Pare che questo 2019 sia stato indimenticabile per chi è nato nel 2000 e del tutto trascurabile per chi invece ha messo piede fuori dall’utero di mamma nel 1977. Chiaro che la percezione delle annate e dello stato attuale del metal abbia sempre delle implicazioni generazionali. A Sdangher ci scrivono persone di 25 anni e altre di 50. Il solo elemento in comune è l’equinità e la passione per la musica pesa, oltre al porno e al foraggio di qualità. Impossibile farsi un’idea generale, scrollando i titoli scelti dalla stalla. C’è di tutto. La sola cosa su cui potete davvero fare affidamento è la sincerità. Se ve ne parliamo in questo articolo, vuol dire che questi dischi ci sono davvero piaciuti. E per quello che varranno, i nostri sono consigli da cavalli di cuore.
Exhorder – Mourn the Southern Skies
Pur non essendo un capolavoro è stato capace di farmi riassaporare l’odore del marciume urbano di cui il Metal anni 90 era impregnato. (The Healer)
Sarà la nostalgia dei Negura Bunget o il fascino del folklore dell’est Europa ma tra le uscite del 2019 per me primeggia Meteahna Timpurilor, debutto dei Sur Austru. Un disco folk/black ma di un folk fatto bene, dall’atmosfera coinvolgente e senza tempo che esalta la bellezza di una natura incontaminata. (Elena)
SOEN – Lotus – un album completo, ogni canzone funziona egregiamente sia come singolo che come parte integrante di un album solido, di un gruppo che inizialmente prendeva spudoratamente spunto da Opeth e Tool, in un 2019 caratterizzato proprio dall’uscita dei nuovi lavori di quest’ultimi, i Soen sono riusciti a superarli di gran lunga. Ottime melodie, ritmiche e parti chitarristiche a tratti degne del miglior Gilmour. Insomma un album perfetto mentre si viaggia, si fa all’ammore, o nelle lunghe notti solietarie passate a stolkerare la prossima vittima. Ah dimenticavo: il cantante è pelato: cazzo volete di più?!?!? (Ale Frank Gobbi)
Dimhav – The Boreal Flame
Questo disco ha tutto quello che ci vuole per rinnovare ma senza strafare in sperimentazioni azzardate. C’è tecnica, feeling, impatto e memorabilità. Merita di diritto un posto nella storia del metal. Mentre mi consumo i padiglioni auricolari ascoltandolo e ri-ascoltandolo, mi auguro esca anche il supporto fisico. Non lasciate indietro i Dimhav. Potreste pentirvene.(Simone Balboni)
Mortem – Ravnsvart
Un disco sbucato dal nulla, inaspettato. Potrebbe essere inserito tra i classici del Black Metal delle origini. Una perla di rara bellezza. (BVZ Putre la Zebra)
Blood Incantation – Hidden History Of The Human Race
Un mix letale tra tecnica e brutalità, suoni chirurgici e atmosfere surreali per un album che catapulta l’ascoltatore in un inferno alieno (Achille Cotone)
Abandon all Faith degli Strigoi.
Finalmente un album death che riporta il genere agli albori, tralasciando l’iper-tecnicismo che da troppo tempo domina una tendenza dove tutti si sentono in diritto di fare i super-cazzuti abusando di tecnologie e magheggi vari (Raffaele Guadagnoli)
Mysthirming – Algleymi.
Con il suo approccio asimmetrico nelle strutture dei pezzi, le melodie eroiche ed evocative, e con la sua dirompente urgenza, quello dei Misthyrming è sicuramente il disco che meglio rappresenta lo stato di salute di un certo modo di intendere il black metal, non più fatto solo di pentacoli e produzione lo-fi, ma anche di grande padronanza strumentale e varietà espressiva. (Mashagrind)
Baroness – Gold & Grey –
A chi vi dice che l’hard-rock è un genere refrattario a una qualunque forma di evoluzione, tirategli dietro i Baroness. C’era una volta che i Baroness erano un gruppo metal. Poi è andata che, durante un tour in Germania, il loro pulmino è volato giù da un viadotto. A quel punto, quelli che ne sono usciti più o meno illesi hanno deciso che era arrivato il momento di trasformare in oro tutto quello che avrebbero toccato da lì in poi. Per esempio, smetterla di fare album solamente epici, ma passare direttamente alle opere d’arte. Di quelle stracolme di mostriciattoli, tipo Bosch, per capirsi. Postrock, space-rock, prog-rock, psychedelic-rock, robe hardgrunge
alla Alice in Chains. Simile a una stella sull’orlo del collasso che inizia a inghiottire tutto quello che ha intorno per
risputarlo fuori sotto forma di qualcosa di più infuocato, Gold & Grey è il suono di una band che non si pone più limiti. Come l’universo, in espansione. (Simone Fiorucci)
