Cos’è che rende questo Legal At Last un disco fottutamente rock? Tecnica sopraffina? No, decisamente no. Intendiamoci: si lascia ascoltare, è confezionato bene e c’è dentro un sacco di roba buona (ops), ma nulla di nuovo sotto il sole. Doti particolari di qualche pezzo? Diavolo, è un disco degli Anvil, ragazzi, spacca ma non sono mica gente da hit parade. No, davvero, è un qualcosa di diverso. Parliamo di una band storica, ma non è nemmeno il nome famoso ad attirare. In fondo loro sono bravi, ok, ma non ho mai sentito qualcuno dire che fossero il suo gruppo preferito in assoluto.
Eppure dall’attacco che segue i rumorini dell’angelo in copertina, che accende l’incudine/narghilè dando il via alla title track e aprendo il disco, questo album spacca di brutto, trascinandoci nella dimensione rock dei ragazzoni canadesi. Gli Anvil sono simpatici, abili abbastanza da non deludere neanche questa volta, caciaroni sul palco e tanto, ma tanto rock!
Nonostante il passare inesorabile del tempo li abbia ovviamente resi più scafati nel comporre pezzi che con una struttura semplice e diretta, mirati al proprio pubblico di allegri beoni, sanno cavarsela alla grande anche se messi in competizione con band più giovani. Hanno infatti preservato quella magia, quel qualcosa in più, che li rende unici a dispetto di qualsiasi critica. Questi impenitenti ultracinquantenni ancora si divertono a suonare fottuto hard e metal come negli anni ottanta (e a giudicare da testi e copertina anche a fumarsi cannoni memorabili. Ops, potevo dirlo? Evvabbeh l’ho detto e pace).
Non si tratta di un capolavoro assoluto, non tutti i pezzi sono allo stesso livello (la lenta Gasoline, ad esempio, mi lascia un po’ perplesso) ma il ritmo è quello di un grosso camion che viaggia a fari abbaglianti sparati, arrogandosi il diritto di ridere in faccia al traffico di altri veicoli e lasciandosi dietro una nuvola di fumo nero (aridaje col fumo, scusate, è che la copertina mi ha fatto sganasciare dalle risate).
Qualcuno avrà da ridire sulla voce un po’ spompa di Lips, non ne dubito, eppure non riesco a pensare alcun cantante migliore di lui per gli ciò che sto ascoltando.
Provate a mettere su questo Legal At Last e a lasciarlo andare, vi scoprirete felici senza sapere il perché mentre scuotete la testa, leggeri e beati.
Un pezzo come I’m Alive, il mio momento preferito dell’album, vale da solo il costo del disco.
Undici canzoni dove troverete gli Anvil: un porto sicuro, una concreta conferma del metallo vecchia scuola che non muore mai, non passa di moda e non diventa il disco del momento ma se ne frega.
Ora posso rispondere alla domanda all’inizio del pezzo: la passione.
È la passione che emerge da ogni solco a rendere Legal At Last un gran disco, di quelli da sparare nella radio mentre accelerate ridacchiando, felici per il semplice fatto che c’è ancora gente che mette tanto amore in quello che fa, come gli Anvil.
Riescono a passare con assoluta indifferenza da un pezzo di denuncia come Plastic In Paradise, nel cui testo si affronta un problema serio come quello dell’inquinamento, a rumorose atmosfere tipo in Glass House o Food For The Vulture, mantenendo il tutto scorrevole e divertente.
Da ascoltare d’un fiato.
Respirandolo piano e a fondo.