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Hard Rock – Quarant’anni di giornalismo musicale senza aver imparato nulla!

Oggi è in edicola il primo numero della rivista Hard Rock, pubblicata da Sprea editore, al costo di 6 euro e cinquanta. So che molti la compreranno. Ci sono quelli che ammettono una certa curiosità, altri lo faranno per nostalgia, chi per invidia e alcuni per completismo: collezionano riviste metal e ci tengono ad avere almeno il numero 1 di questa. Hai visto mai che tra 340 anni ci si possa ricavare un bel gruzzolo a rivenderla a qualche revisionista spaziale.Dopo averla letta ho pensato che non avesse molto senso recensirla. Sono sicuro che la rivista si uccida da sola e che non occorra chissà quale palato fine per intuire quanto sia scadente. La mia speranza è impedirvi di buttar soldi, tutto qui. Come ai tempi in cui recensire aveva ancora questa utilità, ricordate?

Va bene il coraggio di tentare un’avventura editoriale dedicata al metal in un periodo a dir poco infausto per qualsiasi cosa esca in edicola (che non siano le figurine Panini e i porno da edicola) ma ha senso “imbracare” una nuova rivista metal di cose riciclate dal passato, articoli tradotti, retrospettive-compitino di una scontatezza allucinatoria e un numero scarsoide di interviste promo? A parte i Kansas e i Whitin Temptation, gli altri sono da seconda sezione di Rock Hard: Ragnarok italiani, BPMD.

Ma partiamo dal nome. Hard Rock. Inutile rimarcarlo, lo so, ma già che ci sono lo faccio anche io. Esiste Rock Hard e parla di metal. Che senso ha chiamarsi Hard Rock? Con tutti i nomi che si potevano trovare, perché una scelta così scontata e vicina al plagio?

Poi la copertina: al di là della scelta geriatrica di mettere gli Iron Maiden, di cui ne abbiamo fin qui, e scrivere sotto Gli anni 80, è onesto usare una foto con Bruce Dickinson e poi all’interno far trovare un articolo, neanche scritto dalla redazione ma tradotto da Classic Rock inglese, in cui si parla degli anni con Di’Anno?

L’ha firmato Popoff, firma autorevole e moderata di Classic Rock, che forse nemmeno immagina di trovarsi anche su questo Hard Rock e con l’articolo di copertina, per giunta.

A parte i nomi noti come la Caserta e Fassina, responsabili di Hard, rivista molto ricordata ma non così stimata dal pubblico metal dei cinquanta-sessantenni ci sono alcuni collaboratori di Classic Rock (Bottero, Giugni) e fine.

Potevano coinvolgere Borchi, Beppe Riva, Trombetti, Barone, Ariatti, Grazioli, cercare di mettere in piedi una contro-formazione che avesse l’autorevolezza di Della Cioppa, Fuzz, Loria, Cerati, De Paola, e invece Coniglio, Bottero, Caserta e Fassina sono il grosso della campagna acquisti.

Ma le news, cazzo! Sembra incredibile, nonostante l’abbiano ammesso pure le più indefesse caritidi del giornalismo metal anni 80 (e pure Coniglio nell’intervista su Metalitalia lo riconosce) che non ha senso pubblicarle dato che la rete è troppo veloce da battere, ancora questi insistono a dedicare pagine a delle news. Allora non si impara proprio niente dopo tanti anni. Quando escono sono praticamente vecchie e di alcun interesse. Perché fare ancora una cosa del genere? E su un bimestrale, poi!!!!

Gli articoli extra-musicali, presentati da Coniglio come se si volesse realizzare qualcosa di diverso e di cui c’era un impellente bisogno, sono comunque articoli già usciti altrove. Un pezzo su Crowley, poi. Se fosse uscito su Classic Rock che differenza c’era? Il prossimo numero immagino toccherà a Lovecraft e poi a Tolkien e poi…

Questo non è ampliare la cultura del metallaro ma coccolarlo nella propria ignoranza propinandogli sempre le stesse cose. Perché non dedicare un articolo a William Burroughs, le cui visioni e l’uso della parola heavy metal lo fece in tempi non sospetti? No, vai con Dario Argento, Clive Barker, Stephen King, Charles Manson, la figura del vampiro,, woooo… i soliti nomi, insomma.

Leggere Paolo Di Orazio che racconta il concerto dei Kiss a cui assistette a 14 anni, dopo averlo già fatto per Sdangher e poi Fatal Report, da una parte mi lusinga ma dall’altra mi indispettisce un po’. Poteva inventarsi qualcosa di nuovo, no? Da uno come lui mi aspetterei un guizzo e invece?

