Dopo molteplici ascolti di questo Sancta Delicta, Atto 2 dei Koza Noztra non so se improntare questa recensione sulla falsa riga del “bel disco rock cantato in italiano” o dell’anacronistico tentativo di risvegliare temi punk in un’epoca di neurodeliri e allucinazioni nichiliste.
In cui l’Italia si è disciolta nella bava dell’Alien del globalismo ed è ridotta a blob corrosivo che corrode i ponti, cola cola e rischia di far naufragare tutta la nave. La realtà delle cose come sempre però è più complessa.
Recupero Crediti, Il Diacono, L’Onorevole, Calibro 9, Il Trafficante e L’Annunciatrice, le Vestali, alias Koza Noztra, concept band, hanno un progetto scientifico che portano avanti da anni, almeno dal lontano 2008, anno della Grande Crisi – e non è un caso – un piano trasversale alle loro uscite discografiche che è anche un manifesto politico, un piano quinquennale bieco e dal fine non chiaro.
Come nelle migliori storie di “nera”, lo scopo è solo un pretesto per raccontare dettagli raccapriccianti, evidentemente. Cose su cui i Fulci e i Bava costruirono il loro longevo mito.
I milanesi, dal canto loro, non possono che stare al centro di ciò che accade, in Italia e fuori: vedono l’anteprima di ogni disastro perché a Milano ha inizio tutto, accade prima che altrove, nel bene e nel male.
Le mode qui si radicano e passano prima che là fuori vengano considerate avanguardia, ecco perché ci sembra che il racconto degli episodi contenuti in Santa Delicta Atto 2 abbiano un non so che di circolare. Un futuro che è anche passato: alta finanza e legami tribali si fondono in una Santeria di immagini sacre e patti di sangue.
Ma in tutto questo la radio suona il rock e devo parlarvi anche e soprattutto dell’offerta musicale dei Koza Noztra.
Qui le cose si fanno un tantino più definite e forse scontate, quanto basta per darci almeno qualche riferimento e lasciarci capire cosa stiamo ascoltando.
Partirò dalla fine e cioè dalle due cover inserite nella tracklist: Requiem è la cover cantata del pezzo strumentale In the Blink of an Eye del compositore di soundtrack Kevin Teasley, pregevolmente arrangiata. Scenari distopici con la pala, è forse l’episodio più convincente del lavoro.
L’altra, Koza Noztra, è una versione heavy del pezzo Ka-Ching di Shania Twain che, per inciso, cominciava col campionamento di moneta metallica di Money dei Pink Floyd di cui Ka-Ching è proprio l’onomatopeia. Il mondo gira attorno al denaro bla bla bla.
Certo, non minimizziamo. Santa Delicta Atto 2, va oltre queste due cover e inevitabili sono i riferimenti a quelle grandi realtà dell’underground italico (Disciplinatha su tutti) che, in altri tempi, avremmo definito punk ma che oggi rappresentano l’underground vero e oltranzista che campeggia come il manifesto di rivendicazione di tanti gruppi nostrani che non si accontentano di fare gli amerregani.
Perché, a ben guardare, il nostro punk ebbe delle caratteristiche uniche e irripetibili. E questa è la chiave della questione. Possiamo accontentarci dell’eco di un tempo che fu, sebbene avvolta nell’aura della profezia, come dicevamo prima, avanguardista dei tempi che viviamo?
E potremmo, al limite, anche immaginare come sarebbe stato un Jello Biafra nato artisticamente a Lodi, nel bel mezzo degli Anni di Piombo. Ma l’Italia in quegli anni ebbe i De André di Storia di un Impiegato e solo nei primi anni 80 avremmo avuto una reazione al cantautorato. Quando le piazze erano piene di paninari e non più di metalmeccanici. Ma questa è un’altra storia. Forse.
Il punto è che, gira gira, ma ancora non riesco a parlarvi di questo disco dei Koza Noztra senza farvi riferimenti ad altro e farli a me stesso. Il disco è ben suonato e ben prodotto, i testi hanno metriche accattivanti e non mancano spunti interessanti, eppure questo divagare è, oggi come oggi, in qualche misura, sintomo di omologazione. Il che fa a cazzotti coi temi profetici alla Warrior Soul, le atmosfere cupe, le liriche di cui vi dicevo all’inizio bla bla bla.
Il rock deve essere impatto più che contenuto e i Koza Noztra certamente sono divertenti e spaccano di brutto dal vivo, hanno evidenti doti tecniche e compositive, hanno tante idee, non fanno l’occhiolino agli americani e proprio per questo, alla fine, capisco quell’unico dettaglio che mi stona.
Se questo disco fosse uscito alla fine degli anni Novanta del ‘900 non avrebbe avuto difetti ma oggi non possiamo far finta di non accorgerci che suona vecchio. Un difetto che i nostri condividono col 99% della scena nostrana, il che lo rende indubbiamente più sopportabile ma non meno grave perché da gente così ci si aspettano calci nelle porte, edifici in fiamme e vittime sull’asfalto.
In termini di rottura delle barriere di un genere, di sperimentazione, di ricerca di nuove forme e invece si ritrovano vecchi, pregevoli, inattaccabili stilemi… se non possono osare loro, coi loro mezzi, chi può?
Questa domanda è destinata ancora una volta a restare senza risposta.