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Zakk Wylde – L’eroe dei due mondi?

Ne stavamo parlando oggi io e Maximus Doomicus e alla fine lui è giunto alla conclusione, e io a sottoscriverla, che Zakk Wylde sia il solo e vero eroe dei due mondi. Quali mondi? Beh, quello in cui il metal era l’heavy metal (nell’accezione Loriana di cui un giorno torneremo a parlare) e quello del Metal senza l’heavy, dove accanto a questa parola è finito praticamente di tutto: prog, djent, pirate, pussy e via dicendo. Vi viene in mente un altro artista che abbia avuto successo nella decade classica e che sia lo stesso riuscito a reinventarsi in modo convincente per la generazione degli anni 90-2000? Zakk Wylde piace ai vecchietti e ai ragazzini. Oltre alla bravura con cui si è gestito “il personaggio”, questo virtuoso della sei corde avrebbe potuto campare di rendita come un Jake E. Lee qualsiasi (con tutto il rispetto per il fondatore dei Badlands e manico dell’Ozzy più chimicamente disastrato) facendo video didattici e unendosi a supergruppi con Glenn Hughes e Mike Portnoy.

Invece si è reinventato prima fighetto alternativo con i sudisti Pride & Glory e l’introspezione sofferente dell’album solista Book Of Shadows e poi ha tirato giù sul tavolo la Black Label Society, che al di là dei meriti artistici discontinui è una bella macchina da gadget, tra toppe, magliette e giocattoli vari con cui Wylde ha potuto consacrare se stesso a una cultura di bikers puzzoni e al limite della legge.

Ovvio che lo Zakk Wylde degli anni 90-2000 non sia gradito al pubblico che lo ammirava negli anni 80 e allo stesso modo, i pischelli che hanno lo scoperto nella Black Label, a stento conoscono i suoi trascorsi nella band di Ozzy e nemmeno si prendono troppo il disturbo di andarseli a sentire, quei dischi. Ma entrambi questi mondi non possono che dir bene del virtuoso Zakk Wylde (“l’unico che è stato davvero all’altezza di Randy, cioé!”) e il brutale e panzone vichingo di oggi (“che fico, aò, ma chi ce sta mejio de lui?”)

Dire che Zakk si sia convertito alla scuola groove di Terry Date e dei Pantera “tradendo” le proprie origini ottantiane è vero solo in parte. Il tocco massiccio e pieno di feeling, la “ciccia” che si sentiva già in dischi come No More Tears era propedeutico all’imbarbarimento retrivo degli anni 90 fino a oggi. Già lo stile di Wylde restituiva finalmente la voce di Oz alle proprie radici blues e “pese” degli anni 70, senza i filtri e i laccaggi che hanno caratterizzato il periodo gli anni da solista dopo Rhoads.

Di sicuro però quando Wylde iniziò a muovere verso il sound low-tuning e groove dei Pantera la cosa risultò più naturale e attendibile di Mick Mars con i Motley Crue o magari Dave Sabo con gli Skid Row del 1995. Ma in Zakk non c’è solo la violenza e la “burezza” (neologismo formato da burinaggine e durezza) ma anche la malinconia e il tormento delle grunge band. Innegabile infatti che Wylde sia riuscito a riconoscere se stesso anche nella matrice desolata e straniante dei cori melodici alla Alice In Chains. Ozzy, a cui in fondo il gran salto 80-90 non è venuto mai bene come quello 70-80, sbottò al tempo dei Pride & Glory. Disse: “Zakk è un fottuto metallaro, quindi non capisco perché stia perdendo tempo con quel cazzo di rock sudista”.

Semplice rispondergli col senno di poi: “aveva capito che la mossa giusta da fare nel 1993 era il ritorno alle origini del rock anni 70. Per andare avanti bisognava fare un salto paro all’indietro. Il grunge in fondo era questo che aveva fatto, recuperato sui Led Zeppelin, i Sabs (che non a caso nei 90s sono tornati grandi) mescolati alla musica d’autore e alle punk band.

 

Furono molti i gruppi e gli artisti solisti che riuscirono a sbancare i decenni, prima di Zakk Wylde. Alice Cooper, David Coverdale, Ronnie James Dio, gli Aerosmith, gli Scorpions, i Kiss (per quanto con alti e bassi) superarono un piccolo momento difficile a cavallo tra 70 e 80, ma tornarono in auge grazie al metal. Non fu difficile visto che realtà in ascesa come i Crue e W.A.S.P. guardavano proprio a questi veterani, rubando loro look e idee. Alice quando si riebbe dalla dipendenza alcolica capì subito che il nuovo pubblico dei RATT era adatto anche a lui e così lo capì chi insistette a rimettere in sella gli Aerosmith, e insistere, nonostante una ripartenza discografica imbarazzante (Done With Mirrors). E solo loro riuscirono a tenersi a galla nel rock anni 90, per quanto Get A Grip prima di salire in alto nelle classifiche iniziò vendendo pochino. E insieme agli Aero, di tutte le glorie nate negli anni 80, solo i Bon Jovi se la cavarono, grazie alle ballads.

Ma in ambito metal fu una carneficina. E se escludiamo i Pantera, realizzatisi negli anni 90 ma praticamente sconosciuti nella decade precedente, al punto di potersi rifare una verginità con Cowboys From Hell, e i Metallica, stravolti a colpi di rimmel, country rock ed MTV Music Awards, nessuno riuscì a ripetere le cifre del 1987. I Kiss si rimisero la maschera raccogliendo con gli interessi il successo moderato negli anni 80, dovuto alla rinuncia a Peter Criss, Ace Frehley e al cerone, ma il solo artista che sia davvero riuscito a non farsi incastrare in un recinto vintage, sguillando come un rettile cazzuto tra le maglie delle classificazioni e dei genocidi delle mode è sempre e solo lui. Zakk Wylde. Sopravvissuto alle sboronate glamour di Crazy Babies, alle malìne minimal dell’alterno sentiero, saltato giù in corsa dal corazzato nu metal dell’Ozzfest prima che si schiantasse contro il trenino del metalcore, lui è ancora qui, perfettamente a proprio agio tra il redivivo paganesimo da social e la cazzonaggine del tubo, dove se ti fai riprendere mentre suoni Ops I Did It Again col culo diventi un influencer, Mettetelo accanto ai Motley Crue, ai Pantera o agli Slipknot e troverete che è sempre al posto che gli compete, ovvero il suo. Non vicino ai Foo Fighters, ma lo dico per l’incolumità di Dave Grohl.