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“Sognamo di pubblicare l’autobiografia di Steve Harris!” – Intervista a Tsunami Editore

I ragazzi di Tsunami mi sorprendono sempre. Seguo con grande attenzione la loro attività e sono un buon cliente ma ho sempre nutrito qualche riserva su alcuni titoli da loro pubblicati in passato. In questa intervista ne ho approfittato per non mandargliene a dire e ho fatto domande davvero antipatiche ma loro non si sono tirati indietro, neutralizzando con intelligenza e simpatia i calcioni di Sdangher! Leggete e scoprite sogni, speranze e delusione di una piccola casa editrice che ha saputo scommettere su un pubblico che il mondo editoriale solitamente non contempla tra i “lettori forti”: i metallari!

1 – Allora, Tsunami è una piccola realtà editoriale ma si difende bene. Sono undici anni che girate e io penso che, data la situazione attuale, sia una specie di miracolo. Il segreto qual è? Avete trovato una piccola nicchia che nessuno aveva soddisfatto prima di voi?

Pensiamo che non ci sia un vero e proprio segreto, quanto un mix di fattori: lavoriamo duro, cerchiamo di pubblicare libri di qualità che possano interessare gli appassionati come noi, sappiamo prenderci dei rischi e – non ultimo, come giustamente sottolinei – abbiamo dato fiducia a un pubblico di lettori, quello del rock duro e del metal, che quasi tutti avevano snobbato e sottovalutato, salvo rare e sporadiche eccezioni. E questi lettori hanno ricambiato la fiducia donandoci il loro supporto: se siamo ancora qui è prima di tutto grazie a chi compra e legge i nostri libri. Certo, è difficile stare a galla, ma ne vale sempre la pena.

2 – Tsunami pubblica libri in traduzione e talvolta offre la possibilità a degli Italiani di scrivere di band straniere. Per esempio avete pubblicato un lavoro sui Venom, uno sui Savatage, uno sui Death. Purtroppo la differenza qualitativa è evidente. Non credete che un italiano parta troppo svantaggiato per riuscire a scrivere testi avvincenti e autorevoli su gruppi americani e inglesi?

Non condividiamo affatto questa opinione. Gli autori italiani partono senza dubbio da una posizione di difficoltà (soprattutto per quanto riguarda la ricerca delle fonti e del materiale), questo è palese, ma spesso sanno cavarsela molto bene e parlare di “evidente differenza qualitativa” è ingiusto. Anzi, alcuni di questi libri rimangono a tutt’oggi i primi tentativi a livello mondiale di scrivere biografie su certi artisti internazionali: Savatage e Chuck Schuldiner tra quelli che citi, ma vogliamo ricordare anche Death in June, Dead Can Dance e diremmo pure Nine Inch Nails, visto che all’estero non esiste un libro completo quanto il nostro. Su quanto possano essere avvincenti, dipende dallo stile dell’autore, dalla struttura del libro e ovviamente dai gusti di chi legge, ma l’autorevolezza non va messa in discussione; gli autori italiani sono esperti e capaci tanto quanto i loro omologhi stranieri, a volte pure di più. E, come nei casi citati, sanno prendersi rischi e impegni che altri che avrebbero vita più facile non si prendono.

3 – Sono felice che abbiate continuato a scommettere su una penna come Ian McIver, che dopo il capolavoro sui Metallica editato da Arcana, rischiava di non poter più raggiungere il pubblico italiano. Che tipo è, Ian? Avete qualche altro suo titolo in cantiere?

Ian e Joel McIver

Purtroppo, su Ian non sappiamo dirti nulla, ma Joel McIver è davvero un bravo tipo! Scherzi a parte, è un ottimo scrittore e una gran persona. L’abbiamo incontrato più volte, e pure portato in Italia anni fa per presentare la sua biografia di Cliff Burton, uno dei tanti suoi titoli che abbiamo pubblicato. È molto competente, entusiasta il giusto, e soprattutto un gran professionista della scrittura sotto ogni punto di vista, dalla ricerca delle fonti alla stesura dei libri. In questo momento abbiamo per le mani un paio di cose sue che stiamo valutando, speriamo di concretizzarle.

