Ieri sera, discorrendo equinamente con Ruggiero Cavallo Goloso, sono venuto a sapere che c’è un remake della serie di Bem il mostro umano. Mi è bastato vedere i fotogrammi per ritrarmi inorridito e reclamare ora e sempre la serie originale che forgiò il mio sfintere durante l’infanzia. Mi faceva cagare sotto, intendo, ok? E Ruggiero ha sottoscritto il mio scetticismo convenendo che certe operazioni di riciclo sono disprezzabili. Solo che poi ci ho riflettuto su un po’ e ho pensato quanto segue.
Immaginate che un amico venga da voi e vi dica: “ho deciso, apro una birreria. Sarà come quel locale che c’era vent’anni fa, te lo ricordi? L’horror club. Ci andavano tutti i ragazzi dei paesi vicini, era di successo. Ho parlato con il vecchio proprietario che mi ha concesso di utilizzare ancora il nome. Ci investirò per rendere l’arredo da brivido come e più di quello originale, e inventerò delle trovate più vicine ai gusti estetici dei ragazzi di oggi. Che ne pensi?” Difficile che gli rispondiate: “bella forza, stai riciclando un vecchio locale di successo per fare soldi facili. L’horror club è irripetibile e tu non dovresti azzardarti a rifarlo”. Pensereste piuttosto: “Cavolo sì, me lo ricordo, era una ficata. E potrebbe funzionare ancora, bravo, che bella pensata hai avuto. Io ci verrei sicuro!”
Ma davanti alla notizia di un un remake ecco che reagite proprio in quel modo: “codardi produttori, volete fare soldi facili replicando un vecchio film che funzionò 30 anni fa, ma che impresa eh?!”
Eppure la musica, il cinema, i fumetti, l’arte che più ci appassiona, sono sempre e comunque i prodotti di una gigantesca industria, dello spettacolo, l’intrattenimento, il tempo libero. E i prodotti di un’industria si creano perché qualcuno ci mette dei soldi e poi quei soldi li rivuole indietro con molti altri in aggiunta. Ma se i produttori riciclano vecchie idee (come se rifare Ghostbusters o Taxi Driver garantisca di sbancare il box office al 200 per cento) allora gli diamo addosso. E questo perché crediamo all’audacia e l’originalità che un artista dovrebbe perseguire sempre. L’artista e non chi ci mette la grana, se permettete. Oh, quello beh, peggio per lui se non ci rientra.
Ricordo che il regista/mago Jodorowski una volta disse questo: “Noi artisti dobbiamo fare tutto il possibile affinché coloro che ci mettono i soldi li perdano”. Questo perché è sempre stato convinto, come molti di noi, che un vero artista possa realizzare il meglio solo quando non guarda al successo, non si cura degli aspetti commerciali della cosa, ma bada alla purezza del proprio intento, alla genuina necessità creativa. E tutto sommato anche questa è un’illusione. Ci sono opere austere e purissime che fanno cagare. E soprattutto l’artista che non ha successo finisce quasi sempre per deprimersi e andare in crisi, fino a odiare il mondo.
Del resto non ricordo di aver mai visto nemmeno Jodo saltare di gioia fuori dai cinema vuoti dove nessuno si presenta a vedere i suoi film, cosa che quasi sempre, a onor del vero, è accaduta. In realtà nessun artista sarebbe felice di vedere il proprio sovvenzionatore rimetterci tutti i soldi e questo perché significherebbe niente pubblico e niente più sovvenzionatore. E quindi niente futuro. Un artista vuole un futuro di solito. Non pensa mai: ok, ho scritto La coscienza di Zeno, sarà sufficiente per la gloria, adesso vado a puttane finché mi reggono le coronarie e mi ubriaco, tanto qui ho finito. Persino Svevo tentò di creare qualcosa dopo il suo capolavoro e solo un incidente gli impedì di scrivere un altro libro. L’artista vuole in ogni caso il pubblico. E il pubblico, almeno nei contesti dove ancora è necessario pagare per fruire (quindi non ci riferiamo al mondo discografico) c’è se ci sono i soldi. Si tratta di un meccanismo sano e che soddisfa tutti. L’artista ha l’attenzione del mondo e il produttore i soldi del mondo.
Ma noi del pubblico seguitiamo a sprezzare i bisogni materiali di questi due enti – chi crea e chi paga la creazione – solo perché desideriamo sempre cose nuove e di qualità. E la ricetta per la qualità e la novità passa dal rischio, l’azzardo sincero. Ma il rischio c’è sempre, come si tirano fuori i soldi. E il nuovo è un’illusione consumistica, tutti in fondo lo sapete. Però vi illudete, e io con voi, che Joker non sia Taxi Driver e che Taxi Driver non fosse il remake allo sciroppo di mirtillo di Pickpoket di Bresson mescolato al racconto Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij; e che Per un pugno di dollari non sia I sette samurai e che Ancora vivo di Walter Hill non sia stato Per un pugno di dollari in versione Noir… o che il film di Kurosawa non sia stata la trasposizione in chiave samurai di Piombo e sangue di Hammett e che Hammett non avesse in testa Arlecchino servo di due padroni di Carlo Goldoni.
Qualcuno obbietterà di non vedercelo un burino della macchina da scrivere come Dashiell Hammett a gustarsi il teatro goldoniano sulla tretanovesima e poi tornare al suo ufficio pieno di fumo rancido pensando: “che bella idea quel fottuto veneziano, ci ficco le pistole e i morti ammazzati e tiro fuori un successone alla faccia sua, tanto chi se ne accorge?!” Certo che no, sono d’accordo, ma allora non ci siamo capiti: che lo si voglia o no, che si renda conto o meno, l’artista crea comunque qualcosa che è già stato fatto. E visto che tanto è così che vanno le cose, il produttore che desidera solo i soldi prende direttamente le cose che hanno funzionato e chiede all’artista di smetterla di pensar su alle minchiate sue e rifare quelle.