Insomma, mia figlia è diventata un’adolescente. Ha avuto le sue prime mestruazioni e ha sviluppato tutti i segni inequivocabili della nuova fase: sguardo risentito, silenzi lunghi e lacrime, tante e assolutamente prive di relazioni con il mondo esterno. Le domando perché piange ma lei non mi sa dire. Le viene così. A peggiorare la situazione c’è che per punizione, io e sua madre abbiamo deciso di confiscarle il tablet. Ora, mia figlia adolescente senza tablet, durante l’era del Covid 19 è forse qualcosa che va al di là delle mie forze. Averglielo tolto è stato inevitabile. Dovevamo farle capire che non si mente a mamma e papà. Lei l’ha fatto e non una sola volta. Dall’inizio dell’anno ci ha detto diverse bugie gravi, costringendoci ogni volta ad applicare punizioni sempre più severe:
-toglierle il tablet per un mese
-toglierle il tablet per tre mesi
-toglierle il tablet per sempre.
Ogni volta si è disperata per un paio di giorni, poi ha sopportato la pena e ha atteso che le ridessimo il suo tablet. La prospettiva che però forse stavolta potrebbe sul serio non riaverlo più, la sta mandando fuori di testa.
Ora il problema è che mia figlia non ha idea di come occupare il suo tempo senza tablet. Ciondola per casa come uno spettro, si appoggia alla colonna del corridoio e guarda il vuoto. Le suggerisco di leggere, disegnare, suonare il suo piano, scrivere un racconto, ideare un fumetto, progettare la fine del mondo… ma lei rifiuta tutto. Non le interessano nemmeno le serie su Netflix.
Allora le dico di scendere a chiamare sua cugina Stella e giocare con lei, ma mi risponde che Stella è sempre al tablet, non esce e non ha tempo da dedicarle, ora che è sola a dover mandare avanti quello che una volta era il LORO canale youtube!
La sua vita era nel suo tablet. Finché non glielo ridaremo, lei è condannata a un purgatorio di “che palle, cosa faccio, non so che fare, la vita è uno schifo, voglio morire”.
Una mia cara amica mi ha raccontato di un episodio a cui ha assistito in treno, un giorno. Un bambino di due anni circa piangeva nel passeggino. Magari aveva il pannolino pieno o forse si stava solo annoiando e chiedeva attenzione ai suoi genitori. Mamma e papà però erano tutti e due presi dai rispettivi cellulari e non si decidevano a dargli retta. E così il bimbo aumentò il volume delle grida, finché mamma non si arrese e senza nemmeno guardarlo, gli allungò un tablet da dentro la borsa, facendolo smettere di frignare. Così lei ha potuto rimettersi a chattare e non badare a lui.
Ora, non occorre uno scienziato per capire che un gesto simile probabilmente ha creato un danno enorme nella psiche di questo pargolo. Da grande per sentirsi capito non cercherà i suoi genitori ma un computer, cosa che in fondo stiamo già facendo tutti noi adulti già oggi.
Un mio amico, un giorno mi ha detto questa frase: “tablet? Impossibile farne a meno. Altrimenti i miei figli non mangiano e nemmeno noi”. Sul serio, lui ne ha comprati due, uno per ogni bambino e li usa per tenerli buoni mentre gli mette in bocca il cibo. Uno dei due ha sette anni, per inciso.
Da quando mia figlia è senza tablet sta accadendo qualcosa di positivo. Parliamo sempre di più. E di cosa parliamo? Del tablet che lei non ha più. Matilde è abbastanza grande da capire che io mi troverei nella sua stessa situazione se all’improvviso mi togliessero il cellulare o il pc.
“Ma io non ti ho mai detto delle bugie” le rispondo.
“E Babbo Natale?”
“Ok, quella è…”
“E che la scuola sarebbe stata divertente?”
“Ma ok, però…”
“E che la morte non è la fine di tutto?”
“Le bugie che ti ho detto io non sono gravi, non ti vogliono ingannare per ottenere qualcosa di utile. Sono state dette per darti un’infanzia più magica, e rassicurarti sul tuo futuro”
“Beh, ora io comunque non ho un futuro”
Tragicità adolescenziale. Come la ricordo bene. A dodici anni pensavo di farla finita. E mia madre mi diceva: “ma cosa ne sai tu della vera disperazione della vita. Sei solo un ragazzino. Prendi me, lo vedi come mi riduce tuo padre?!”
