lemmy

I Ain’t No Good Boy – Un e-book sugli anni di Lemmy negli Hawkwind, assaggiate il primo capitolo!

Insomma non sono un bravo ragazzo e non per cattiva volontà. È che mi sono sempre divertito un casino.
A Londra, dopo una nottata di speed e senza aver dormito nemmeno un’ora, mi buttavo per strada e già alle dieci del mattino ero a far colazione con una pinta. Quelli come me sono fatti così: non ce ne stiamo lì a riflettere su cose come la pensione o un’assicurazione sanitaria. Non siamo persone normali né si può dire che all’epoca fossimo rock star. Eravamo sbandati, tutto qui.

Il tour andava come andava, era il 1975 e mentirei se dicessi che mi importava qualcosa di quanta gente venisse agli show. Salivo in stage già pensando al party che ci sarebbe stato dopo. In quanto ai miei compari erano sempre troppo impegnati a farsi i loro viaggi, erano freak del cazzo però mi facevano fare la vita che volevo. Le ragazze cambiavano di città in città e così pure la roba che i roadie ci procuravano. Insomma, arrivava letteral-mente di tutto. Una volta una tizia tutta curandera aveva una sacca di pelle sotto la gonna da zingara, letteralmente piena di acidi. Ci sono droghe e droghe non sono mai andato per il sottile, non sono uno che seleziona, io. Ma non sono tutti come me.

Prima di Toronto, verso le tre del pomeriggio, lascio l’hotel; uno come me sa come procurarsi certe cose. Magari i turisti per bene che vanno in una città nuova guardano le novità che stanno tutt’attorno. Quelli come me invece sono bravi a trovare le cose che sono uguali.

Ovunque tu vada, la gente è gente. Specialmente se parliamo di un certo tipo di gente.
Metti che entri in un bar e dietro il bancone c’è una faccia di quelle che se chiedi un Jack te lo versa senza chiederti prima se puoi pagare. Io lo riconosco. Così come se c’è uno stronzo che vuole solo un pretesto per farti sbattere fuori in malomodo. E così le puttane e gli spacciatori: si somigliano tutti. A Frisco e nel West End, mi basta osservarli per un minuto per classificarli. Insomma è una qualità: c’è gente che sa costruire ponti e cose così, mentre io so fare questo. Non mi pare poco, no?

Early Lemmy

Dicevo: vado fuori dall’hotel come un cane in cerca di un osso. A pochi isolati vedo un bar aperto: vederlo ed entrarci è una cosa sola. La sala è buia e c’è odore di urina e grasso andato a male. Il pavimento è appiccicoso sotto gli stivali, il che in un certo senso mi mette a mio agio. Vedo un bancone dall’aria sudicia e un flipper spento. In fondo c’è una tipa con un grembiule sporco, sta spostando delle sedie e a malapena mi nota. Non deve passarsela bene la tipa, insomma non ha l’aria di una che è appena tornata da Malibu.

«Posso avere un Jack?»
«Siediti cowboy.»
Ho il mio solito giubbotto in pelle con le borchie e un paio di jeans lerci e strappati, non sembro proprio per niente un fottuto cowboy. Per non parlare del mio cazzo di accento dello Staffordshire, ma va bene lo stesso: se mi versi il Jack sei mia amica e puoi chiamarmi anche mamma.
Tracanno il contenuto del bicchiere, ho la bocca secca e lo sento denso come il latte di una troia e un po’ brucia anche. Ma la sorte è dalla mia parte: sto per chiedere se ci sia qualcuno in giro che vende caramelle quando entra un tizio che è la fottuta personificazione dei miei desideri. Deve essere un cliente abituale perché non saluta e si siede nell’angolo più buio della sala. È magro come una corda e ogni molecola del suo corpo, ogni movimento del cazzo trasuda il suo essere uno spacciatore. E io manco per il cazzo somiglio a uno sbirro.
Così mi alzo e con decisione vado verso di lui.

«Scusa amico, sono forestiero e vorrei un’informazione.»

Senza nemmeno guardarmi, il tipo ficca una mano nella tasca della giacca, ne estrae un pacchetto di Marlboro, una bustina e uno zippo e posa tutto sul tavolo. «Ho quasi tutto amico, ma tu ce li hai i soldi?»
Sorrido: se lui sembra uno spacciatore è evidente che io sembro uno che vuol comprare. Fa piacere ritrovarsi tra simili, non fosse altro che si perde molto meno tempo in convenevoli. E infatti pochi minuti dopo sono
di nuovo per strada, con un grammo di solfato di anfetamina nei pantaloni, felice come un bambino.
Ammetto di aver fatto un po’ di strada senza guardarmi attorno ma mi ero abituato troppo bene all’andazzo di Los Angeles, dove nessuno bada a ciò che fai o come sei vestito. Forse fu quella leggerezza a costarmi i guai del giorno successivo ma tant’è, che senso ha lamentarsi?

Lemmy & Simon

Il giorno dopo eravamo nel van diretti verso il confine col Canada. Avevo buttato giù quasi una bottiglia intera di bourbon economico e dormivo come un bebè quando fui svegliato con uno scossone da Marnie.
Marnie è un bravo ragazzo, in genere si occupa di portare i cabinet su e giù dallo stage ma all’occasione guida perché di giorno non beve mai e quel giorno era al volante.

