Senza limiti! Sì, ok, lo so che il momento è grave e pesante per tutti, ma saldo nella convinzione che non serve preoccuparsi per ciò che non si può cambiare, ho deciso di buttarmi sull’ascolto di gruppi antivirali di provata efficacia.
In che senso antivirali? Ma semplicissimo, la roba che sto per sottoporre alla vostra attenzione è in grado di far scappare il mio gatto, bestia formata col peggio della musica estrema da sempre, pertanto ritengo abbia ottime probabilità di funzionare come scaccia-Covid. Beh, almeno se somministrato a volume adatto.
Non crediate che sia una affermazione esagerata, in realtà gruppi come quelli che abbiamo selezionato per il vostro giubilo sono davvero qualcosa di insano, posso giurarlo in tribunale.
Ma veniamo a noi, che il tempo è tiranno e la quarantena potrebbe tenerci tutti ad annoiarci per un bel po’. Combattiamo la piaga che ci assilla, dunque, con la Heavymmerda shit list di oggi!? Daiii.
Partiamo con la solita premessa, non è una classifica, qui tutto fa pena e pietà, non ci sono migliori, nemmeno tra i peggiori.
Parto da loro solo perché li ho ascoltati per primi e sto ancora maledicendomi per averlo fatto!
La copertina è quella con il camion che spiaccica per finta varie cose intorno. Un banale camion, niente di elaborato o modificato, proprio una cazzo di foto con appiccicati gli oggetti che volano in aria e lo sfondo fiammeggiante. Opera di un artista poco ferrato in Paint 1.0 (non serve altro) e dotato della fantasia di un ragioniere a metà carriera nello stesso ufficio in cui ha cominciato a vent’anni. Cotanta grafica nasconde il disco più piatto degli ultimi anni, in grado di non suscitare nessuna emozione nell’ascoltatore. Non poche, no no. Nessuna. Zero.
Ascoltare una gara di colpi di tosse in un ospizio è più emozionante. Si chiamano Doedens Daf in caso non mi credeste sulla parola e voleste farvi male cercando le prove (per sincerarvi in prima persona del giudizio) ascoltando questa band norvegese. Ah, volete anche il titolo? Boh, contenti voi! Si chiama Truckerfucker. L’unica utilità che ho trovato per questo cd è che, appeso a un filo, riflette la luce del sole e spaventa i piccioni. Sì, lo so che qualunque cd avrebbe lo stesso effetto, ma questo spaventa anche me.
Bando alle ciance, che la vita è breve e qui non si scherza mica troppo, visto il periodo. Non avevo ancora finito di riflettere sulla vergogna di un mondo in cui dei feticisti del TIR come quelli nominati sopra possono incidere un disco, che ecco comparire il capolavoro che vado a descrivere per voi con sommo raccapriccio.
La band si chiama Hammerlord e vi giuro, avrei preferito l’ennesimo gruppo vestito da “folletti dei poveri” che strimpella odi agli eroi “ammazza orchi della tribù di Gzimprurert il Macinateschi”.
Invece no.
Questi tizi, del Kansas, hanno una copertina disegnata durante le ore di recupero di matematica per bambini poco fortunati, oltretutto colorata con gli evidenziatori, a dimostrare che al peggio non c’è limite. Ci propinano una cosa che si compone di strimpellamenti per chitarrina trista in stile “minchia l’arpeggio ce lo abbiamo messo” e pezzi elementari basati su riff scontati e noiosetti, con coretti da “volevamo fare come gli Anthrax dei dischi peggiori ma non ci è venuto bene”. Album raccapricciante e condito di assoli di chitarra appena sopra la sufficienza ma poco originali, incollati lì cercando di mascherare il resto.
Se non fosse che ho sentito di peggio starei piangendo. Ma ho sentito di peggio, lo ammetto. Non volevo ma è successo. Poche volte però.
Su, non perdiamoci d’animo, ho altre sorprese per voi cari equinidi impenitenti, rassegnatevi.
Per l’ascolto del prossimo disco mi ero anche munito di grappa e mascherina antibatterica, ma ho rischiato di bere dalla bottiglia senza togliere la mascherina per lo sconforto.
Introdotto dalla peggiore intro della storia, dove una voce legge una litania “zatanica” con i rutti (o se no non si spiega) il terribile Evil Strikes Again dei colombiani Witchtrap ci scaraventa in un limbo di thrash scontato oltre ogni limite, che sembra una versione scialba e slavata dei gruppi anni ottanta e novanta americani e tedeschi. La cosa più allucinante è che questi non sono nemmeno dei ragazzini, sono in circolazione dal 1997 ed hanno anche una sfilza di dischi pubblicati prima di questo ragguardevole splendore. Se me lo trovo inchiodato sulla porta urlo come una vergine isterica da film horror anni sessanta e scappo con le mani levate al cielo. Meno male che ho quì la grappa, mi disinfetto le falange, butto il sacchetto che contiene le prove (non vorrei mai che mia moglie lo trovasse e pensasse male) e torno.
