Escludendo che non sia una trovata di Padre cavallo – e voglio fidarmi – per aumentare “lo share e lo sharing” del sito più stallatico della storia del fetish-porn-horsemetal, condivido alcune riflessioni sulla lettrice di Sdangher e la lettera che ha inviato alla redazione qualche giorno fa. Una lettera dove la sconosciuta dichiarava il suo amore per il metal, ma aggratis. Andatevela a leggere che così evito di fare la parafrasi. Alcuni commenti sotto la condivisione dell’articolo su facebook sono di persone che suonano o che ascoltano metal da decenni. E costoro puntualizzano come senza un investimento da parte degli appassionati il “mercato” (virgolette d’obbligo perché bla bla bla! Già sapete…) del metal sarebbe morto molto molto prima di adesso. Altri commentatori aggiungono come non sia assolutamente vero – e son d’accordo – che le support band ai nomi famosi o le band underground siano tutte delle ciofeche come sostiene la tizia. Però penso che, in fondo, la lettera abbia toccato dei nervi scoperti che il metalhead tende a nascondere.
Per esempio: è da un po’ che penso alla compulsività del possedere il feticcio – Cd, vinile, T-shirt o sailcazzo cosa – delle band preferite. Non sto mettendo in discussione la passione che il metallaro riversa nell’ascolto, l’attenzione che mette nell’interiorizzare il tal passaggio o riff o assolo. Però l’album, e le stesse band, spesso diventano oggetti, e oggetto, di culto.
Culto che all’interno di un movimento già di per sé settario e settorializzato crea altre zone di nicchia facendo sì che il tutto diventi più asfittico e monolitico. Almeno qui in Italia, dove se sei un defender, uno che impugna la spada, spesso sembra sguainare quella “dèffocoooo!” di verdoniana memoria con cinquanta sottointesi omosex. Se sei un blackster non possiedi gusto estetico e ti piace Satana (non Santana) e il rumore. Se sei un metalcorer… beh: sei come la croce rossa. Esiste il divieto dello spararci sopra ma poi tutti quanti la riempiono di sputi.
Non so come sia all’estero ma qui in Italia, dove la crisi economica è una questione annosa e che negli ultimi quattro lustri si è pure incattivita, non riesco a dare del tutto contro alla ragazza. Mi ritrovo in quella “no man’s land” dove mi sento diviso tra chi dice che se non si comprano gli album di Lars Ulrich, Lars Ulrich non può continuare a fare la vita che fa e a usare quel maledetto rullante alla St. Anger nei prossimi dischi e chi dice che: “Vaffanculo anche le copie fisiche dell’album dei Decrepit Psyco Elder. Tanto c’è la rete Ggggiggitale! Ho 200000 Petabyte al mese e mi scarico pure i porno vintage di 40 anni fa! Faccio fatica a finirli (i Petabyte non i porno) anche guardando 24 ore su 24 le serie di Merdflix o YouSbor quindi cazzomene!”
Come sempre o quasi la verità sta nel mezzo. La signorina parente di Paperon de Paperoni in quanto a taccagneria ha una visione del mondo pratica e disillusa. Forse un po’ egocentrica dal momento che afferma, in maniera del tutto sacrosanta, che prima pensa ai suoi bisogni e non certo a quelli delle rockstar miliardarie. Forse ex star miliardarie a questo punto…
Magari è una caratteristica delle nuove generazioni che impoverite, vessate e bastonate nelle speranze future, si prendono la loro, probabilmente inutile, rivincita nei confronti di un segmento, certo il più marginale ma quello che è più alla loro portata, di quel mercato che è ormai percepito come un nemico extra-nazionale.
Forse sono solo seghe mentali le mie. Ma non credo che il discorso dell’affezione alla scena possa stare in piedi se dietro non c’è un certo substrato culturale ed esperienziale. E le esperienze fatte 40 anni fa da individui che, ora, hanno più di 40 anni, non sono le identiche di chi ora ha solo 20 anni e si illude di fare le stesse esperienze sensoriali di allora (Ascolto un compact-disc e nel mentre mi annuso il libretto).
