Eccoci qui, cari metallari dal dente avvelenato, a scartabellare nelle pile di discacci da dimenticare che il buon Padrecavallo mi fornisce a josa, con malcelato sadismo, sapendo che li ascolterò tutti.
Meno male che ho il mio fido assistente, Gzimprurert il Macinateschi , che allegramente rosicchia una tibia, attendendo incauti gruppi metallosi di bassa lega e pessimo livello che suscitino la sua ira funesta.
Anche oggi, come al solito, abbiamo amplia documentazione della profonda mancanza di gusto che serpeggia tra le fila, non temete quindi, ci sarà da ridere, vedrete.
A tal proposito temo di dover attaccare col botto, con un EP che ci auguriamo non sia mai seguito da una vera e propria uscita seria perché sarebbe imbarazzante anche solo sapere che è successo un simil misfatto.
Che una band possa decidere di avere un nome cretino passi, che ci incida anche dei dischi è una vergogna, ma che gli Dei ci salvino se li vendono. Pare non sia il caso di questo primo gruppo, che non credo cambierà la storia del rock se non per il nome più scemo (in lizza con altri esponenti della nota corrente ideologico-musicale dedita ai nomi stupidi, di cui di seguito abbiamo tanti e variegati esempi).
Si chiamano Laser Dracul.
E già così basterebbe per essere imbarazzante.
Se il buon voivoda fosse realmente in agguato nelle tenebre, nulla li salverebbe dalla sua ira per un nome tanto osceno, lo so.
Egli, però, è (ahinoi) leggenda e loro no, sono reali, svedesi ed impuniti.
Ruggisci la tua rabbia, Gzimprurert, è lecita e gradita a tutti noi!
Come se non bastasse, l’EP dei Laser Dracul è omonimo (gli piace proprio a questi ragazzacci, ci godono ad infierire con sto nome al laser vergognoso).
Fortuna vuole che si tratti di sole quattro tracce. Ignorabilissime, scialbe, mediocremente eseguite e incise, senza spunti di livello. In pratica si puniscono da soli con la propria musica, roba da circolo BDSM per soli camionisti tedeschi.
State ridendo? Ok, ci penso io a farvi passare la voglia. Il fedele assistente mi porge infatti, in questo preciso istante, la prossima schifezz… opera da presentarvi.
Siete pronti? No. Voi credete, ma fidatevi che non siete pronti per questo.
Madame e gentiluomini, lasciate che vi presenti la meraviglia della settimana, un disco che ha compromesso seriamente la salute psicofisica dell’intera scuderia, che non meriterebbe menzione se non fosse per il meritato dileggio.
Fautori di uno Scat Metal (sì, dopo la scorsa puntata ho dovuto coniare il termine, abbiate pazienza) con una forte componente di perversione sessuale applicata a testi ruttati da un buffo tizio nel microfono, questi milanesi, quindi anche connazionali, Clitoridus Invaginatus (voglio un aumento, sappiatelo), sono qui rappresentati dal loro Putrid Pussy Warehouse, risalente al lontano 2007 , sono alfieri del degrado più becero e fanno un genere che definire metal è eccessivo.
Anche definirlo musica.
Beh, anche definirlo, per la verità, è uno spreco di tempo.
Il disco comincia con un’accozzaglia di suoni techno unz unz unz, passa dal secondo brano al penultimo attraverso un rumore inarticolato con sottofondo di rutti e termina con una canzoncina-arpeggio demenziale. Titoli come Rectal Fog o Scat Force non hanno altro uso che scandire i minuti facendoci ridere, mentre la schifezza va verso l’anelata fine. Non lo propinerei nemmeno ai nostri politici, anche io ho un cuore.
Ah, già, la copertina sono indeciso se sia più brutta o scema, fate vobis.
Ma non temete, non solo da noi si fanno robacce simili. Ve lo dimostro immediatamente con il terribile Siniestra Maria, della omonima band messicana. Costoro, nel 2020, ci propongono un album imbarazzante, simile al precedente nel tipo di cantato “rutto style” ma con testi in spagnolo. Non hanno nemmeno la scusa che sia roba vecchia, no no, è un meraviglioso lavoro nuovo, perfetto come piattello. Istruzioni: dare il cd a Gzimprurert o ad altro assistente qualificato, mettere il colpo in canna e gridare “Pull”.
Quando l’aiutante avrà provveduto al lancio stile freesbee, prendere velocemente la mira e fare fuoco.
