Vorrei prendere con leggerezza questo mio ennesimo sproloquio riguardo un’altra metal band italiana (non avete e non ho idea di quante ne esistano!) Vorrei tentare anche solo un accenno di ironia “alla Sdangher” ma non sono mai stato una persona particolarmente solare e frizzante e penso ve ne siate accorti. Insomma, l’argomento trattato dai nostri prodi nell’album non è dei più allegri.
Già l’artwork è tutto un programma: Due teschi a lato di una diga e, sulla muraglia della stessa, un crocefisso. Ecco subito i chiari simboli di quale sarà il mood dell’album. Ma perché la diga? Beh, perché come il sottotitolo preannuncia ( 9 ottobre 1963) il concept lirico è basato sui tragici fatti del Vajont e dell’esondazione del lago artificiale causata da una grande massa di pietra e rocce che, staccatesi dal monte Toc, finirono proprio dentro all’invaso. L’ondata si riversò a valle distruggendo paesi tra i quali Erto, Longarone, Villanova e Faé e strappando alla vita almeno 2500 persone. La scelta di parlare di questa tragedia per i ragazzi della band sembra quasi un tributo che hanno intenzionalmente voluto pagare alla loro terra d’origine, il Friuli.
In 12 tracce (con un minutaggio mediamente elevato) i Revoltons esplorano i diversi aspetti del fatto analizzando il disastro in sé, chi ne è stato la causa, la rabbia cupa e impotente dei sopravvissuti e gli strascichi della tragedia negli anni. Il protagonista, dichiarano, è un uomo che perde tutto per causa di scelte e accomodamenti politici che non tennero conto (come ancora succede troppo spesso) del bene superiore: le vite umane.
Un argomento sicuramente scottante e importante messo in musica da valenti musicisti. Un argomento che i sostenitori, tout-court, dell’avanzamento tecnologico “sempre e comunque” forse vedranno come fumo negli occhi, bollando i Revoltons, e me, come dei luddisti rimasti all’età della pietra. O che vorrebbero tornarci.
Niente di tutto questo. Semplicemente ci si augura che prima di mettere in opera qualsivoglia stravolgimento del territorio per un “bene superiore” vengano considerati a fondo i pro e i contro. E che questo tipo di esperienze insegnino qualcosa a chi verrà.
Ma torniamo alla musica, un mix di Iron Maiden, Helloween, Iced Earth, Metallica e qualcosa dei Pantera. Io ci ho sentito un bel po’ di “Vergine di ferro” e credo non sia un caso che appaia Blaze Bayley nella traccia Grandmasters Of Death.
La produzione a mio parere risulta un po’ “legnosa”. Non rimane molto altro da dire su questi prodi friulani in giro da diversi anni; infatti Underwater Bells Pt.2: October 9th 1963 Act.I è il quinto album da loro licenziato. L’invito è sempre quello: ascoltateli e giudicate voi. Per me un’altra bella realtà nostrana. E scusate se è poco!