Negli ultimi anni leggo in giro un sacco di gente che rifiuta la modernità e la società tecnologica. Nel metal, giusto per fare un esempio, ormai pullulano le band e i dischi che vorrebbero cristallizzarsi in una sorta di arcadia idealizzata, lontano dal traffico e dalle ZTL, dai contratti a tempo e da PayPal, dove si promuove un nazionalismo da Looney Tunes in lingua originale e si sbatte la panna di burro ancora nella zangola. Cosa già abbastanza ridicola detta così, visto che questo genere di dissenso, solitamente è veicolato proprio con i mezzi più potenti di un certo tipo di evoluzione tecnologica.
C’è da dire che il fastidio per quello in cui le robe social e smart ci hanno trasformato io lo capisco anche. Bastano piccoli esempi quotidiani. Siamo così abituati al culo coperto che ormai sono il nostro diario di Facebook, Google Maps e i tempi di consegna di Amazon a dettare i nostri ritmi individuali; passiamo più tempo a cercare qualcosa di decente da guardare su Netflix di quanto ne impiegheremmo per arrivare al cinema più vicino e guardarci JoJo Rabbit, per non parlare della nostra ossessione a essere sempre up-to-date grazie ai titoli dei quotidiani e alle condivisioni di notizie online, che abbiamo perso completamente il piacere di non sapere un cazzo per giorni interi. Tuttavia questa repulsione verso il progresso tecnologico, nell’era dell’identità digitale, secondo me è di natura esistenziale, quindi cerco di capirla da un’altra parte.
Una volta, parlando come facevano secoli fa, c’erano le classi sociali e i mestieri, così che uno conosceva benissimo il suo posto nel mondo. Potrei sbagliarmi, ma credo fosse più facile capire cosa ti mancasse. Immagino ci si potesse incazzare per quello che il signorotto ti aveva portato via o per la guerra che ti aveva maciullato il campo di pannocchie, ma almeno sapevi benissimo chi eri. Invece nel nostro presente quel sistema è stato sovvertito da uno molto più semplice ma meno distinguibile, in cui la falce del darwinismo da social ha messo uno spartiacque tra le menti più efficienti e produttive e tutti gli altri, ovvero quelli incapaci di stare al passo, quelli che sanno fare benissimo cose ormai inutili come rilegare un volume ottocentesco, super-imporre arpeggi di settima su accordi di dominante secondaria o vendere dischi, ma che vivono spazzando i corridoi o tirando su merda di gallina.
È un mondo diviso tra gli alfieri del migliorismo e quelli che sono una specie di Ed Wood dell’esistenza. Ovviamente questa distinzione non è netta, e nel marasma internettiano svanisce. Tutti siamo tecnologicamente attrezzati allo stesso modo, gli smartphone da mille euro fanno esattamente le stesse cose di quelli che costano un quinto, tagliandiamo le stesse automobili e conserviamo gli stessi scontrini per la garanzia di cazzate che comunque si romperanno per contratto, solo per raccontarci la favoletta che siamo una società equa, giusta e democratica.
Quindi il divario descritto, per quanto profondo, diventa quasi impercettibile e a volte, a differenza del manovale del secolo scorso, il bonario ignorante che si fumava 40 Marlboro al giorno raccontandoti le barzellette onte, non capisci più chi cazzo sei. Io a volte non lo capisco e provo una sincera invidia per quel tipo di persone. E mi sento doppiamente di merda perché so benissimo che sono io, sulla carta, quello che sta meglio tra i due (e con la schiena più sana). Chissà, forse è anche per questo che siamo ossessionati dalla privacy sul web: non vogliamo correre il rischio che qualcuno possa sbatterci dalla parte dei falliti, ed è da questo presupposto che poi nascono gli sfanculamenti quotidiani per l’università della vita e gli impiegati presso sé stessi.
Ma nonostante questo, nonostante il fastidio e la frustrazione, nonostante gli sbrodolanti lamenti da coccodrillo, mi domando anche se abbia veramente senso opporsi alla trasformazione in atto, continuando a titillarsi su scenari distopici futuri da toccarsi i maroni. E soprattutto, ha senso cercare di razionalizzare qualcosa che è completamente fuori dal nostro controllo?
Il mondo e internet sono ormai talmente un merdaio (e non per la tecnologia, di per sé) che solo qualche sciocco idealista potrebbe ancora credere che la ragione sia ciò di cui abbiamo bisogno per sturare la latrina: nessuno tira l’acqua da molto, troppo tempo ormai. Non sarebbe forse meglio l’accettazione, riderci su e passare oltre?
Per me la vita è veramente troppo breve, e prima di finire sotto un metro e mezzo di terra, vorrei giocare a Bloodborne 4 su PS7, poter glorificare la morte di un artista che amo su un futuro social globale fatto dai cinesi, pianificarmi un viaggio in Giappone evitandomi spiacevoli sorprese grazie a versioni potenziate di Trip Advisor e Booking. Svuotare la mia libreria grazie ad una specie di Kindle ottico ultra compatto (e lo dice uno che di lavoro vendeva libri antichi).
Io voglio diventare il classico vecchio con il cappello che sta ore a guardare un cantiere con i robot di Amazon al lavoro, facendo il cagacazzi con i giovani al suon di “ai miei tempi”. E su internet, perché a quel punto sarà la piattaforma usata dei vecchi inutili come sarò diventato io. Quindi, anti-moderni e anti-tecnologici che non siete altro, ammettetelo: voi volete che vada a finire come in una banale puntata del pallosissimo Black Mirror, solo perché così avrete il pretesto per fare finta di rifugiarvi nella Contea dei vostri sogni e nobilitare quello che a conti fatti è soltanto un capriccio snob, perché tanto anche voi avete il culo pigro come il mio grazie alla plastica e all’immaterialità. Per quel che conta, ho comunque il sospetto che Mordor esista per davvero nel nostro mondo, ma sono certo che la Silicon Valley non sarà mai come Cirith Ungol.