4 – Sono convinto, nonostante il vostro contributo, che in Italia non sia ancora uscito un libro davvero attendibile sul black metal. Con il death e il grind ci avete preso alla grandissima pubblicando i testi di testi di Albert Mudrian, Daniel Ekeroth e Jason Netherton, ma per il black avrei sperato nella traduzione del superlavoro di Dayal Patterson.

Anche qui, non ci sentiamo di condividere questa opinione. Piaccia o meno, LORDS OF CHAOS è una pietra miliare della letteratura dedicata al black metal, uscito in tempi non sospetti, ancora attualissimo e soprattutto parecchio attendibile, così tanto che molti dei personaggi coinvolti un po’ si vergognano di tutte quelle dichiarazioni rese quando erano giovani e ingenui. E il fatto che ancora se ne parli, a vent’anni e più di distanza dalla prima pubblicazione in lingua inglese, dovrebbe far ragionare. Poi vorremmo spezzare una lancia anche per COME LUPI TRA LE PECORE, che pur dedicandosi a una nicchia molto specifica, è stato il primo libro al mondo a mettere sotto i riflettori una deriva del black metal dai connotati pericolosi e preoccupanti (e infatti è stato pure tradotto in diverse lingue). Per quanto riguarda invece l’aspetto prettamente musicale del genere, sentiamo di aver dato un bel contributo con i tre volumi del BLACK METAL COMPENDIUM, che offrono un’ampia panoramica delle pietre miliari, dello sviluppo e della varietà del genere, dalla second wave a oggi. Il lavoro di Patterson, comunque, l’abbiamo sotto gli occhi da un po’ (l’abbiamo letto appena uscito), ma al momento non si sono ancora creati i giusti presupposti per un’edizione italiana.

5 – Voi pubblicate libri sui Cure, Amy Winehouse, il bellissimo Tranny, sul cantante dei punk Against Me e la sua disforia di genere, un libro sui Disciplinatha e persino un volume su Antonius Rex ma ho come l’impressione che il vostro sia un pubblico sostanzialmente metallaro. Sbaglio?

Permettici una piccola correzione: LA cantante degli Against Me!, oggi si chiama Laura e il senso del libro è proprio quello di rimarcare questa differenza. Siamo molto contenti che tu l’abbia apprezzato, è tra i titoli che siamo stati più fieri di pubblicare, nonché uno dei nostri libri Tsunami preferiti in assoluto! Tornando alla domanda, secondo noi hai ragione: dato anche il numero notevole di libri che dedichiamo al genere, è probabile che la gran parte dei nostri lettori sia composta da metallari. E la cosa ci fa piacere! Nonostante quello che pubblichiamo spazi anche molto al di fuori del metal, come del resto i nostri gusti musicali, lo consideriamo sempre il nostro principale genere di riferimento. Veniamo da lì, lo adoriamo e non abbiamo intenzione di abbandonarlo.

6 – Avete pubblicato un sacco di roba. Ditemi almeno un titolo che vi ha sorpreso per le vendite e uno che invece vi ha un po’ deluso.

Ce ne sono diversi per entrambe le categorie, per fortuna e purtroppo. Dovessimo sceglierne due soli, ti diremmo che I 100 MIGLIORI DISCHI DEL PROGRESSIVE ITALIANO è quello che più ci ha sorpreso in positivo, vendendo circa il triplo di quello che fanno normalmente i libri della medesima collana. Aprendo una parentesi, sappiamo bene che non sopporti questo tipo di libri, ma hanno un loro pubblico composto in larga parte da neofiti o semplici curiosi che amano addentrarsi in un genere facendosi consigliare da una penna esperta, oppure da appassionati desiderosi di carpire qualche dettaglio in più su generi che già conoscono. E a volte sono molto trasversali e sanno colpire, come in questo caso.
Un libro che invece ha venduto molto, molto meno delle sue reali potenzialità è COWBOY SONG, la biografia autorizzata di Phil Lynott dei Thin Lizzy, che ci sembra pure tu abbia apprezzato. È un racconto davvero eccezionale su una persona altrettanto eccezionale, e il fatto che qui da noi un personaggio del genere non riscuota alcuna curiosità ci ha davvero stupito – e deluso – molto.