L’articolo sulla storia orale dell’Hair Metal è preso di peso da Louder Than Hell, senza citare la fonte. Non discuto che abbiano potuto farlo legalmente, ma sarebbe stato corretto dichiarare al pubblico che non sono stati quelli della redazione a realizzare un simile sbattone, ma gli autori Jon Wiederhorn (tradotto in rivista anche con il pezzo sui Tool) e Katherine Turman, per un libro edito in Italia da Arcana, qualche anno fa.

Poi, tanto per cercare di essere un po’ al passo con i tempi, ecco l’articolo da blog di seconda categoria: I dieci momenti più folli della storia dei Motley Crue, una Top Ten che già da dieci anni è al centro di un riciclaggio spinto in vari siti, italiani e stranieri, insieme a “i dieci momenti più osceni della storia del rock” e “i dieci peni più lunghi della storia del metal”.

Ah, ci sono però le interviste da grande giornalismo dinamico e audace: dodici pagine al “personaggio scomodo” Pino Scotto, che onestamente credo abbia mandato in overdose il pubblico negli ultimi dieci anni di scleri su Database, secondo la Caserta è necessario fargli ancora qualche domanda su cosa ne pensa della vita e sul suo lavoro con le casse di Jack Daniels, la coca che ha pippato e le fighe che si è fatto durante il Monsters del 92.

E ciliegina sulla torta, l’intervista alla cover band ufficiale dei Metallica (gli Orion), in una rubrica che minaccia di ripetersi. Immagino le tante realtà indipendenti italiane che vedono sprecare due pagine per intervistare chi fa le cover invece di chi fa pezzi originali e non trova spazio da nessuna parte, se non pagando. Bella lì! Chissà quanto bisogno avevano gli Orioni di un po’ di pubblicità a supporto della loro proposta culturale audace e intrigante. Ehi, fanno cover dei Metallica. Support!!!

Per concludere direi che non ho proprio capito ancora l’intento vero di questa rivista. Non vogliono approfondire come Classix Metal perché a quei livelli dicono che è eccessivo, ma non vogliono concentrarsi solo sull’attualità come Rock Hard, che a dire il vero, lo spazio per le retrospettive se lo concede sempre; fatte un po’ così, ma ci sono.

Quindi cosa vogliono fare, Coniglio e gli altri?

Approfondimenti sul passato ma un po’ più scontati e superficiali, giusto per chi ha voglia di iniziare a conoscere la Storia del Metal senza usare internet ma pagando una flat analogica di 6 euro e cinquanta all’edicolante, e allo stesso tempo tenere un occhio sul nuovo per chi vuol sapere che succede nel mondo del metal, sempre usando la flat analogica, con news-rece-interviste fresche fresche… di due mesi fa.

A me non sembra una buona idea, tutto ciò. Classix Metal funziona proprio perché va a fondo e si dedica a cose che un cinquanta-sessantenne non conosce o di cui ha letto troppo poco (speciale di dieci pagine sui Coroner o di dodici sugli anni in cui i Manowar cercavano un contratto, per dire). Sono argomenti elitari ma offrono al pubblico cose diverse e se la rivista ancora esiste significa che qualcuno apprezza e compra. Inoltre sono scritte con una qualità che persino il Metal Shock di Trombetti non aveva.

Rock Hard funziona perché invece copre tutto quello che esce di nuovo. C’è chi usa internet e chi preferisce l’odore di petrolio della carta. Ma chi acquista Classix Metal, si prende di solito anche l’altra. Forse l’idea era portare il pubblico superficiale e relativamente giovane di Rock Hard nei lidi fuzziani del passato, ma non esistono due fazioni di lettori. Si tratta della stessa. Magari unendo le due tipologie di riviste in una, fai risparmiare qualcosa a chi compra due riviste al mese, ma la realtà è che quel pubblico ne avrebbe comprate tre piuttosto che rinunciare a quelle due. E poi non si può raggiungere la qualità degli articoli di Classix Metal affidando mezzo numero a Fassina, con tutto il rispetto. Così come non si può sperare di battere Rock Hard e le sue millemila interviste e recensioni, con una costola crinata di un’altra redazione già indaffarata, aggiungendo un paio di elementi esterni e del tutto estranei all’ambiente, per fluidificare un poco.

Questo è il primo numero e magari le cose miglioreranno, ma il punto è proprio qui. Se il numero uno, che dovresti aver avuto tempo sufficiente a realizzare lascia così a desiderare, non credo che le cose cresceranno di molto. Le premesse sono poco incoraggianti, secondo me.