Il nome Mayhem da sempre si porta dietro, oltre all’innegabile importanza musicale costruita sui pionieristici esordi legati al black metal più puro e intransigente, la famosa scia di fatti di cronaca nera (e quale altro colore altrimenti…) che tutti ben conosciamo e, ammettiamolo pure, su molti di noi ha esercitato se non un morboso fascino almeno una malata curiosità verso il periodo del fu Euronymous & Old Friends. Trovo perfettamente normale che rispetto a quei tempi tumultuosi insieme alle persone (o almeno chi è rimasto) sia poi cambiata anche la musica che ha portato prima i Mayhem a esplorare lidi più sperimentali, per poi tornare in pompa magna sui propri passi prima con un tour celebrativo dell’osannato De mysteriis dom sathanas e poi (chissà, forse spinti anche dall’uscita del film Lords Of Chaos) con questo Daemon che segna un deciso ritorno alle vecchie sonorità spogliate della loro qualità lo-fi e arricchite con tutta la pulizia di suono di cui oggi può disporre Tore Stjerna, diventato ormai quasi un componente del gruppo tanto è lunga e proficua la collaborazione tra loro.
Eccoci quindi dinnanzi al sesto album dei norvegesi a cinque anni di distanza dall’ultimo Esoteric Warfare, che si presenta con una sontuosa copertina dell’italiano Daniele Valeriani e per la prima volta sotto Century media dopo un lungo sodalizio con Season of mist.
Fin dai primi secondi si capisce che il ritorno alle origini non era un semplice proclamo, e i Mayhem ci propongono 12 tracce di tosto black metal tenendo ben a mente i canoni del genere marchiati a fuoco decadi fa, senza snobbare l’evoluzione del genere che ha portato a un innalzamento della qualità dei suoni e della tecnica esecutiva.
Le colonne portanti del gruppo restano sicuramente la duttilità e l’efficacia delle vocals di Attila Csihar (si va infatti dal classico scream, a voci pulite in stile quasi teatrale al suo caratteristico “rantolìo” che ha reso celebre proprio DMDS) e il robusto e infallibile drumming di Hellhammer che non sembra minimamente scalfito dagli anni che passano (seppur a volte avaro di fantasia).
Il basso di Necrobutcher è come prevedibile costantemente in secondo piano, e solo un paio di volte cerca di emergere dal muro di chitarre eretto dalla coppia Teloch e Ghul ormai ingranaggi di un meccanismo perfettamente oliato. Possiamo quindi celebrare un capolavoro degno dell’illustre passato?
A mio avviso no.
La ricetta sembra perfetta, gli ingredienti sono tutti di prima qualità ma qualcosa non funziona: a livello di songwriting i brani non colpiscono, non lasciano il segno, non ti fanno correre quel brivido sulla schiena che vorresti sentire. Capisco il desiderio di tornare a uno stile old school, ma quasi tutte le composizioni sembrano frutto di poca ispirazione e molto studio a tavolino.
I Mayhem hanno cercato, anche con intelligenza e mestiere, di non scaricarci addosso una piatta furia cieca e sotterrarci sotto valanghe di blast beat, cercando di dare una certa dinamicità a ogni brano. Sono infatti numerosi i riff proposti (anche troppi se vogliamo) e conseguenti cambi di tempo ma davvero pochi sono memorabili.
Ovvio, si sta parlando sempre di black metal, difficile oggi trovare un equilibrio tra originalità e coerenza… ma tornando al paragone “culinario” avrei preferito un pasto meno abbondante ma di maggiore qualità. Ma siamo forse diventati ormai dei clienti troppo esigenti? Non lo posso escludere.
Le tracce migliori sono proprio quelle dove esce fuori un po’ di personalità come Bad Blood dove gli accenti di batteria di Hellhammer impreziosiscono il pezzo, oppure Falsified And Hatred il cui riff portante finalmente esce un po’ fuori dal coro e Aeon Daemonium che comincia con una bella intro marziale per poi però perdere man mano mordente.
Come schema del brano spesso viene proposto un break più cadenzato nella parte centrale dei brani a darci respiro; nulla da dire sulla scelta, ma anche in questo caso il risultato è ampiamente trascurabile e il sapore di minestra allungata inevitabilmente si fa strada.
Chi aspettava un ritorno alle sonorità del passato avrà esultato per un ritorno in grande stile, i pochi che avevano apprezzato le sperimentazioni degli ultimi dischi si saranno rammaricati per una evoluzione rinnegata.
Io credo che indipendentemente dalla direzione che un qualunque gruppo voglia intraprendere, che sia rivoluzionaria nello sperimentare, fedele alla linea o verso un ritorno alle origini, l’importante è che la “penna” di chi scrive sia ispirata in modo genuino verso quella direzione, altrimenti il risultato potrà essere sicuramente ben prodotto e godibile, ma non certo memorabile.