Ricordo la mia infanzia, i miei ascolti, i miei tormenti e insicurezze, le mie stupide battaglie – che allora mi sembravano vitali – con il mondo. Investivo molto del mio tempo a cercare un recondito significato nei testi dei miei beniamini. Credevo di averne colto il succo, d’aver raggiunto il cuore dei concetti ma con il tempo mi sono dovuto ricredere e sono stato costretto a vedere come tutto fosse un’illusione, un autoinganno che poco o nulla aveva a che fare con i reali significati di frasi espresse in una lingua mai del tutto compresa e studiata.
Le traduzioni raffazzonate non potevano farmi capire a pieno cosa ci fosse spiegato nelle canzoni che ascoltavo. Quando la traduzione maccheronica non portava da nessuna parte, cercavo di tradurre la “sacra scrittura di gente come Rob Halford o Ronnie Dio” partendo dalle atmosfere che la musica mi trasmetteva. Un’altra illusione, ancor più cocente perché cazzo ne sapevo io che anche nella lingua inglese ci sono i modi di dire, con frasi che paiono intendere una cosa e che invece ne intendono un’altra? (Grinder sarebbe l’arrotino? Women, Is Arrived The Graaaiiiindeeeerrrr!)
Tutti i testi dei gruppi che amavo, da ragazzino li traducevo alla lettera e, quindi, comprensione del testo sotto lo zero! Ovvio che non pretendo d’affermare che il mio caso si possa applicare a chiunque. E neppure all’autrice della lettera. Magari l’inglese lo sa bene o, magari, di cercare i significati che possano esser da stampella a un individuo timido e impaurito dal mondo (e anche un pelo passivo-aggressivo) come ero io tra i 15 e i 30 anni alla signorina non frega nulla.
Dove voglio andare a parare con questo delirio? Che per me gli album, fossero originali o meno, erano dei libri o, in maniera più romantica, dei talismani o delle chiavi che mi avrebbero potuto condurre alla piena comprensione di me stesso e del mondo. Li idolatravo anche io, i miei album. Idolatravo anche le band delle quali non si sapeva tanto, nonostante le riviste in cartaceo mi tenessero “aggiornato”. C’era quel distacco, tra artista e fan, sufficiente e necessario per far sì che l’alone di mistero attorno agli artisti fosse incrollabile. Oggi l’artista lo trovi sui social e spesso questa cosa è una delusione. O almeno così è successo a me. Forse è successo a tanti altri.
L’artista è visto, quando va bene, come un amico che fa cose belle nella vita, fa quello che più gli piace, talvolta mantenendosi con questo, spesso mantenendosi con un altro lavoro, e ci/si diletta con la sua musica. Quando è il momento del tour si fa un giretto per il mondo cercando, come un qualsiasi piazzista, di vendere il prodotto del suo lavoro-che-è-anche-un-hobby.
Ormai cosa non si trova sui social? C’è tutto sul web. E, ripeto, se una volta un artista riusciva a mantenere quell’atmosfera di segretezza che ti metteva pure in soggezione “costringendoti” a comprare l’album perché: “Oh cazzo! Primo: è introvabile! Secondo: se lo meritano e anche loro devono campare! Terzo: posso farmi bello al pub ché ce l’ho solo io e gli altri a rosicare!” adesso dell’artista sai pure quante volte va in bagno.
Si conosce tutto o quasi delle sue idiosincrasie, delle sue preferenze politiche e sessuali, delle sue pendenze con la legge e la società… insomma: il mito dell’artista nella sua torre d’avorio a trafficare con pause, note, suoni e strumenti musico-alchemici, è finito. Nella realtà quell’alchimista rivoluzionario non c’è mai stato. Era una proiezione della mente del fan adolescente che voleva credere a tutti i costi che per fare musica così sublime si dovesse essere per forza sublimi, non conformi e non necessariamente sotto l’effetto di qualcosa. E, amando cose così sublimi lo si diventava a nostra (mia) volta.
Il bello del metal era anche questo. Il fatto di farmi sentire migliore rispetto a quello che in realtà ero e sono. Per questo sostengo che la fanciulla sia una tipa pratica. Una che bada al sodo e che dice (e non ha neanche tutti i torti a mio parere) che piuttosto spende 20/30 euro per un buon paio di auricolari e si ascolta i file che le piacciono su You Tube o Spotify (Craccato?! Manco sapevo esistesse!)