7 – Esatto, trovo che Cowboy Song sia tra le più belle bio musicale che abbia mai letto. Per quanto riguarda il discorso 100 dischi di… capisco benissimo sia l’interesse del pubblico che la scelta di realizzarne. Peccato che spesso i nomi delle grandi band non si incontrino con quelli di grandi giornalisti. Capita di leggere biografie dei giganti del rock e del metal che sono dei compitini ben fatti di autori buoni per tutte le stagioni. Però ogni tanto succede qualcosa di diverso, come nel caso della citata bio su Lynott o il libro del grande Albert Mudrian Choosing Death, ma non dimentico I suoni e le idee della britannia esoterica di Cresti, il libro sul Goth Rock di Thompson. Ovviamente conta il soggetto del libro, non chi l’ha scritto, giusto?

Mettiamola così: il gruppo, l’artista o il genere di cui si parla è la prima cosa che prendiamo in considerazione, ma i parametri in base a cui valutiamo la pubblicazione sono ovviamente anche altri. Per esempio, il già citato TRANNY parla di una band pressoché sconosciuta da noi, ma è stata la storia personale di Laura ad averci catturato. Oppure THE DIRT, che potrebbe essere la biografia di un’altra band e sarebbe comunque un libro scritto in maniera eccezionale. Diciamo che però non tutti sono in grado di scrivere libri che abbiano uno spessore notevole anche dal punto di vista letterario, oltre che puramente saggistico, per cui quando i due mondi si incontrano vengono fuori letture particolarmente soddisfacenti sotto tanti aspetti. E per fortuna non capita così di rado. Un ottimo esempio è il nostro (e lo diciamo con orgoglio) Giovanni Rossi.

Giovanni Rossi, segnatevi questo nome, gente! La foto fa cagare, lo so, ma i suoi libri no.

8 – Tra le cose più deludenti che avete pubblicato ve ne elenco tre. Il libro di Zakk Wylde, quello sui Rammstein e il libro su J.R.R. Tolkien di Giorgianni. Il primo lo considero un’occasione mancata. Con tutte le cose che avrebbe potuto raccontarci Zakk, il libro finisce per tirar fuori solo storielle birrose e un po’ dementi che daranno anche la misura di cosa significhi il personaggio Zakk Wylde ma di certo non l’uomo. Il secondo dei Rammstein l’ho trovato fiacco. Una band così eccitante trattata da una scrittrice, Kyt Walken, che non ho trovato all’altezza. Il terzo libro, quello di Giorgianni (a cui riconosco una grande competenza su Tolkien) credo sia viziato da un errore strutturale. Non si può ricostruire la storia di un genere musicale usando you tube e i database di internet. Bisogna ricostruirla andando sul campo, le riviste, la percezione effettiva che il pubblico ha avuto di certe band all’epoca, tracciando un percorso sociologico più che cronologico. Faccio un esempio: oggi i Manilla Road sono indispensabili per descrivere il “Tolkien Metal” e di sicuro sono dei precursori. Ma non possiamo definirli una influenza indiscutibile per tutti quelli venuti dopo di loro, perché i loro dischi, di fatto sono diventati disponibili negli anni 90. Prima li conoscevano in pochi. Quindi non si può di certo piazzare i Manilla prima delle band del 1988, per dire. C’erano ma di fatto non esistevano ancora per il grande pubblico degli artisti stessi. Quindi non potevano rappresentare un’influenza. Che ne pensate di questo? Non credete che certi giornalisti dovrebbero stare attenti, con internet? È una gran risorsa ma impigrisce e falsa le cose.

Procediamo con ordine.

Il libro di Zakk Wylde è esattamente ciò che vuole essere: ironico fin dal titolo, non è per nulla una biografia quanto proprio un libro cazzone e divertente, scritto per chi ama il personaggio Zakk. L’intento è proprio quello di dispensare “consigli” e raccontare aneddoti (reali? Inventati? Boh!) con lo stile eccessivo che è il marchio di fabbrica di Zakk Wylde. Purtroppo, ti aspettavi qualcosa di completamente diverso da quelli che sono gli intenti del libro, a volte capita. A nostra discolpa, vogliamo ricordare che in copertina è scritto chiaramente così: “In questo irresistibile libro, tra racconti di atti osceni sul palco e devastazioni tra i fumi dell’alcool, Wylde dispensa ottimi consigli su come non farcela nel music business, come trasformare il proprio tour-bus in un poligono di tiro e tanto altro, in una sequenza infinita di aneddoti selvaggi e irriverenti”.

