di Native Soul, particolare e stilosa, che ricorda in qualche modo le locandine circensi o quelle delle fiere americane del XIX secolo, dandoci (a mio parere personale) una rappresentazione inedita dei “due lupi”, quello buono e quello feroce, che vivono in ogni uomo secondo la tradizione pellerossa.

Un disco che dimostra come, anche in Italia, ci sia gente in grado di proporre hard rock di qualità sopraffina e secondo a nessuno.