Anticamente i greci credevano in dei pieni di rancore, passione e vizi. Anche i norreni avevano una specie di olimpo pieno di guerrieri violenti e furbacchioni. Nelle loro vicende quegli antichi uomini si rispecchiavano e traevano consolazione. Non so quanti di loro maturassero una tale rabbia verso le divinità da negarne l’esistenza. Poi si è diffusa questa idea del Dio infallibile, che domanda fede e vuole cose che non capiamo. “Uccidi tuo figlio!” – “Perché?” – “Perché te lo dico io!” Ci ha donato un cervello ma non dobbiamo usarlo per le faccende che riguardano il suo operato. Perché dio sa tutto, vede tutto, conosce tutto. Le sue vie sono infinite e noi dobbiamo solo affidarci, avere fede e lasciar morire i nostri figli, permettere che accadano quelle che reputiamo ingiustizie e pregare, pregare, pregare che lui rimetta le cose a posto.Nel Cristianesimo c’è anche questo concetto di uomo fatto a immagine e somiglianza di dio. La somiglianza non coincide con certe rappresentazioni mistiche dell’occhio nel triangolo o della voce tra le nuvole. Con Gesù, Dio non ha preso le sembianze di un uomo per diffondere il suo verbo. Ha semplicemente fatto un figlio. Un altro, visto che siamo tutti figli suoi. Ma lui era più figlio di noi perché concepito dallo spirito santo, che è sempre dio. Come tutto. Tutto è dio, persino il diavolo.
Il nostro problema con Dio nasce da questa sua infallibilità, che ormai suona come una bella presunzione. Somiglia a quei genitori che dicono ai figli, taci e vai in camera tua, un giorno capirai perché ora ti sto negando quello che vuoi. Poi cresciamo e scopriamo quanto quei genitori siano stati miopi, ingenui, pigri e chiusi di testa, e quanta sofferenza i loro limiti dettati da ignoranza, paura e convenzioni, ci abbiano creato inutilmente.
Forse dovremmo finalmente crescere e smetterla di guardare a Dio come a un genitore infallibile ma come un uomo. Capire che la somiglianza non è solo fisica. La principale fonte di sofferenza nelle religioni è dovuta proprio a questo credo di perfezione divina a cui noi cerchiamo di arrivare e che non raggiungeremo mai. Quanto siamo infelici perché non ci troviamo abbastanza belli, intelligenti, abili, ricchi, coraggiosi?
Gli psicologi ci dicono di accettare i nostri limiti e accontentarci di vivere con quello che c’è. E qualcosa non ci torna perché il Padre Nostro ci ha fatto così e noi sembriamo la causa primaria di tutti i nostri mali, dentro e fuori ma nonostante siamo esattamente come vuole lui, a lui sembriamo non piacere mai abbastanza. Siamo votati all’infelicità, mentiamo, tradiamo il prossimo e noi stessi. Sappiamo che non dovremmo ma finiamo per farlo, come se la vita fosse un infallible trappola. E assistiamo al declino della terra, alle tragedie, ai disastri chiedendoci se sia davvero solo colpa nostra. Perché Dio è infinito e buono, Dio tutto sa e tutto può. Ma come mai permette a questo mondo di morire così? Di soffrire così?
E se dio fosse proprio come noi? Non solo a immagine, ma anche a sostanza. Allora spiegheremmo subito perché i bimbi muoiono di fame, i cattivi vincono, le tenebre aumentano di qualche minuto ogni notte. Perché dio è solo un vecchio miope, stanco, superficiale, annoiato, vizioso e vanesio. Come chiunque di noi. A volte molla la sua creazione schifato e avvilito, altre la riprende e prova a metterci mano di nuovo, facendo magari più casini di prima. Ci creò con entusiasmo giovanile ma dopo poco ha finito per stancarsi, riconoscersi deluso dal suo stesso giocattolo.
Oppure potrebbe darsi che non sia vecchio e stanco, ma addirittura morto stecchito. Non vi sto dicendo niente di nuovo, lo so, ma pensate ancora una volta a questa eventualità. Noi uomini cosa facciamo per poter continuare a esistere e combattere l’insensatezza e la caducità di tutto? Generiamo dei figli che porteranno avanti frammenti di noi nel tempo. E poi loro faranno altri figli. Se siamo figli di un dio e lui ci avesse fatto per esistere in eterno, sapendo che presto sarebbe morto? E se questa eternità che noi gli attribuiamo fosse solo un monito funebre alimentato dall’amore per il Padre iniziale?
I testi satanici del metal parlano di un dio morto, squartato, distrutto. Con termini e immagini colorite cercano di ritualizzare la disfatta di un dio che è soltanto uno scarica barile, l’oppio dei popoli, la scusa dei nostri fallimenti e delle nostre paure. Dobbiamo prendere in mano la sola vita che abbiamo, urlano. Non lasciarci abbindolare dalle favolette che ce ne saranno altre o che c’è qualcuno lassù che veglia su noi e risolve i nostri problemi mentre noi siamo in ginocchio a pregare. In fondo gente come Glen Benton ci stanno esortando a liberarci da tante bugie per affrontare una volta per tutte la verità ed essere artefici del nostro destino. Tutto sommato sembra una versione mistico-sacrilega della retorica motivazionale dei corsi di autostima che si trovano in edicola, ma il messaggio di fondo è sano e giusto.
Lasciamo stare che nel tempo le band sataniste abbiano ridotto tutto a una gara di boccacce e di sconcezze, finendo per distogliere l’attenzione della gente dal messaggio iniziale: che un dio infallibile e pio non esiste. Dio è come noi. Un uomo, dentro e fuori. Quindi non è perfetto, non è sempre affidabile e soprattutto non è eterno. C’è solo un altro uomo e ci lasciamo gestire da lui, anche se fa errori, commette negligenze e ne sa quanto noi di come e dove mandare le cose. Forse dio è stanco e non vede l’ora che ci emancipiamo da lui, lasciandolo alla sua vecchiaia. Smettiamo di dargli fede e iniziamo a credere in noi stessi, ma soprattutto smettiamo di odiarlo e comprendiamo che è solo un uomo.
Questo il satanista del metal non lo dice, non ha il coraggio di rinunciare alla violenza e alla rabbia per paura che poi debba cambiare riff e ritmiche o magari intonazione, ma il fondo dell’emancipazione non sta nella ribellione fino al disconoscimento “ti odio, io non ho più un padre!”. Non siamo adulti quando urliamo così ai nostri genitori. Siamo solo adolescenti confusi e arrabbiati. Diventiamo uomini nel momento in cui capiamo che: “in fondo papà è un uomo, mi ha voluto bene e ha commesso errori come tutti. Come me. Lo ringrazio per ciò che mi ha dato. Ora esco da sotto la sua cappella e il mio orticello di caos me lo amministro da me”.
Ok, Padrecavallo ha parlato, trotterellate in pace.