Cari equinidi impenitenti, eccoci quindi a goderci la ritrovata libertà post chiusura della nazione causa viruZ.
Come? Ci vuole della musica, ovvio, e della birra. Stappiamo e accendiamo subito lo stereo, prima che ci ripensino e ci rinchiudano di nuovo.
Quale miglior colonna sonora per l’evento della raccolta The Platinum Collection, il cofanettone con dentro due cd dei nostri cari amici Twiiiisted Siiiister (prego, fare l’effetto leggendo, senza un sacco di “i” non è la stessa cosa e lo sapete).
Nulla di nuovo in realtà, una semplice raccolta dei grandi classici della band destinata soprattutto al mercato jappo che si compra qualunque cosa o quasi, come sempre, ma con un grande pregio: ha dentro tutto, ma proprio tutto quello che c’è da sentire dell’allegra cricca di ragazzoni di New York. Ebbene sì, i simpatici e scanzonati rockers dal rossetto sbavato ci presentano un sunto della loro era, quei bizzarri anni ottanta nei quali uno poteva metter su una band che calcava i palchi di un’America ancora perbenista, scandalizzando tutti presentandosi truccato da mignottone.
La loro grinta era evidente, shockante, delirante. Ricordo con una lacrimuccia di nostalgia le serate passate a guardare le videocassette registrate dai programmi tv del tempo con gli amici cantando Stay Hungry (feel the fire, le parole si formano nella mia mente mentre cito i titoli dei pezzi, lo giuro!). E che dire della epica We’re Not Gonna Take It, di Come Out And Play ;a naja conobbi un caporale veneto che cantava il ritornello ruttando, un vero artista, se lo avesse conosciuto Dee Snider credo lo avrebbe portato in tour!
Indispensabile per chi non li conoscesse (vergogna, questa è storia del Rock del primo anno, ascoltare subito o vi boccio tutti) e gradito ai vecchi fans incalliti della Sorellina Ballerina, perfetto disco per party selvaggi, epiche trombate e lunghi viaggi (se non temete multe, sennò meglio roba più sobria).
Ok, saltiamo di palo in frasca, ho qualcosa di speciale per gli amici amanti del Southern Rock, quello venato di blues sporco ma elettrico al punto giusto, che sa di concerti nei piccoli locali del Sud, sotto le bandiere confederate, tra gente allegra con indosso camice a quadratoni rossi e neri e cappelli da cowboy che si diverte mentre la band ci da dentro sul palco. Sto parlando South X South Dakota, ultima fatica della Ron Keel Band, che raccoglie undici tra le più belle canzoni del rock americano (e ce le ripresenta in versione Keel con quel tocco in più che il buon Ronnie non manca mai di metterci) e ci porta in giro su un treno che attraversa campi a perdita d’occhio e praterie in cui pare di vedere gli indiani dei film in bianco e nero cavalcare alzando polvere.
Da Train Train dei Blackfoot, mai stata così bella, a Red White And Blue dei Lynyrd Skynyrd, classicone assoluto del genere, il disco si lascia ascoltare e porta con sé la sete di moonshine distillato di contrabbando.
Non mancano nemmeno i 38 Special, ricordati con Rockin’ Into The Night (fa vo lo sa, se lo chiedete a un vecchio centauro come me) o i Molly Hatchet che sbucano fuori da Flyrtin’ Whit Disaster. Persino i Marshall Tucker Band hanno la loro Fire On The Mountain (anche se in versione molto più elettrica dell’originale, con le chitarre in primo piano, in perfetto stile Keel).
Un disco di cover, sì, ma fatto col cuore e riuscito fottutamente bene!
Ma torniamo a suoni più tipicamente hard rock con gli H.E.A.T. II, ultimo prodotto della band svedese, ci si presenta classico, orecchiabile, godibile e davvero ben fatto. Se vi piacciono le canzoni grintose, suonate in maniera pulita ascoltatevi Rock Your Body, che apre l’album e poi ditemi se non è un bel pezzo!
Non mancano pezzi memorabili, come la potente We Are Gods (vi sfido a non canticchiare il ritornello, dopo, due volte, vi sfido!) e c’è anche il lentone strappamutande degno degli Europe, Nothing To Stay, cui tante pischelle cederanno limonando duro nei clubs, o il video accattivante di Come Clean, con i testi in stile karaoke per farci capire che il tipo vuole proprio ritrovarla sta tipa, mica fa finta.
Quanto ammore, quanto sentimento.
Presto, birra.
Come? Dite che vi lascio con dischi troppo “moderati” e che non ho niente per gli amici più feroci, assetati di metallo fumante? Ma dai, per chi mi avete preso!
Ci pensano gli Shrapnel, gruppo inglese fautore di un ottimo thrash anni ottanta a riportarmi nel mondo del sano metal, mordace e tagliente come si conviene.
Come dite? Siamo nel 2020? Bah, cazzate, un buon disco resta un buon disco, anche se arriva un po’ in ritardo. Sì perché devo proprio ammetterlo, questo Palace For The Insane sarebbe stato perfetto tra Pleasure To Kill e Season Of The Abyss, nella golden age del thrash, per capirci.
Disco bello, ma bello davvero, per i thrashers impenitenti come me, dalla copertina sanguinolenta, all’ultimo urlo della title track, che chiude il disco.
Soddisfatti?
E allora facciamoci una birretta, alziamo il volume e godiamocela gente!!!