ANGEL WITCH – Angel of Light – Da pionieri della NWOBHM con i Lucifer, nell’arco di oltre 40 anni, si confermano ancora attuali con lo stesso album, alfine dedicato all’Angelo Caduto: una decina di nuovi brani, di cui due su 7” limitato, in parte tratti dall’oscuro e controverso passato remoto della band del leggendario Kevin Heybourne quindi rimodernati e in parte di nuova stesura, tuttavia senza alcun calo di tensione e in linea con i tempi malgrado l’età. La band si è assestata positivamente sulla nuova formazione dove lo svedese Fredrik Jansson si dimostra l’erede incondizionato di Billy Ward alle pelli mentre dalla ‘stregata’ chitarra di Heybourne continuano a scaturire riffs e melodie oltremodo accattivanti, presenti nel nuovo disco che più che una fine rappresenta un gradito ritorno nonché presagisce un confortante nuovo inizio… (Louis Cypher)
Mi è difficile selezionare il disco migliore dell’anno, perché di ufficialmente pubblicato io ho ascoltato poco e forse nulla. Ma se posso citare un titolo è sicuramente Caligula di Lingua Ignota. Progetto di Kristin Hayter, (conosciuta con lo split The Rita). Semplicemente questa ragazza (ha solo due anni più di me) ci regala il disco non metal più nero che nessun barbaro metallaro sarebbe mai capace di pubblicare. Semplicemente sublime. Un viaggio che mi accompagnera fino all’inizio dell’anno nuovo e non solo. (Ruggiero Cavallo Goloso Musciagna)
Non un capolavoro, ma un distillato di personalità, da parte dell’unica band capace di miscelare metal e filosofia senza farsi ridere dietro. Se già li conosci, puoi pescare una canzone a caso da questo album e dopo pochi secondi, a occhi chiusi, stai certo che ti verrà in mente il loro nome. Si distinguono come si distingue un whisky di qualità superiore, insomma: scaldano e inebriano, sia quando corrono (Uncanny) sia quando procedono adagio (The Cynic) con le loro melodie celtiche e malinconiche. Il retrogusto finale è quello di un Laphroaig scozzese: in apparenza dolce, poi la torba ti assesta una discreta badilata.
La band di Mike Scalzi se ne sta lì a invecchiare dal 1990 e si sa come funziona col whisky. (Dwight Fry)
I Pelican con il loro sesto album riescono nel non facile compito di farci apprezzare un genere che spesso ho mal digerito per la sua prolissità. Nighttime Stories ci offre una serie di progressioni strumentali post-metal dove l’articolato lavoro compositivo non va a scapito dell’impatto e il groove (spesso di carattere sludge). Ma soprattutto i brani riescono a trasmettere quel mood intimo e sofferente che ci turba piacevolmente l’anima. Per un genere che a oggi sembra aver esaurito i tempi d’oro direi che possiamo ritenerci soddisfatti. (Emanuele Nappo Garzi)
Anche il 2019 volge al termine: un altro anno di guerra in Siria, un altro titolo mondiale di rugby per il Sudafrica, un’altra sequela di film del cazzo sui supereroi nelle sale cinematografiche e un altro capolavoro degli Atleantean Kodex ha visto la luce. Non potevo non scegliere The Course of Empire come album dell’anno perchè son passati sei anni dall’ultimo lavoro, perchè riconferma lo standard dei precedenti The Golden Bough e The White Goddess e fondamentalmente perchè gli Atlantean Kodex sono la luce nell’oscurità. (Caotico)
La scelta del miglior album del 2019 non è stata facile. Con la consueta sofferenza e relative notti insonni per paura di sbagliare, alla fine ho scelto Far degli Stormlord. Menzione d’onore per i briosi Majestica, i sublimi Mgla, i martellanti Possessed e i ringalluzziti Stormwarrior, che completano la mia top 5. Perché, dopotutto, anche se provo a fare quello razionale che ragiona sulla quantità di accordi, chitarre e citazioni filosofiche di gruppi storici, quello che conta alla fine sono le emozioni che proviamo con l’ascolto e la quantità di volume che alziamo durante la riproduzione, che sono questioni del tutto irrazionali. E io con le melodie epicheggianti di ‘Far’ ci sguazzo nelle emozioni – magari è la commistione di Death, Black e Power che rende godurioso il tutto -, tanto che quando sono in coda nella oscura Brianza e mi capita la title track, la manopola del volume viene automaticamente alzata per diffondere la musica del Demonio agli infedeli, nemici del vero Metal, e urlare “We are fire / We are wind / Thousand nights and countless mornings, we keep inside”. E poi un album che cita il portentoso ‘Conan il Barbaro’, permettetemi, merita lodi ed elogi straripanti. Ma, alla fine, le classifiche con i loro aridi numeri verranno dimenticate, tempo di qualche bevuta e litigata insieme ai vecchi amici metallari. Il Metal invece vivrà per sempre. (Il metallaro quarantenne)
Legendry – The Wizard and the Tower Keep
Terzo disco per questi americani che riescono a mescolare l’epic di Manilla Road, Cirith Ungol e Visigoth con il prog più sognante degli Uriah Heep e King Crimson. E pure un po’ di Jethro Tull che non fa mai male.