La biografia dei Rammstein invece non è uno dei nostri titoli più brillanti, te ne diamo atto. Però pensiamo che sia comunque un compendio interessante per chi vuole conoscere qualcosa di più sulla storia e soprattutto sui testi, l’iconografia, i riferimenti musicali e le tematiche della band. È ben documentato, ma purtroppo non è scritto in modo altrettanto pirotecnico.

Per quanto riguarda infine J.R.R. TOLKIEN IL SIGNORE DEL METALLO e l’appunto che fai riguardo ai Manilla Road, Mark Shelton non sembrava pensarla come te: in un’intervista di qualche anno fa dice chiaramente che “Open the Gates” del 1985 ha venduto decine di migliaia di copie nel solo primo mese di uscita, e nella sola Europa, e lo stesso intervistatore si ricorda delle numerose pubblicità apparse nelle riviste dell’epoca. In Italia poteva essere particolarmente difficile recuperare i loro dischi, e magari non hanno avuto copertura pubblicitaria, ma a quanto pare non nel resto d’Europa e in altre parti del mondo, per cui non è sbagliato dire che abbiano avuto un’influenza più marcata di quanto tu sia stato portato a credere. Per cui: il tuo appunto su come va condotta una ricerca è giusto in senso assoluto, ma non nel caso specifico; a nostro avviso, Stefano Giorgianni il suo lavoro l’ha fatto bene. (L’intervista a Mark Shelton la si può recuperare qui)
Per il discorso che fai su Internet, invece, secondo noi la rete è un semplice strumento e non è detto che debba necessariamente rendere pigri. Può essere molto utile oppure no, dipende da come la si usa. Per esempio, senza la rete non avremmo potuto recuperare velocemente quell’intervista a Mark Shelton per ribattere a questa domanda, e tanti autori dei nostri libri non potrebbero mettersi in contatto con i protagonisti delle storie per poi intervistarli, ecc. Tutto sta ad aver chiaro il quadro d’insieme e a saper verificare le fonti, ma questo sta all’autore, che usi Internet o meno.

9 – Le riviste musicali sono in crisi. Classix Metal e Rock Hard in ambito metal sono le sole a reggersi a galla e so che devono questo agli sforzi economici dei propri editori, che poi sarebbero anche quelli che ci scrivono. Si tratta di ricavi sufficienti ad alimentare un atto d’amore per un mondo che muore, non è imprenditoria fertile. La Tsunami si muove sugli stessi livelli “amatori” o può credere di avere un futuro lungo e sempre più florido?

Tsunami nasce ovviamente come atto d’amore per la musica in generale e per certi generi in particolare. Sapevamo benissimo a cosa saremmo andati incontro, se avessimo voluto rischiare di meno avremmo pubblicato altro. Detto questo, Tsunami di soldi da investire a fondo perduto non ne ha e non ne ha mai avuti, per cui deve cercare per quanto possibile di essere “imprenditoria fertile”, come la chiami tu. E sino a oggi ci siamo riusciti. Un modo è stato quello di allargare il tiro ad altri generi che comunque ci sono affini, altre idee ci sono venute e altre ancora ce ne verranno. La certezza nel futuro non esiste, ma la voglia di tenere duro sì, e la speranza anche. Siamo consci dei limiti che ci dà l’essere una piccola casa editrice indipendente, e cerchiamo di tirare dritto senza fare passi più lunghi delle nostre gambe.

10 – Qual è il sogno nel cassetto di Tsunami? C’è qualche autore che vi piacerebbe pubblicare? Una band che vorreste convincere a raccontarsi per voi?

Beh, una bella autobiografia di Steve Harris non sarebbe male, per dirti il primo nome che ci viene in mente. Anche se forse il massimo sarebbe una storia ufficiale dei Manowar scritta da uno come Neil Strauss: riuscirebbe persino a surclassare il suo THE DIRT! Di sogni nel cassetto comunque ce ne sono tanti, qualcuno nel corso degli anni siamo riusciti a concretizzarlo, in futuro chissà…