(seconda parte, la prima era qui)
ROCK OF AGES
Il criterio per ordinare questa ricognizione decennale di uscite sarà anagrafico, nella convinzione che le condizioni materiali che sottendono alla produzione di un’opera artistica differiscano in caso si sia vecchie glorie alle ultime cartucce, artisti di mezz’età più o meno ancora in forma o giovani leoni affamati di gloria e ricchezza, per quanta si possa ottenerne in epoca di streaming, coda lunga, consumi di nicchia e mercati divergenti.La suddivisione, nel consueto stile irriverente della nostra testata, sarà quindi tra le seguenti categorie:
gente vetusta, ovvero campioni degli anni 70 e 80 che spesso ci si stupisce siano ancora in giro ma che storicamente resteranno sempre i più grandi nel genere (e incidentalmente i miei preferiti);
gente un po’ meno vetusta, emersa negli amati-odiati anni 90 dopo il grande spartiacque di inizio decennio (decennio della mia adolescenza, quindi quello nel quale si trovano molti degli artisti cui sono più legato affettivamente);
gente di seconda mano, che magari ha anche raggiunto il picco di popolarità negli anni dieci, ma il cui floruit, il momento cioè in cui il loro nome si è consolidato sulla ribalta pubblica, risale al decennio precedente (quello in cui recensivo tanto e seguivo la scena); infine, gente nuova, manifestatasi negli ultimi dieci anni, la parte più interessante per una forma d’arte che si possa definire vitale (ma ahimè non quella su cui sono più ferrato).
Le precedenti notazioni autobiografiche tra parentesi, infatti, non si devono soltanto a gonzo-narcisismo, ma le considero anche come una professione di onestà nel premettere, come già feci nella prima parte, l’estensione limitata e le scelte idiosincratiche dei miei ascolti decennali. Quindi mancheranno sicuramente tante cose importanti, e in all honesty (premonizione cifrata di gruppo prediletto da citare in seguito di pezzo) dirò anche cosa NON ho fatto in tempo ad ascoltare neppure in questi ultimi mesi di tentativo di recupero dell’essenziale.
GENTE VETUSTA
Partiamo dai due big player del genere, i Messi e Ronaldo delle copie vendute e dei dischi spaccacoglioni di 235 minuti. I Metallica hanno prodotto un disco solo, ma il primo decente a memoria d’uomo, e anzi persino una canzone (Spit Out The Bone) che definirei la loro migliore dai tempi di One.
Gli Iron Maiden hanno pubblicato un disco particolarmente brutto a inizio decennio e uno discreto a metà, garantendo tuttavia una messe sicura di fantasmagorici spettacoli dal vivo; un po’ il contrario dei Judas Priest, che sul palco cadono a pezzi ma che in studio hanno sorpreso con Firepower e non hanno davvero deluso neppure col bistrattato Redeemer Of Souls, che rispetto al celebrato successore paga soprattutto in termini di produzione e minutaggio.
Già, la piaga dei dischi troppo lunghi, che non ha risparmiato il pur complessivamente buono 13 dei Black Sabbath, una delle poche uscite di nomi storici che abbiano a buon diritto assunto lo status di evento. Status garantito dall’eccezionalità che per ragioni oggettive non potevano avere i lavori di altri dinosauri che, non avendo praticamente mai mollato, neppure si sono fatti desiderare, quali Deep Purple e Uriah Heep (hanno fatti un paio di dischi ciascuno, li avete ascoltati? Io qualcuno penso di sì, ma non ricordo bene, forse quelli degli Heep erano pure buoni, boh…).
Due dischi anche per gli Scorpions, Sting In The Tail era bello. Ma era il 2010, già ne è passata di acqua sotto i ponti, e un sacco di marchi storici (Aerosmith, Kiss, Motley Crue) nel frattempo hanno accumulato lunghissimi tour di addio e successive non troppo sorprendenti reunion più che dischi nuovi, oppure tour di reunion senza opportunamente fare dischi (Guns ‘N Roses).
C’è chi però per ovvi motivi ha chiuso davvero, e in modo straziante, come i Motorhead, giusto a metà decennio, non prima di aver regalato tre ultimi ottimi lavori che a ripensarci mi commuovo, ecco; oppure gli Slayer (qui però sulla parola fine non c’è da metterci la mano sul fuoco), forse con qualche anno di ritardo sul post-Hanneman ma con l’aggiunta di un Repentless che date le fosche premesse proprio così male in fondo non era.
Per due delle più grandi formula-bands che ci lasciano (e neanche gli AC/DC se la sono passata bene) scendiamo di qualche gradino per notare l’accresciuto rispetto ottenuto nel corso del decennio da due gruppi che il successo vero l’hanno vissuto solo in epoche lontane o lo hanno soltanto sfiorato. Sto parlando rispettivamente di Saxon e Overkill, che dopo tanti alti e bassi hanno trovato una continuità e prolificità su buoni livelli ormai sconosciuti a pressoché tutti i loro coetanei.
