kitsch

Senti-metal Kitsch – Del perché non riusciamo a smettere di essere metallari!

Una delle tipiche frasi che ci sentiamo dire, quando ammettiamo di ascoltare i Dimmu Borgir o gli Iron Maiden o metteteci chi vi pare è: “ah, sì, anche io sentivo quella roba, poi sono cresciuto e ho smesso”. Non c’è frase che annichilista di più un metallaro di questa, o che gli produca un moto d’ira tale da indurlo a dimenticare di seguire i “consigli della Buonanotte” del Mahatma Gandhi. Fa il paio con la frase “metal, rock, hip-hop, a me la musica piace TUTTA” seguito dal colpo di grazia: “esistono solo due tipi di musica, quella buona e quella cattiva”. E poi c’è il metal, dico io. E non prenderei più l’argomento.

In ogni caso concentriamoci sulla prima frase, quella del “crescere e smettere”. In essa c’è una sorta di insinuazione, magari neanche consapevole, che il metal sia roba da ragazzini, da gente quindi immatura che non la smette con i cartoni, i videogiochi o di collezionare action figures. Il bello è che queste persone hanno smesso di sentire metal perché non sono mai state “metallare”. Di sicuro non hanno mai trovato in quelle canzoni un legame con le coronarie. Vi si sono appoggiati come un teen-ager sul culo di un Booster. Nessuno, che io sappia, ha la fissa del Booster. Si tratta di un mezzo di locomozione “possibile” a una certa età. Probabilmente in qualche zona depressa di Napoli c’è chi lo considera uno stile di vita, ma ho l’impressione che sia sfuggito al fenomeno “generazionale” e “sentimentale” su cui si basa il mercato oggi più che mai. Dopo aver superato la fase anagrafica che impedisce di guidare una macchina o una moto di grossa cilindrata, è difficile che si ritorni al Booster. A meno ché uno non finisca in miseria e se ne ritrovi ancora uno nel garage… e magari abbia deciso di scippare le vecchiette fuori dalla Posta.

Non mi sembra che ci sia per il booster la passione che tanti hanno per la vespa. Eppure la vespa, esattamente come il metal, è un mezzo che tanti “usano” da adolescenti, e poi non più. E quindi sono sicuro che anche chi “ama” la vespa e si ritrova con altri “vespasian… ehm, “vesparo…” insomma, si veda con altri fissati per la vespa la domenica, anche costui si sentirà dire, “eh, avevo pure io una vespa così e così, poi sono passato alla macchina e non ne ho più avuto bisogno”. E di sicuro i vespamici si sentiranno come i metallari. Incazzati o diversamente abili.

Ma per quale ragione noi continuiamo a sentire un tipo di musica che altri associano all’adolescenzia e a una fase di transizione, come si trattasse di pippe? Ecco, le pippe. Sono una pratica tipica della prima adolescienza, che in teoria, secondo gli analisti più ingenui, dovremmo “superare” all’ottenimento di una sana e continuativa pratica sessuale con un altro essere consenziente, che sia uomo, donna o… va beh, quello che volete.

Eppure non conosco nessuno, personalmente, che neghi di tirarsi qualche bel raspone ogni tanto. Anche a 40, 50 o 60 anni. Non con la frequenza di quando era adolescente ma di sicuro, moglie permettendo, molti uomini maturi amano “dedicarsi un po’ a se stessi, di tanto in tanto”, alla vecchia maniera. Di solito non si riesce a smettere con la masturbazione e nemmeno con il porno. Sono simboli degli anni verdi che continuano a bazzicare anche quelli di altro colore.

E il metal è una costante nella vita di molte persone. Guarda caso comincia a ossessionarle nell’adolescenza. Non so di gente, (ce ne sarà ma poca) che abbia iniziato a 50 anni con gli Iron Maiden. Il metallo si attacca addosso ai ragazzini. E quei ragazzini, o meglio la parte infantile che resta viva in ognuno di noi, vuole ancora metal. Si tratta della stessa parte diffusa in tantissimi di noi che ci spinge a tifare con foga una squadra di calcio anche dopo che abbiamo capito gli intrallazzi e il cinismo che c’è dietro il baraccone calcistico ancora, quella parte infantile, reclama l’epica, l’eccitazione, il trionfo e la disfatta guadagnate guardando un pallone che rotola, urlando e battendo le mani come degli oranghi allo zoo durante l’ora della pappa.

Sappiamo che dietro il metal non c’è quella coerenza, l’onestà intellettuale e la fratellanza che da ragazzini percepivamo. Conosciamo le reali mire di un Joey De Maio o di un Bruce Dickinson, ma continuamo a cercare quel senso di purezza che la loro musica ci trasmette anche ora.

Luigi Manconi, un uomo di grande spessore, politico di rara umanità e soprattutto penna meravigliosa, nel suo libro che vi consiglio caldamente La musica è leggera (Edizione Il Saggiatore), azzarda la definizione di “Sentimental Kitsch” riferendosi alla sua passione (e a quella di tanti, probabilmente tutti) per le canzonette, con la loro elementare romanticità, con la grossolana drammaticità che riversano ogni giorno, nell’arco della vita di una persona, dai boccaporti dei media. E ci parla di una componente adolesceniale che resta nel fondo di noi, quella che determina poi gli orientamenti e i gusti che riguardano anche la sfera adulta. Abbiamo gusti ufficiali e gusti nascosti. Film preferiti ufficiali e film del cuore che ammetteremmo solo davanti a un cazzone come noi. Si tratta, come dice Manconi, di un “lato debole”, qualcosa di “basso”, “primario”, incontrollato, una possibilità e disponibilità di abbandono, inscisso dalle fantasie infantili. Questo sentimental-kitsch, come già anticipato sopra, è imparentato alla cultura di consumo.

