Il metal e la politica. Se ne era già parlato, qui nella stalla equina più amata/odiata del web, e riconosco quanto questo argomento possa diventare un roveto se non si sta attenti a quello che si dice o scrive. D’altronde lo sanno tutti, o almeno lo si dovrebbe sapere, quanto molti testi metallici abbiano fatto da sponda alle più disparate correnti politiche, oppure abbiano offerto l’occasione per riflettere su questioni cruciali per la vita dell’uomo. Insomma: dalla guerra fino allo sfruttamento selvaggio delle risorse del pianeta, dagli alieni fino alle recenti teorie del complotto, dallo stupro al porno-fetish, il metal non si è fatto mancare nulla.
Oggi mi sento strano… come si direbbe qui nelle mie zone “inpanicato”. Una sottile ma pervicace e fastidiosa inquietudine mi pervade, complice il sapere che alle 13:00 fino alle 21:00 sarò a macinare spoglie mortali di suini, la rottura di coglioni dovuta all’incertezza del non sapere se domani dovrò esser presente, sempre al pomeriggio, per sopperire alla probabile assenza di qualche furbastro che, facendosi scudo della famiglia, calcetto, sessione di pissing con l’amante; complice anche il fatto che, diciamoci la verità, non siamo preparati assolutamente, o almeno: io non lo sono, a ciò che il futuro mi tiene in serbo.
Per scaramanzia non si dà troppa fiducia al futuro, sopratutto quando le esperienze pregresse ti portano sulla strada della sfiducia e del sospetto a prescindere. Facendo così, ci si prepara al peggio e quando il peggio invariabilmente bussa alla porta, il groppo in gola e l’orchite saranno meno invasivi (credo).
Con estrema fiducia nei riti apotropaici ci diamo un’energica palpata alle balle e tiriamo avanti nella nostra gretta, grigia e vuota normalità dando importanza a cose che non ne hanno e sperando (chi è che diceva: “chi visse sperando morì cagando”?) che tutto vada per il meglio.
Sì; come no…
In base all’assunto dello sperare che tutto vada per il meglio, voglio ricollegarmi al discorso “metal-politica”.
Nel 2008 i Testament se ne escono con The Formation Of Damnation e tra i tanti che usarono la politica, o fatti inerenti a essa, anche loro non si tirarono indietro. Quando sono “inpanicato” mi capita di ascoltare in loop la canzone The Evil Has Landed, traccia che ha un chiaro riferimento al crollo delle torri gemelle. Undici settembre duemilauno ricordate?
In questa canzone, bella energica e suonata divinamente, ci sono, a mio parere, tutti i cliché del patriottismo americano più spinto. C’è una certa ipocrisia di fondo quando afferma: “We never cast the first stone” (ehm…), c’è anche qualcosa di vero quando dice: “ Praying hands of a killer reciting a sermon of hate”.
Lungi da me formulare una critica nei confronti della politica estera e interna americana. Sono sicuro che professionisti titolati possano farlo molto meglio di me o di chiunque leggerà questo sproloquio.
Però però… Mi fa specie sentire il vocione di un pellerossa cantare con convinzione queste cose. Anche i gesuiti, con mani unite in gesto di preghiera contribuirono a creare le “border school” per nativi. Scuole dove la loro lingua i loro usi e costumi venivano cancellati a favore della cultura dominante. E allora mi sono chiesto, come mai un nativo come Chuck Billy, che tra l’altro credo abbia un fratello residente in una riserva, uno che ha cantato anche Native Blood (altra grande canzone e inno verso la cultura nativo-americana) sia riuscito ad immedesimarsi nel patriottismo americano.
Non sono riuscito a darmi una risposta…
Forse sarà che sono passati secoli dalle ultime guerre tra le giubbe blu e le tribù americane e, quindi, anche la memoria degli odierni rappresentanti è andata scemando. Forse sarà per la pervasività della cultura occidentale là trapiantata o per una visione del tipo: “Questa è la mia terra. Come vi permettete, voi arabazzi incula-cammelli, di ferirla?”
Sarà che gli americani, pellerossa compresi, conoscono ben poco del mondo al di fuori dei confini USA da pensare convintamente che gli unici “portatori di democrazia” siano loro e che il resto del mondo sia popolato da barbari…
Boh… Ma è la frase “we never cast the first stone” di chiaro stampo evangelico, che più mi è rimasta in mente. Tra l’altro una frase che non dice il vero e, quindi, falsa. Chi scagliò la prima pietra contro i pellerossa? Gli occidentali di allora con l’incidente della vacca di un colono che il capo Sioux (Lakota nella loro lingua) “Fronte alta” trovò vagare nei loro territori. Lui la prese e se la portò all’accampamento. Era il 1854. Il tenente Grattan e un piccolo drappello di uomini, con due obici al seguito, raggiunsero l’accampamento e iniziarono a sfottere, letteralmente, i guerrieri Sioux. Da lì il pandemonio dove le giubbe blu vennero sopraffatte. Però loro, quelli con gli obici e i Rifle ultimo modello, loro numerosi come le cavallette quando solcano il cielo, loro non hanno mai scagliato la prima pietra… magie della transizione di colpa tra un popolo e il capro espiatorio di giudaica memoria…
Quando ero giovane credevo che tramite i testi delle canzoni metal avrei potuto imparare qualcosa di più del mondo nel quale vivo.
Niente di più sbagliato in quanto anche il metal, anzi, sopratutto il metal, è spesso e volentieri di parte e troppo convinto d’essere, almeno in tempi odierni, detentore della Verità.
Penso che testi come quello che ho citato siano lo specchio del tempo. Lo zeitgeist oscuro che riflette le paure, le incertezze e l’ignoranza delle persone. Dove ignoranza non vuole essere un’offesa ma indicare una effettiva incapacità di poter conoscere tutto. Ma anche un’operazione di rimozione selettiva della memoria.
Forse i Testament sono stati colti da quel fenomeno che gli esperti chiamano “effetto Mandela”. Forse, semplicemente, sono rimasti talmente segnati dall’avvenimento del duemilauno da volerne fare, giustamente, una canzone che parla alla “pancia” delle persone perché lo scopo non voleva esser quello di creare un dibattito ma semplicemente tirar fuori il marciume che si è fatto il nido nell’animo dell’America dopo (dopo?) il crollo delle Twin Towers.
Ma a me, ascoltando e riascoltando questa canzone, cosa mi è rimasto? Credo un’altro motivo in più per drizzare le orecchie e stare in campana. Perché in una arena è bello lasciarsi andare al pogo e “fare a botte” con perfetti sconosciuti pensando che quello che si sta sentendo, accompagnato da ritmi e voce incazzosi, sia oro colato. Ma poi, nella solitudine della cameretta nostra, riportare l’attenzione sulle parole e cercare di trarne qualcosa non può che far bene.
Forse.