Oddio, a inizio decennio a dire il vero una bella botta l’avevano data anche gli Accept di Mark Tornillo. Blood Of The Nations e Stalingrad (enorme la title-track) restano nella top 10 decennale del metal classico, poi però i due dischi successivi hanno cominciato a mostrare un po’ la corda, un po’ come avvenne nella prima reunion dopo l’esaltazione di Objection: Overruled. La recente mossa del disco sinfonico per alcuni suonerà come una consacrazione, per me è una campana a morto che neppure ho ascoltato.
Abbiamo parlato di gruppi sempre uguali a sé stessi e di tedescume, quindi perché non spendere una parola anche per il figliol prodigo Rock’N’Rolf? Shadowmaker era un disco ancora troppo bizzarro per non far arrabbiare i fan più true che esistano, ma così naïf da risultare quasi apprezzabile. Running Wild tornati in carreggiata coi due dischi successivi, seppur ancora lontani dai vecchi fasti.
Restando in Germania, nella seconda metà del decennio Helloween e Gamma Ray hanno pensato bene di unire le forze e fare gli Harlem Globetrotters, dopo una serie di dischi che pregiudizievolmente ritengo talmente anonimi da non voler nemmeno fingere di aver ascoltato, così come ammetto di non aver ascoltato la regolare produzione di gruppi che pure in passato hanno significato qualcosa per me quali Rage e Grave Digger.
Che dire? Magari avrò sbagliato ma c’è un tempo per tutto, se mi sono perso qualcosa di significativo segnalatemelo nei commenti.
Non mi sono purtroppo perso niente del fortunatamente poco materiale prodotto dai Manowar, che hanno raggiunto livelli di abiezione artistica e oserei dire anche morale non toccati da nessun altro tra coloro che in un qualche passato hanno conosciuto gloria e diciamo pure anche grandezza.
Del resto non se ne va mai nessuno: in dieci anni hanno pubblicato dischi i Diamond Head, i Tygers Of Pan Tang, gli Angel Witch… dischi sempre più che dignitosi per quel che ho sentito, ma di certo lontani dall’essere punti di riferimento della decade metallica.
Generalmente più vitali le produzioni di coloro, un po’ più giovani, la cui fama risale alla seconda metà del decennio Ottanta. Penso in praticolare all’area che allora si definiva estrema, con i Carcass di cui si è già detto nella prima parte e i sempre rigorosi Napalm Death (Apex Predator – Easy Meat era su livelli molto alti), che però ultimamente battono un po’ la fiacca.
Ricordo un titolo di Blabbermouth in cui Barney diceva “the new album will be finished when it’s finished”, sollecitando così l’inevitabile commento “I’ll give a fuck when I give a fuck”. Ah, per i Morbid Angel ci si ricorda più del formalmente corretto Kingdoms Disdained o del What The Fuck-album Illud Divinum Insanium? La risposta potrebbe sorprenderci, mi sa.
Se andiamo verso il thrash ricordo un notevole Phantom Antichrist dei Kreator, un meno notevole Blood In, Blood Out degli Exodus, troppi dischi simili tra di loro dei Death Angel e un paio di uscite degli Anthrax, gruppo di cui tutti parlano sempre bene ma io le ultime canzoni che mi ricordo stavano su Sound of White Noise. Più rilevanti le mosse dei Testament che, dopo l’assunzione allo status di venerati maestri dei tempi di The Gathering, hanno riguadagnato uno Skolnick e centellinato le sempre valide uscite col fiore all’occhiello di Dark Roots Of Earth.
Last but not least dell’area Big 4 allargata, i Megadeth, un gruppo col quale uno avrebbe potuto legittimamente chiudere già dai tempi di Cryptic Writings, ma che nel bene e nel male continua a ripresentarsi come motivo di discussione ancora oggi. Sperando che la resilienza di Mustaine abbia la meglio anche sull’attuale malattia, è indubitabile che il personaggio, tra svisate politiche e ridimensionamenti dell’ego, mantenga una sua “notiziabilità” che invoglia a seguirne la pur incerta parabola artistica, sospesa tra flop come Supercollider e inattesi colpi di coda come Dystopia, con un Kiko Loureiro mai sentito così tagliente.
Dopo il thrash chiudiamo con due parole sul class/glam/street o quello che ormai si dice hair metal, in ricordo delle vecchie faide a base di lettere inventate dalle redazioni delle riviste dell’epoca: più che dischi nuovi sono stati da segnalare tour di reunion e di addio, film, musical, libri, parodie e celebrazioni. E direi che sia giusto così. Tra i gruppi che ho continuato più o meno a seguire mi viene in mente l’ampia ma ormai poco significativa produzione Quireboys, un corposo War Of Kings degli Europe e soprattutto un grande Better Days Comin’ degli Winger.
Ma quando si comincia a parlare dei poveri Winger, si sa, la gente si stufa di anniottanta e va in giro a comprare camicioni di flanella, per cui, con lo stesso entusiasmo di Billy Corgan al Luna Park,
vi diamo appuntamento alla prossima parte, sugli artisti anni novanta negli anni dieci.
P.S.: Ah sì, c’erano anche i Queensryche, ma già ne avevo scritto.
5 Dischi che è valso la pena pubblicare:
Carcass – Surgical Steel (2013)
Testament – Dark Roots Of Earth (2012)
Accept – Blood Of The Nations (2010)
Judas Priest – Firepower (2018)
Winger – Better Days Comin’ (2014)