Nell’intervista ad Alfredo Accatino lui mi ha ricordato le storiche riviste Frigidaire, Il Male e Il Cannibale. Purtroppo non ci sono cresciuto e il solo motivo per cui poco fa me ne stavo su ebay scrollando l’elenco delle inserzioni che le riguardavano, era solo curiosità, noia e latente compulsività da shopping – che di domenica raggiunge effetti letali. Però non avrei comprato nulla. Specie guardando i prezzi. Per esempio, Frigidaire stava cinque euro a numero, più spese di spedizione di altre cinque euro e 90. Impossibile. C’erano anche stock di 20, 40 numeri e il prezzo saliva a 80 o 90 euro. Non potrei concedermi un regalo di Natale così costoso. Sono senza lavoro e a stento arrivo a 30 sacchi, mettendo insieme gli spicci vinti a Tombola e le mancette delle bimbe. Se avessi dei soldi io acquisterei i vecchi numeri di quelle riviste. Non ho dubbi. Lo farei. Ma per conoscerli, rendermi conto di cosa c’era sopra, che tipo di articoli, che genere di interviste, quali fumetti e così via. Sono sicuro che molti di quelli che finiscono però di tirar fuori i soldi necessari per avere le copie di Frigidaire, cercano altro. Probabilmente già conoscono i contenuti. Da ragazzini sfogliavano quelle riviste fino a consumare le pagine. Anzi, magari sarebbe più giusto dire che le “usavano”.
Scelgo il verbo “usare” perché negli anni 80, quando non c’era internet e nemmeno la TV a pagamento, per un adolescente, le riviste diventavano molto di più. Erano una sorta di mondo in cui tuffarsi in ogni momento di noia, certo. Ma si finiva anche per usare cataloghi di vestiti come materiale erotico e magari si trasformavano pagine e pagine dei vecchi numeri di Max per fare tipo degli origami. Io per esempio ritagliavo i corpi degli attori, i modelli, le star della TV e li appiccicavo su un quadernone. Creavo come dei fotoromanzi in cui finivo per sfruttare le posture e le espressioni di quei modelli al fine di creare la rappresentazione visiva dei miei dissacranti racconti a sfondo sessuale o di estrema violenza coprolaliaca.
Ma torniamo a parlare di riviste. Ebbene, tanta gente recupera quelle vecchie, sgualcite, spiegazzate, con i cerchi di caffé o di the. Le pagano anche cinque volte il prezzo originale. Io stesso ho speso un sacco di soldi per riavere i numeri di Metal Shock e HM degli anni 80, oppure quelli di Psycho! Ho speso moltissimi soldi anche per riavere dei libri che leggevo da ragazzino e conosco gente che rinuncerebbe a una cena pur di ricomprarsi giochi da tavola come L’Allegro Chirurgo o Brivido.
Ieri ho visto un vecchio film con Paul Newman e Liz Taylor. La gatta sul tetto che scotta. Regia di Richard Brooks. Ho sempre pensato che fosse una storia alla Arsenio Lupin al femminile. Avevo questa visione della Taylor in calzamaglia nera che si tirava giù dai camini o dai cornicioni usando funi e ventose, al fine di rubare qualche costoso gioiello. Non so se esista un film del genere, se l’abbia confuso con La gatta… ma se avessi saputo che non era questa la storia, avrei di sicuro visto prima il film. Adoro quelle storie americane di metà anni 60 in cui una dinastia di ricconi del sud va in malora insieme alla canicola e agli incestuosi bubboni di vecchie e segrete perversioni subite e perpetrate nelle generazioni. Non si tratta della trama de La gatta sul tetto che scotta, ma di sicuro c’è di mezzo un fattaccio e tutta la sofferenza dei personaggi ruota intorno a esso.
Non ha molta importanza che vi racconti la trama, ve la risparmio. Voglio però parlarvi di una scena del film. Paul Newman, alcolizzato e infelice, è il figlio di un uomo burbero e molto ricco. Costui ha sempre comprato cose per la famiglia, senza esprimere in altro modo il suo amore per tutti quanti. Tra padre e figlio c’è un confronto teso e commovente nella cantina di casa. Lì è pieno di oggetti di tutti i tipi, statue, quadri, mobili, ninnoli vittoriani… I due a un tratto smettono di discutere e si guardano intorno.
Il padre intuisce i pensieri del figlio e inizia a spiegare: “Io e tua madre” dice, “facemmo un viaggio in Europa. Non mi sono mai annoiato così tanto in vita mia! Lei invece era così felice… si fece prendere da una frenesia inspiegabile e iniziò a comprare e comprare tutto ciò che vedeva. L’Europa è un paese in svendita, sai, con i soldi e il prezzo che chiedono potresti portarla via anche tutta quanta!”
Il figlio interviene: “Comprare, ecco cosa porta l’acquisto di cose: un deposito di inutili oggetti. Perché tutto questo bisogno di comprare, papà?”. E il padre dice la frase che mi ha folgorato e che mi ha spinto a scrivere questo ozioso post. “La gente compra. Compra tutto quello che può nella speranza di poter anche comprare ciò che non si può: il segreto della vita eterna. Ma la vita ti viene donata e non puoi ricomprarla. Una volta che finisce o si guasta, non te la riprendi indietro anche con tutto l’oro del mondo”.
Ecco: comprare il segreto della vita eterna. Spesso, quando ragiono sul motivo che mi spinge a comprare gli oggetti che poi non uso penso al sesso, a Freud e alle sofisticate e risapute tecniche di seduzione del consumismo. Forse quello vale per gli oggetti nuovi che acquistiamo. Ma i vecchi… gli usati che siamo pronti a svenarci per avere, beh, lì penso ci sia di mezzo la morte, come motore principale. O almeno il desiderio di poter riavere indietro un frammento perduto della propria vita. Sia quella vissuta che quella che non si è potuta vivere.
C’è chi si accaparra a cifre enormi tutti i dischi di un determinato sottogenere musicale perché sia l’album che aveva da ragazzino, che quello che non si poté comprare al tempo, custodiscono sapori e pulviscoli di quel preziosissimo tempo perduto. Io Compro una vecchia rivista che avevo da ragazzino nella speranza, una volta che la avrò ancora tra le mani e la risfoglierò e la riguarderò, di essere sommerso da vecchi ricordi, da momenti rimossi o sepolti che in uno sbuffo di polvere e muffa. Tanti momenti lontani mi si infileranno su per il mio notevole naso e da lì raggiungeranno il cranio, precipitandomi in falle temporali zeppe di sensazioni e di emozioni.
C’è sempre qualcosa di profondamente meschino e allo stesso tempo di eroico, nell’acquisto di qualcosa. Qualsiasi cosa, sia nuova che vecchia. Siamo i miseri vermi che sbavano attenzione, sensualità, sterile ostentazione e allo stesso tempo siamo anche gli uomini che vorrebbero alzarsi oltre il fiume dei minuti che scorrono incessanti, siamo i sognatori che immaginano la felicità dentro il tettuccio di quell’auto costosa, siamo patetici, disperati e allo stesso tempo sognatori pieni di speranza. Una speranza immotivata e commovente che è la misura della nostra follia, della nostra miseria e della nostra grandezza. Siamo bambini lasciati soli con il portafogli di papà e allo stesso tempo siamo quel papà che vorrebbe riavere indietro la propria vita ormai andata.