Che fatica oggi. Io mi chiedo, ma al buon Padrecavallo certi dischi come gli capitano tra le mani? Lo so che alcuni di voi glieli mandano per vendicarsi della mia nota perfidia recensoria, ma insomma!
Per esempio questi altri colombiani che ho qui, tali Graveyard Thrash, come li può aver reperiti? Sono un altro gruppo thrash (e chi lo avrebbe detto? Dal nome uno immagina polke selvagge o lirica), originale come un Ai-fon cinese, che sa di già sentito lontano un chilometro. Certo va detto che questi thrasher del cimitero hanno anche degli handicap notevoli come:
-Copertina fatta dal cuginetto ipovedente, qualità sgranata, per grazia degli Dei tutti.
-Suono di batteria degna della band di Legoland (intendo finta, fatta di mattoncini colorati) ma rinchiusa in una scatola e registrata con un microfono incartato nella confezione.
-Scopiazzature di intere parti dei brani, degne di un uso sconsiderato e sciagurato di copia e incolla senza ritegno alcuno.
Questi fanno davvero paura. Se li vedo dal vivo me ne vado, a costo di lasciare la birra a metà.
Trovare certa roba è una dote, mica pizza e fichi. Il capo è sempre un maestro, inutile mettere in dubbio le sue qualità! Ma quanti mucchi di dischi monnezza deve aver ascoltato prima di mandare a me queste chicche meravigliose? Non si trovano mica sotto i cavoli certe cose, suvvia.
Volete un atro esempio? Eccolo in arrivo, non temete!
Si chiamano Grinderfuck, sono del Costa Rica e propongono un cd intitolato Horror Stories Volume I. Innanzitutto la domanda sorge spontanea: in che senso volume I? Ma perché, è in previsione un volume II? O è solo una minaccia buttata lì per scherzo e non se ne farà nulla (opzione consigliata).
Questa band composta da un tale Andreas Salazar e amici vari non specificati, propone una sequela di pezzi sciatti, poco ispirati, messi in fila a caso per dar vita a un disco che dimostra che oggi tutti possono incidere in casa un cd. Piatto e mancante di qualsivoglia input creativo degno di nota, questo lavoro è di per sé una storia dell’orrore che si commenta da sola. Non è nemmeno noioso, è proprio irritante, lo metto in lista per il premio “Peggio 2020” che mi vedrà a riconoscere a una e una sola band lo Scettro della Vergogna a fine anno. Già mi vedo Gzimprurert il Macinateschi drizzare le orecchie (foto in cima al testo), sì ho detto scettro ma in senso figurato.
Non riescono a far di peggio nemmeno i portoghesi WC Noise, che pure ci si sono messi d’impegno con il loro brutto Loud And Mad, confezionando un disco piatto, suonato senza enfasi, mediocre ma con il peggiorativo rappresentato da una copertina che li mette a rischio di prendere tante botte, sperando che servano a farli pentire sinceramente e cambiare registro.
L’attenzione dimostrata da chi ha curato l’incisione è tale che la settima canzone dell’album (intitolata My Life) vede l’assolo finale troncato di netto. E non venite a dirmi che è stato fatto apposta, certe cose raccontatele a chi se le beve, qui hanno proprio tagliato senza se e senza ma durante l’assolo, senza manco la decenza di sfumare. Tronca il pezzo e via, tanto non se ne accorgerà nessuno, chi vuoi che ascolti una roba tanto vergognosa? Io, tiè.
Una menzione particolare va ai testi davvero di merda, ma proprio nel senso che pezzi come Diarrhea e Nuclear Poo parlano chiaro. Lo Scat Metal mi mancava, lo ammetto, ma ne facevo volentieri a meno.
Concludo, per questa settimana credo di aver infierito a sufficienza, ma permettetemi ancora un titolo, perché questi non posso davvero aspettare una settimana a renderli noti. Vorrei evitarveli, ma la mia componente sadica e malvagia pretende soddisfazione e devo proprio, non odiatemi troppo, sono fatto così.
Si chiamano Tolstoi, sono brasiliani e questo disco, intitolato Ao Vivo No Buteco De Juarez, è uscito nel 2005, quindi non si tratta di una novità. Eppure il fatto che possa trattarsi di una ristampa mi lascia basito. Davvero, chi mai potrebbe voler ristampare una roba simile? Registrato malissimo, suoni orribili, scontato anche per un disco del 2005, credo che sia in grado di far rivoltare nella tomba il povero autore di Anna Karenina con tutte le ragioni del mondo.
So che tra voi c’è sicuramente qualche fan della band brasilera in questione, ma no, non ci sono giustificazioni che tengano. Un disco simile non lo accetterei nemmeno suonato da un gruppo di liceali punk fatti di brutto in una città dove piove sempre, sto pulendo il lettore per capirci, provo schifo e tanto.
Non parliamone più, mi sento sporco dentro, che senso di viscidume. Brutto. Ma tanto. Un nuovo termine di paragone.
Ed è pure finita la grappa, mannaggia!