covid 19

Metallari, che delusione… Ora che è giunto il nostro tempo ci lasciamo morire insieme al vecchio, porco mondo!

Non so voi ma dal mio piccolo mondo fatto di caffé a tutte le ore, masturbazione compulsiva e prolasso esistenziale, ho come l’impressione che non stia più uscendo nulla di rilevante in ambito metal. Del resto il Covid 19, nemico della musica e dei giovani, ha bloccato concerti, reso difficoltose le spedizioni internazionali delle copie fisiche e bloccato l’intero carrozzone dei festival. La domanda quindi è, che cazzo lo fai uscire a fare un disco?

Per esigenze creative, ovviamente… e contrattuali. Ma qui si smaschera una volta per tutte la faccenda. Un album potrebbe raggiungere il grande pubblico indipendentemente dal Covid 19 e la quarantena. Ormai i canali digitali sono il naturale viatico che permette alla musica di arrivare alle persone. E’ che le persone non saprebbero cosa farsene. Già l’umore non è dei migliori, poi le risorse economiche sono sempre più sottili, ovvio quindi che il nuovo lavoro degli Iced Earth, faccio un nome a caso, non sia tra le priorità di questo mondo.

Il metal non era la nostra vita? Non dovevamo abbandonarlo mai? L’heavy music, durante la sua piccola storia, non ha mai affrontato guerre o calamità di un certo peso nel mondo occidentale che l’ha sempre amato e foraggiato. In medioriente sì, ragazzi cresciuto nella polvere hanno trovato una via di fuga nella musica degli Slayer e degli Iron Maiden, ma qui in Europa cosa ne sapevamo di una vita incerta, sinistra e calamitosa come quella che stiamo vivendo ora?

E adesso che la gente muore… (perché pare che prima questa cosa non accadesse tanto di frequente, eh?) non ci va più di sentire le panzane viscerali dei Cannibal Corpse o le desolanti sparate nichiliste di qualche asociale del nord Europa… ci tuffiamo nelle ballad degli Europe o magari ne approfittiamo per scoprire un mondo di musica al di là dei bastioni ribassati di Orione.

Di sicuro sentiamo ancora metal, ma le vecchie cose. Più che mai ora. Perché ci riportano a un mondo tranquillo e sicuro, fatto di sana disoccupazione, alienazione social e soprattutto, un rassicurante mondo senza amore e futuro in cui si poteva girare tra gli scaffali di un supermercato privi di mascherina.

Eppure la mascherina è molto metal. Oggi io quando esco di casa mi sento quasi un bambino che gioca con le visioni apocalittiche dei Nuclear Assault o un chirurgo in fuga dopo che si è fatto prendere troppo la mano dal bisturi in sala operatoria, come in un brano degli Autopsy.

Sono un fanatico di horror e ho sempre pensato che se un domani esplodesse una pandemia zombi io avrei molte più possibilità di sopravvivere di mio padre, che gli zombi non sa neanche cosa siano. Io avrei un vantaggio mentale. Sarei pronto a combatterli prima di tutti coloro che si sono sempre tenuti alla larga dagli horror perché poi la notte non dormivano. E il metal è anch’esso una musica da combattimento, da apocalisse. Come dice Maurizio De Paola, i libri più metal di sempre sono quello di San Giovanni e la parte dei miti nordici sul Ragnarock.

Ma eccoci qui, tutti chiusi nel nostro guscio, sorbendoci vecchi dischi e cullandoci nel ricordo di un mondo che non esiste più, invece di guardare dritto negli occhi questo scenario da thrash fine anni 80, alzare al vento le cornine e urlare Slayeeeeer… I Wanna Dieeeeeeeeee mentre attendiamo che il tizio del supermercato ci dica che possiamo entrare a far scorta di birre.

Metallari, siamo una delusione. Noi che viviamo nel terrore e non ascoltiamo più musica e ci ottundiamo il cranio con le soporifere storielle antispoiler di Netflix, mentre le nostre band preferite smettono di fornirci altra musica per l’apocalisse, ora che l’apocalisse non è più una fantasia da trollare su un disco ma una cosa ben più tangibile.