Avevo capito già tutto a dodici anni: non avrei avuto molta fica, non avrei avuto progetti concreti, l’umanità è una merda e tutti moriamo. Volevo evadere da tutto quello schifo e pensavo alle droghe o magari il modellismo. Mia figlia ora vede l’horror vacui che la circonda al posto degli unicorni colorati che sognava un tempo e sente di non poterlo affrontare. Non senza il suo tablet.
Il covid 19 e la quarantena hanno però appianato una situazione che per lei era molto dolorosa, sapete? Adesso che lei e i suoi compagni seguono le lezioni da casa non avverte più il senso di esclusione che subiva da mesi a scuola. Fin quando era in classe (lei fa la prima media) le sue compagne la escludevano da tutto perché Matilde non faceva parte del gruppo what’s up degli alunni. E ogni volta si sorprendevano che non sapesse questo e non sappesse quello, perché sul gruppo ne avevano parlato tutto il pomeriggio prima, ma “ah, già, tu non hai uazzàp!”
Non bastavano cinque ore di convivenza nella stessa classe, capite? Se non fai parte della comunità virtuale, non esisti nemmeno nel mondo reale, o comunque sei tagliato fuori perché non puoi avere tutti gli aggiornamenti su quello che si sono detti i tuoi compagni il giorno prima e nessuna di loro ha voglia di metterti al corrente di quello che si è discusso solo perché “ah già, tu non hai wazzap del cazzo!”
Un giorno, Matilde è tornata da un compleanno dicendo di essersi annoiata. Le sue amiche dopo un po’ si sono tutte sedute su divani e poltrone e hanno cominciato a chattare su cellulari e tablet, dimenticandosi le une con le altre e lasciando soprattutto lei sola a guardare. Era l’unica che non aveva avuto il permesso di portarsi dietro il proprio tablet e che non possiede ancora un suo cellulare.
C’è qualcosa che non va, che dite?
Ieri sera poi abbiamo parlato ancora, io e mia figlia. Una chiacchierata di due ore, io e lei. Mi cascavano gli occhi dal sonno ma ho tenuto duro.
“Io mi domando solo perché sono stata punita così duramente” mi ha detto.
“Sai bene perché”
“Va bene, vi ho mentito ma nessuna delle mie amiche è rimasta senza tablet per questo, sono certa che tutte, o quasi, devono aver combinato qualche cavolata tipo mentire ai genitori ma hanno tutte quante il loro tablet, io invece no!”
“Esatto. Ma sai perché nessuno ha tolto il tablet alle tue amiche? Perché i loro genitori ne hanno bisogno più delle figlie. Il tablet spegne i figli. Anche te e tua sorella, quando non ne potevo più di sopportarvi e volevo campo libero, mi bastava darvi il via con il tablet e non avrei più avuto vostre notizie finché non fossi venuto a cercarvi, togliendovelo dalle mani, con vive proteste da parte vostra”
“Inoltre i genitori possono sempre usare il tablet come minaccia. Tipo: Se non fai questo te lo levo tutto domani, se non la finisci non tocchi il tablet per un mese. E magicamente i ragazzi diventano angioletti sottomessi. La paura di perdere il tablet è come il terrore cosmico che assale un qualsiasi drogato all’eventualità di rimanere senza roba. Leva le sigarette a un fumatore o Netflix a una donna di 40 anni e vedrai il panico totale nei loro occhi. Togli il tablet a un dodicenne e si darà alla droga. Ora, spero che tu non faccia simili cavolate ma il tuo sguardo da orrore cosmico, che io vedevo nei tuoi occhi ogni volta che ti dicevo se non fai questo niente tablet, quello sguardo ora non c’è più e un po’ mi manca, ma solo perché sono un pessimo genitore, chiaramente.”
“E mi manca quello sguardo perché ora che non hai più il tablet non posso minacciarti. E ho meno controllo su di te. La prospettiva di non guardare la TV non ti spaventa allo stesso modo. Quasi non la guardi mai, durante la giornata. I programmi ti annoiano, i film peggio. Sembra che tutto ciò che ha una struttura narrativa superiore ai due minuti ti uccida. E guarda qui. Da quando non hai più il tablet, mi cerchi, chiami più spesso tua madre e parliamo per ore io e te. Cosa che non facevamo più. Sai quanto tempo mi toglie ai fatti miei tutto questo? Ore che potrei dedicare alla scrittura, a leggere, sentire musica o farmi una camminata. Invece sono qui a fare il papà, cosa che per tre anni, grazie al tablet, non ero più tenuto a fare quasi per nulla. Non con l’intensità e l’impegno dei tuoi primi sette anni che ti ho dedicato”
Matilde non sembra contentissima di questa novità, anche se mi cerca sempre più spesso per chiedermi di abbracciarla. Credo ci sia di mezzo il ciclo.