E lo fanno sembrare pure facile.
Il risultato è un disco affascinante e dalle atmosfere sognanti, senza tralasciare la giusta dose di metallo rovente necessario per farci sbattere le teste come si deve. Un album nel quale è facile (ed un piacere) perdersi ad ogni ascolto, fra melodie dal flavour celtico, assalti più speed e cori da pugni al cielo. Uscito il primo novembre per High Roller, in Italia al momento se lo sono cagato in pochi. Non fate lo stesso errore. (Luca Pivetti)
Netherbird – Into The Vast Uncharted
Perché sembra incredibile ma questi sono riusciti a riciclare quindici anni di musica in quaranta minuti: il black metal vagamente sinfonico e pesantemente melodico (Old Man’s Child, Dimmu Borgir), gli Amon Amarth, gli Insomnium, i Necrophobic e mille altre chicche di gente che è cresciuta a pane e riviste metal degli anni ‘Dumila. Bignami definitivo! (The Conqueror Worm)
King Gizzard & The Lizard Wizard – Infest The Rats’ Nest
Quindicesimo album in nove anni di attività, il secondo del 2019 (nel 2017 ne fecero uscire 5…) Un disco metal di una band sostanzialmente non metal. Neo-psych, cosmic, thrash per gli amanti delle pippe sui generi… per tutti gli altri è semplicemente un discone! (Bigme666)
Ciao nonna, sono su Sdangher! Non avete idea di quanto abbia fantasticato riguardo a questo preciso momento, negli anni passati. E ora che davvero vi parlo da queste sudicissime pagine non so precisamente cosa dire. Chiedermi di scegliere UN album tra quelli usciti nel 2019 equivale a propormi una ceretta integrale, che – guardate la mia foto – è decisamente uno strazio. Eppure… STRAAAAAAP! Ho scelto i Saccage (sono del Québec, quindi leggeteli con l’accento sulla seconda “a”) perché rappresentano un ponte pericolante, schifoso e massimamente degradato, pieno di tossici e barboni, tra il mondo hardcore e il metal estremo tutto. Non è un caso che ci sia una cover dei Nunslaughter. Nessun padrone, nessuna barriera. E ovviamente nessuna pietà. Saccage – Khaos Mortem (PRC Music / Suicide By Cops Records / Torture Garden Pictures Company) (Frank Blog Thrower)
Ghost – Seven Inches Of Satanic Panic. Lo scelgo perchè nessun altro lo farà: perchè non è un album e non è metal. Ma la combinazione tra dimensione ludica e freschezza compositiva mi rendono irresistibili queste due canzoni satanic-pop farcite di organetti, hooks, dick jokes e umori dark-late sixties manson-tarantiniani. Tobias Forge progetta ogni uscita con un disegno in testa, e lo realizza con qualità e lucidità. (Alessandro Viti)
Transiberiana del Banco del Mutuo Soccorso dopo oltre 4 lustri senza novità discografiche eccoli piu’ in forma che mai con una formazione nuova ma con lo stesso spirito e la stessa forza. Transiberiana è insieme innovativo e tradizionale, i brani sono un metaforico viaggio, anche il mio, di quelli disillusi ma che non smettono di andare avanti. Musica e parole, bellissimo e toccante. (Piero Vitriol)
Beast In Black – From Hell With Love
Gli Scissor Sister dell’heavy tunes! Qualsiasi fanatico delle borchie uscirà dal tempio vomitando indignazione appena sentirà roba come Sweet True Lies o Die By The Blade. Il primo sembra un incontro a tarallucci, vino e pentacoli tra Autograph e Village People; Il secondo invece poteva essere un brano degli Aqua se in mezzo non ci fosse una specie di Eric Adams che minaccia di sbracare il tempio di Sansone con la sola imposizione delle tonsille. Grande album, diffidate dalle apparenze! (Francesco Padrecavallo Ceccamea)
Quando un disco dimostra freschezza creativa al punto di non annoiare dopo ripetuti ascolti e mi entra in testa, mi rendo conto della sua validità. Ritual dei Tigers of Pan Tang è forgiato per resistere al passare del tempo, come pochi altri negli ultimi anni. (Simon Broglio)

Borknagar – True North. La scena estrema negli ultimi anni è più viva che mai e una conferma arriva dall’ispirazione con cui anche veterani del calibro dei Borknagar sono ancora in grado di realizzare un album per cui anche la parola di capolavoro non appare tanto fuori luogo. I norvegesi ci hanno dimostrato la loro grande apertura mentale, quella che li ha resi un gruppo in grado di spaziare tra il melodic black metal più malinconico e il prog rock e tutto quello che si può trovare tra questi mondi diversi. Mondi sonori diversi che si uniscono, in un mondo sempre più diviso, creando arte pura. (Maximus Doomicus)