Io l’ho fatto e non ho rimorsi, poi va a gusti. Se vi piace questa robaccia però non ditemelo. Almeno, non se ho il fucile in mano.
Ora vi piacerebbe che avessi finito, vero?
Non sperateci, abbiamo altre merdaviglie in…
In fondo cogliere lo schifo prodotto e punirlo è una nostra missione, cari equinidi scalpitanti.
Anzi, ho da parte un disco che merita un discorso a parte.
Non è fatto male, ma non è ascoltabile senza annoiarsi… se non si è strafatti.
Non capendo perché non riuscivo a definirlo in nessun modo ho deciso di scoprire come mai. Siccome sono del parere che empirico è bello, ho preso un volontario…
e ho provato a cambiare il volume, la velocità, lo stato umorale dell’ascoltatore.
Non bastava, ma una volta ben sballato, il nostro amico Macinateschi ha reagito con entusiasmo all’ascolto. Dopo il terzo pezzo definiva questi Hott File “il millioreeee gruppo, scierto scierto, oh siiii, chebellochebello” del mondo.
Fanno hard rock con contaminazioni psychobilly, invero non male, ma hanno questo particolare.
Avrei dovuto arrivarci guardando la copertina,
ma vedere gli effetti sul nostro beniamino era una tentazione troppo forte.
Ora lo tiro giù dal lampadario, lo convinco a rivestirsi e poi passiamo al gruppo seguente!
Abbiamo in lista una band che è tutta un programma per voi, direttamente dal Portogallo, si chiamano Xeque Mate e si sono riformati nel 2007 dopo un sano scioglimento. Mi chiedo perché.
Nonostante abbiano un disco più recente, il nostro interesse è stato attratto dalla loro opera prima, Em Nome Do Pal Do Filho… E Do Rock’n’Roll. Dietro la peggior copertina degli anni ottanta (si, lo so che di schifezze quel decennio fu prodigo, ma guardate questa e ditemi se non è il top del tristo) c’è un disco che suonava già vecchio nell’85, lento, noioso, pretenzioso senza averne motivo alcuno.
Al solo scriverne sbadiglio, non perché sia brutto o mal fatto. No, è solo noioso. Tanto. Tantissimo.
Non me ne vogliano quelli della band, ma non lo riascolterò. Mai. Nemmeno in parte.
Passo ad altro e li dimentico.
Questa puntata si chiuderà con una band davvero, davvero, ma davvero inutile.
Si chiamano Jazz Sabbath. Orribile? E se vi dicessi che fanno versioni Jazz delle canzoni di Jommi & Co?
No, non scherzo gente, lente, noiose e soprattutto superflue versioni, col piano jazz e puramente strumentali, che non hanno davvero nessun fascino e ben poca attinenza con quel gran gruppo che sono i Black Sabbath.
Prendete una band storica, che ha cambiato il mondo con il proprio approccio graffiante e unico. Togliete ai brani qualsivoglia enfasi, tutta la grinta, trasponete il tutto in salsa jazz, strumentale e moscia.
Ecco: i Jazz Sabbath sono serviti.
Sembrano le suonerie del nokia 3310, ve lo ricordate il mattone grigio indistruttibile con il quale potevi scrivere le suonerie coi numerini? Come quelle, ma meno affascinanti.
Se c’è un Inferno dopo la morte, nel mio la colonna sonora è questa.
Costoro non conoscono vergogna.
Io non voglio dire che il jazz non sia un genere interessante (non mi piace, ma può essere ben suonato e tecnicamente ineccepibile) ma mi chiedo sinceramente perché fare una cosa simile.
È come se i Clitoridus Invaginatus facessero cover di mazurke famose.
No, non volevo dirlo. Scherzavo. Non provateci ragazzi, non lo fate.
Vi prego, no.
Ora chiudiamo, promesso, ma vorrei darvi la lieta novella: abbiamo deciso di indire il premio Gzimprurert il Macinateschi, dedicato alla peggior band del metal.
A dicembre ci riuniremo in una stalla dotata di molta birra e delibereremo lungamente, quindi, se una delle band presentate ha incontrato il vostro ribrezzo in modo particolare, non fatevi problema a farcelo sapere. Noi centauri siamo facilmente influenzabili e potreste gioire nel vedere il vostro peggior gruppo vincere l’ambito premio di Schifezza metallica dell’anno!
Ora lo sapete…