«Gli sbirri, Lem, ci hanno fermati.»
«Che cazzo vogliono?»
Marnie è nervoso, perché è anche un ragazzo intelligente e lo sa che io e i miei compari abbiamo di tutto e se quelli si danno la pena di perquisirci o aprire i bagagli è certo che avremo guai grossi: «Non lo so cosa vogliono ma ci hanno fermati!»
Guardo fuori dal finestrino e vedo sbirri ovunque. Ci metto un po’ a realizzare che ci troviamo alla dogana. Siamo fermi sul lato della strada, incolonnati ad altri furgoni e auto. Marnie ha lo sguardo bovino e la fronte
sudata e, anche se la situazione non ha nulla di buffo, gli rido clamorosamente in faccia. La risata è contagiosa si sa e, in men che non si dica, siamo tutti lì a ridere come dei perfetti imbecilli, eccetto Marnie che invece cerca di mantenere un contegno ma trema come una foglia e continua a sudare come un tacchino alla vigilia di Natale, ammesso che i tacchini sudino. Fatto sta che quel casino attira l’attenzione di uno sbirro con una vera faccia da stronzo. Questi si avvicina al van, assieme a un pastore tedesco grosso come un vitello.
«Qualcosa di divertente, ragazzi?»

Marnie abbassa il finestrino, o almeno ci prova. Tenta di girare la manopola, ma quella si blocca e il vetro non scende. «Nulla agente, sembra si sia bloccato il vetro…» e per lo sforzo suda ancora di più: quella puttana di una manopola non vuole saperne di sbloccarsi. Ormai Marnie ha gli occhi che gli bruciano, rossi come se avesse fumato una dozzina di canne. Insomma la situazione va oltre il comico e siamo lì che ridiamo di gusto. Lo sbirro guarda noi, poi guarda Marnie sempre più spazientito finché, all’improvviso, la manopola cede e il vetro si abbassa di colpo facendo un rumore da paura. SBAM! A quel punto il cane abbaia furiosamente mostrandoci i denti, Marnie salta all’indietro dando una capocciata sul soffitto del van e noi scoppiamo in una risata ancora più fragorosa.
Lo sbirro però la prende male. «Forza scendete, tutti giù cazzo o vi sbatto dentro!»
Scendiamo tutti di corsa che sono ancora piegato in due dalle risate. Ci fanno allineare mentre chiedono a Marnie di aprire il van dove sono accatastate tutte le nostre cose, strumenti inclusi. Ora gli sbirri sono quattro e abbiamo tutta la loro attenzione. Si avvicinano col cane a ognuno dei ragazzi che adesso sono seri come statue di cera. La bestia sembra fiutare qualcosa e lo sbirro chiede a tutti di levarsi le scarpe e tirarsi fuori le tasche dei pantaloni. Ma, per quanto li frughino non trovano nulla. Sono l’ultimo della fila ma proprio non riesco a smettere di ridere.
«Hey tu, comico, lo trovi divertente?»
Lo sbirro col cane, sempre lui, ce l’ha con me ora. All’improvviso guardo i miei compari della band e capisco all’istante che non hanno nulla addosso perché devono aver ingoiato tutto ciò che avevano: acido, erba, hashish, tutto. Mentre io come un coglione ho ancora un grammo di anfetamina nella tasca. Nemmeno il tempo di pensare e già ho il cane che mi abbaia contro, gli sbirri addosso e in un baleno sono faccia a terra.
«Qui c’è qualcosa»

Sento che mi infilano le mani ovunque e temo che me le infilino anche su per il culo, finché uno di loro tira fuori la bustina dalla mia tasca: «Guarda guarda cosa abbiamo qui?»
«Cocaina!» fa un altro, che evidentemente non capisce un cazzo di droghe. Fatto sta che mi ammanettano e mi portano via. Il bello è che continuo a trovare quella storia estremamente divertente, insomma era proprio una beffa del destino.

Mi volto verso il furgone e vedo i ragazzi e Marnie che mi seguono con lo sguardo, sono seri e bianchi come cadaveri.
Probabilmente tutta la roba che hanno ingerito comincia a fare effetto e ben presto cagheranno l’anima. Immagino la scena, Marnie coi pantaloni sporchi di merda, Nik, Dave e Simon che si vomitano addosso a vicenda e rido ancora di più.
«Questo qui non ha capito il guaio in cui si è cacciato!»
«Un grammo di coca nei pantaloni e ancora se la ride… tra un po’ rideremo noi.»
Per un attimo smetto di ridere: «Non è coca ragazzi…»
«Lo spiegherai al procuratore.»
Fu quello il momento che iniziai a realizzare che fra tutti i tipi di droghe che già conoscevo ce n’era un tipo che non avevo mai incontrato prima di allora. C’erano droghe giuste e droghe sbagliate ma quello non fu l’ultimo errore di quella giornata.

Ok, gente, se vi interessa il seguito, e sono sicuro che arrivati a questo punto vi piacerebbe leggere il resto, potete cliccare qui e scaricarvi l’ebook. L’autore si chiama Frank Cavallo. Già, non poteva essere altrimenti. Sono sicuro che vi divertirete.