Il sentimental-kitsch determina quella classica situazione in cui un professore universitario, che da mattina a sera blatera di Kant e Spinoza a degli studenti comatosi, si sorprende a cantare un brano di Claudio Baglioni alla fermata dell’autobus, o magari si tira via una lacrima dall’occhio, mentre di sera, alla TV, vede la sigla finale del telefilm dell’Incredibile Hulk con David Banner e Lou Ferrigno. E ditemi se non è quella parte lì che ci si scatena quando ascoltiamo un gruppo metal che ancora ci piace? Ci sentiamo feroci, pronti a combattere, pazzi e commossi, come ragazzini che si illudono un momento di essere Conan, Dylan Dog, Bat-Man o Jurgen Klinsman nell’area di rigore della Cremonese. Per non parlare del senso di appartenenza da clan o gang adolescenziale che ci pervade se camminando per la strada ci arriva alle orecchie l’attacco di Blood Of My Enemies e scorgiamo in una macchina un tipo all’apparenza normale, che annuisce solennemente con la testa e ci scommettiamo, lo stesso groppo in gola che è venuto a noi. Si tratta di un altro come noi in preda a quello che licenziosamente potremmo chimare, con buona pace di Manconi SENTI-METAL KITSCH.

Tutti quanti, dopo i 16 anni, capiamo che dietro le pose dei Manowar, le cavalcate degli Iron Maiden o i primi lenti dei Metallica c’è qualcosa che non riusciamo più a prendere sul serio. Non come al tempo in cui facevano le medie o il primo liceo. Allora per noi ascoltare i Queensryche o gli Opeth voleva dire muoversi in un contesto “intellettuale” e non sorridevamo per nulla nei momenti in cui Åkerfeldt berciama come un maiale scannato, e tantomeno quando Tate raggiungeva certi picchi miagolosi dell’ultima ottava possibile mentre pontificava su ipnosi delle masse e imperialismo criminale. Oggi però il metal, molti di noi, almeno, lo tengono in un cassetto e lo tirano fuori quando non c’è nessuno nei paraggi. So, che tra le migliaia di lettori che ogni giorno leggono i miei articoli, c’è chi invece ha un’attitudine ben diversa, sfrontata, metallara a 360 gradi, ma non toglie che sia l’estremo opposto di un comportamento nato dal medesimo disagio di partenza. Conosco padri di famiglia che non sentono mai metal in presenza delle mogli, che invece amano Ramazzotti e Nek e li infliggono al marito durante ogni viaggio in macchina. E so che ci sono docenti del liceo che ogni tanto si sparano in auto un vecchio disco dei Testament, domandandosi cosa sia successo a un certo punto della loro vita.

Tanti metallari hanno subito quella critica insita nella frase “poi sono cresciuto” e continuano a fare i conti col metal in modo nascosto e vergognoso. E questo è normalissimo, perché il metal risveglia la parte bambina, sognatrice. I giganteschi guerrieri vichinghi dei Grand Magus, i Grandi Antichi dei Metallica, le vaste regioni aliene degli Iron Maiden, la modalità fuck all dei Motorhead, sono cose sostanzialmente relegate all’immaturità. Ma quella componente di noi che una volta se ne cibava senza alcuna reticenza o vergogna, è ancora viva, è lì e ne ha un fottuto bisogno.

Non ho parlato solo di sentimental ma anche di “Kitsch”. Il metal è Kitsch? Ma cosa significa questa parola? Richiamo alla memoria la distinzione che ne fece il compianto (da me e pochi altri eletti) Tommaso Labranca. Il Kitsch è il tentativo fallito di raggiungere modelli alti, è l’imitazione venuta male. E il metal, con tutto l’amore che ho per esso, è un modo barbarico di fare il verso a Wagner. Solo che Wagner è la GRANDE MUSICA da ascoltare in doppio petto, con un bicchiere di Cognac in mano, mentre i Manowar sono da sentire in jeans di pelle e chiodo, con una birra del discount tra le dita. Si tratta della distanza che divide l’ascoltare Fabrizio De André e Franco Califano. Entrambi danno voce agli umiliati e agli offesi, ma il primo è alto e il secondo è orgogliosamente sul primo gradino di Regina Coeli. Che poi anche De André è il basso di qualcosa d’altro, eh? Ma il metal, nel tentativo di rifare con la chitarra elettrica le mirabolanti esecuzioni dei virtuosi del Barocco italiano, c’è sempre stata la frustrazione di chi usa un martello pneumatico al posto dello scalpellino da scultore ma vorrebbe lo stesso tirar fuori un David con un cazzo così.

La violenza del metal è primordiale come le zuffe dietro la scuola. Quell’attitudine è la stessa che troviamo nei super-eroi metropolitano come Mad Max o magari nei robottoni giapponesi. Simon Broglio ha scritto, giustamente, che i giocattoli degli anni 80 educavano al metallo, e questo non è altro che un ulteriore indizio del senti-metal kitsch su cui si è basata la nostra formazione esistenziale. Si tratta di una componente che non finirà mai di far valere le proprie ragioni. Contro un mondo che invece ci vorrebbe “seri” “adulti” “complessi” “elevati”. Per fortuna noi metallari, anche a settant’anni non soddisferemo il nostro lato sentimental-kitsch leggendo la cronaca nera sui giornali o ascoltando Nek alla radio, guardando i film di Muccino o sorbendoci i romanzi di Sidney Sheldon. Noi ascolteremo fino alla morte The Thing That Should Not Be, e questo in fondo credo sia una benedizione.