In ogni caso, penso che il problema non sia solo dei nostri figli. Anche noi genitori siamo vittime di un sistema social che ci sta fottendo il cervello. Prendiamo le sigarette. Un adulto oggi sa bene cosa comportano. Smette di fumare, se ci riesce, ma più o meno sa come comportarsi se vede il figlio che fuma o gli sente addosso l’odore di sigaretta quando torna a casa. Conosce la gravità del problema. Non minimizza come sessant’anni fa. Allora l’adulto pensava che fumare fosse giusto e fico e il figlio poteva farlo tranquillamente, dopo una certa età. Erano entrambi infognati in una merda alta così.
Con i social oggi è la stessa cosa. Tra quarant’anni sapremo non solo gli effettivi danni che sta causando a noi e ai nostri figli il sistema wi-fi, ma soprattutto sapremo che disintegrazione sociale sta avvenendo a causa dei fottuti social. Non siamo solo noi adulti a non avere più il controllo del nostro tempo e delle nostre vite, stiamo permettendo anche ai nostri bambini di ritrovarsi nella stessa situazione di merda, così noi abbiamo altro tempo per stare sui social a non esistere. Quando saremo vecchi e li cercheremo per avere un po’ d’attenzione ci acquisteranno un tablet ultimo modello con i caratteri grandissimi, lo schermo grosso così. E ci dimenticheranno per sempre nelle nostre feci.
Provate a togliere per un giorno il tablet ai vostri figli. O a non dargli il vostro cellulare o proibitegli di andare su You Tube. Sapete cosa succederà? Non vi si farà mai notte. Senza quei cosi non sanno come impiegare la mente. Hanno perso lo stimolo al gioco libero, alla condivisione tra loro. Questo è il risultato di qualcosa che ci fa comodo. Tenerli occupati con quei cosi è una magia che nemmeno la TV è mai riuscita a fare. I programmi potevano bloccarli per un po’ ma oggi non funzionano più come prima. I bimbi non si perdono a fissare lo schermo. Sono più lucidi e si annoiano presto delle cose in TV. Il tablet invece li annienta. E tu, genitore, hai la casa libera. Potresti anche fare sesso con tua prostituta mentre i tuoi figli sono presi a pasticciare con Gacha Life.
Non voglio demonizzare la tecnologia, solo dire che nel giro di dieci anni le nostre vite sono cambiate alla velocità della luce e solo ora cominciamo a renderci conto del casino in cui ci siamo ficcati, dopo tre milioni di selfie e bannaggi e bullismo cibernetico tra noi e migliaia di altri sconosciuti. Non abbiamo più amici intorno e se decidiamo di levarci da what’s up non possiamo più nemmeno sapere i turni di lavoro, perché ormai anche se hai un impiego ti occorre il social. Sei pure tagliato fuori dalle vicende scolastiche che riguardano i tuoi figli. Solo lì ti informano cosa succederà in classe.
Certo, i social ci permettono di comunicare con più facilità e a distanza, di tenere sotto-controllo determinate situazioni, ma spieghiamoci perché quando andiamo al cesso non riusciamo a fare a meno dal portarci dietro il tablet o il cellulare. Io mi porto anche un libro, che non apro, perché sto al cellulare finché non ho fatto la cacca e anche oltre.
Il problema dei social è che non si possono usare con parsimonia. E’ durissima riuscirci. Provocano dipendenza e finisci per non averne mai abbastanza. Non puoi sperare di fumarti solo tre sigarette al giorno tutta la vita: o smetti o fumi. E con facebook e what’s up è la stessa storia. Probabilmente tra cinquant’anni ne saremo liberi, ma chissà quale altra demenzialità tecnologica avrà preso in consegna le nostre menti!
D’accordo, favoriscono la comunicazione, ma nel metre ci distruggono la vita. Non potremmo escogitare qualche altro sistema che ci tenga in comunicazione in modo economico e rapido ma che non ci spinga tutto il giorno e parte della notte a cliccare, scrollare e mandare cuoricini al fottuto universo?