Perché spendere mille-mila euro per gente che, per quanta pena ci faccia sul lato umano (tipo Timo Tolkki), poi ti combina pastrocchi e “gabole” strane per racimolare qualche migliaio di euro senza finire l’album, mandando in vacca ogni cosa e tu stai lì, fiducioso, ad aspettare che ti arrivi la benedetta copia fisica che non vedrai probabilmente mai? Perché fare dei pre-order su siti di etichette semi-sconosciute, che oggi ci sono e domani chissà, per avere il nuovo album dei “PincoPallo” e poi non ti vedi più recapitati a casa i CD perché nel frattempo non esiste più la label?
Perché dare ancora e ancora soldi ai dinosauri del rock/metal che ormai hanno accumulato, loro sì, un imponente gruzzolo per le loro dorate pensioni, dal momento che la loro carriera cinquantennale iniziò negli anni belli del mercato musicale e dal momento che, triste rendersene conto, oggi hanno raramente qualcosa da dire?
Diciamoci la verità: l’ultimo album veramente degno del nome di Ozzy Osbourne è No More Tears. Era il 1991. Ventinove anni fa! Questo è solo un esempio ma se ne potrebbero tirar fuori altri. La ragazza afferma che non va ai live per una serie di motivi tutti da me condivisibili tipo che prima di mettere il naso fuori dalla porta hai già buttato al vento 10 euro. Da dove sto io, per esempio, andare a Milano, solo andata, ho speso 12 euro (l’anno scorso). Altrettanti al ritorno. Poi mettici la benza, mettici il merdoso panino Camaldoli all’autogrill e una Coca ghiacciata che ti fa venire la diarrea dopo 20 secondi netti, mettici il costo del biglietto, che in Italia è uno sproposito checché ne dicano i presenzialisti e quelli che: “Ah! Ma se non c’eri non sei un vero metal-head e se non ti piace l’ultimo dei Mentadenth in realtà non ne sei mai stato fans! E allora state pure a casa! Colpa vostra se la scena muore ecc ecc ecc!!”
In realtà la scena, in Italia, è nata morta. L’Italia è un paese di vecchi per vecchi. Gente che ancora ama le canzonette di Claudio Villa e Tajoli. Un posto nocivo e mefitico che ottenebra le menti anche dei più giovani perché l’esempio di dialogo poco sopra descritto può esser proferito solo da menti ristrette e ripiegate su se stesse. Menti irregimentate e recintate dentro canoni falso-estetici e falso-culturali (le menate occult che si ispirano ai vari Lavey, Blake, Crowley ecc ecc andavano bene quando in Italia circolava il Corriere della paura e Splatter) che se la tirano al pari dei paninari.
Sono tutti così, i metallari? Non credo tutti tutti. Ma qui, nella bassa modenese di esempi positivi ne ho visti pochi. Il problema degli individui che fanno di una cosa una fede è sempre il solito: diventare degli integralisti proprio come gli integralisti islamici.
Ci caddi anche io in queste pastoie. E se comunque non mi piacciono assolutamente certe sotto-correnti del metal e mi diverto a scherzare sugli stereotipi che possono aver contribuito a far decadere il metal “più vero”, mi piace scherzare anche sui sotto generi che mi piacciono. E, sopratutto, ho smesso da tempo di credere che il metal salverà il mondo. Chi può salvare me stesso sono solo io e nessun altro. Se la tipa ha deciso di intraprendere la via dello “scroccaggio” buon per lei.
In fondo non stiamo parlando dell’ottavo peccato capitale no?! Chi sono io per criticare una che non la pensa come me? Io che, per bisogno, ho venduto tutti i miei Cd negli anni accumulati? E che non ci sono stato male più di tanto perché comunque,e per fortuna, ci sono altri modi per fruire della musica che amo. L’adattamento alle condizioni di un mondo che cambia in continuo è una dote che l’essere umano dovrebbe possedere. E se posso condividere con molti di voi la nostalgia e il romanticismo per un’epoca, l’infanzia nostra, che mai più tornerà, non posso per questo continuare a credere che la cosa giusta per “mantenere la scena” sia il continuo esborso di soldi che se ne vanno tutti in un battito di ciglia.
Il fruitore di musica deve evolversi e così lo devono fare gli artisti e il mercato musicale. A mancata evoluzione coincide l’estinzione. Sono un ciuco in una stalla di cavalli di razza? Può darsi. Ma sinceramente non mi interessa. Tra scegliere se racimolare due soldi per tirare avanti o il tenermi la mia feticciosa collezione la scelta è stata chiara e irrevocabile.