Barn to be wild – Una bella scorta di uscite per arrivare a settembre!

Cari equinidi sintonizzati sulle frequenze sdanghere, oggi abbiamo diversi dischi di cui parlare, per cui mettetevi comodi che i grandi ritorni in scena sono tanti e molto interessanti, parola di centauro.

Partiamo subito con qualcosa di bello succulento, un disco che fila come un treno su binari stabili per il piacere dei vostri padiglioni auricolari. Siete stanchi di ascoltare contaminazioni con lo ska o l’hip hop? Non ne potete più di ritmi sostenuti e pause messe a cazzo o vocette da oratorio che entrano a gamba tesa per stupire? Bene. Il vostro centauro ha espugnato la consolle qui a Sdangher e vi serve un signor disco, di quelli che vi faranno ricordare il piacere di ascoltare metal.

Ladies and gentlmen ecco a voi i Warbringer, che tornano a velocità sostenuta con il loro Weapons Of Tomorrow, consegnandoci un disco che colpisce come una martellata in faccia. I nostri ci ricordano chi comanda con il loro thrash venato di sonorità oscure e tetre, senza perdere tempo, ma andando subito al sodo con pezzi come Power Unsurpassed o Unraveling, che fracassano gli ampli senza pietà dal primo ascolto, e pezzi più particolari, come la bizzarra Heart Of Darkness che consiglio a tutti di ascoltare con la dovuta attenzione. Un lavoro serio, ben fatto, che dal thrash di base, in stile vecchia scuola americana, evolve verso atmosfere a tratti quasi black metal, tenendo sempre l’ascoltatore attento e sveglio! Gran disco davvero, non fosse per una copertina bruttina a dir poco, ma son cose che possiamo perdonargli dai!

Altro grande ritorno ce lo presentano i cari vecchi Destruction,  band tetesca ti Germania che non va molto per il sottile. Trattandosi di un disco dal vivo temevo una trista mossa commerciale tipo “raschiamo il barile tanto c’è il Covid19 in giro” e invece (sorpresen, sorpresen!) ecco che la nostra allegra scuderia si riempie di musica viuleeeeenta che arriva un po’ da tutta la produzione della band. Le hit che hanno consacrato i Destruction tra le band del gotha thrash  tornano in versione live a farci saltellare scaldando i motori ed aspettando di poter tornare felici e contenti sulle strade a far festa. Gran bel disco, una cavalcata selvaggia con canzoni come Mad Butcher, total Desaster e Bestial Invasion.  Così si fa ragazzi, questo sì che è un disco in grado di farci ricordare i bei tempi, coi concerti, la folla ed il pogo roteante. Aspettando che tornino quei giorni non posso che far tanto di cappello (cromato, ovviamente) a Schmier, Mike Sifringer e gli altri, per questa testimonianza di come si suona il thrash metal. Danke!

Ora veniamo alla nota negativa, che deve esserci sempre sennò ci annoiamo noi centauri da scuderia selvaggia!

Un grande gruppo del passato, poco noto ma un tempo rispettabilissimo, che torna e lo fa scopiazzando niente popò di meno che gli Iron Maiden (non dico per dire, lo ripeto, trattasi di copiare, non di ispirarsi al gruppo di Dickinson e Harris, no no, parlo proprio di vergognoso copia incolla).

Ora, i miei lettori affezionati sanno che c’è una sola cosa che io odio più di un gruppo che copia, ed è un gruppo che potrebbe fare cose meravigliose perché ne ha le capacità, ma invece copia. Da un gruppo storico e visibilmente, oltretutto.

Questi Cloven Hoof, band presente alla vera NWOBHM negli anni ottanta, che ha militato per decenni (parecchi) sulla scena inglese con diversi cambi di formazione, sempre con un certo stile e un livello ottimo, fa parte del genere “quelli che mi fanno incazzare”. Abilissimi strumentisti, degni del massimo rispetto, si sono resi a mio avviso ridicoli con alcuni dei pezzi del loro nuovo Age Of Steel. Andatevi a sentire Gods Of War e ditemi se non è plagio bello e buono. Non vi basta? Beh c’è l’inizio copia incolla di Alderley Edge per togliervi ogni dubbio. E se serve ascoltatevi il ritornello. No? Ok, prendete allora Touch The Rainbow e ripetete mentalmente The Evil That Men Do.

Shame (campanella) Shame (campanella)…

Ma i dischi di oggi non finiscono qui, voglio prendermi un momento a dire la mia anche sull’ultimo degli Aftermath, storico gruppo americano di Chicago di ragazzi dai cognomi greci (in Europa anche la casa discografica che li distribuisce è ellenica, la Sleaszy Riders).

There Is Something Wrong, questo il titolo dell’album, mi ha lasciato perplesso. Come detto poco fa c’è qualcosa di sbagliato, ma dire se sia la voce che arriva a toni quasi punkeggianti, secondo il parere del sottoscritto assolutamente inadatta al genere proposto, o le canzoni che non riescono a emozionarmi veramente perché un po’ scontate e prevedibili, è difficile. Non un brutto prodotto, pieno di attenzione e suonato con buona tecnica, ma mai coinvolgente allo stato di “selvaggio saltellamento” che il thrash dovrebbe trasmettere.

Non mi ha deluso, un po’ annoiato però si, devo ammetterlo.

A questo punto meglio ascoltare Danzig che si butta a capofitto nel celebrare il proprio idolo con il simpaticissimo Danzig Sings Elvis, intero disco di cover del Re del Rock’n’roll a opera del nostro strambo amico Glenn, sempre impegnato nel sorprenderci in qualche modo. Come? Elvis non è metal? Certo che no, cari amici equinidi, Elvis è The King. O lo si ama o lo si odia.

E lo deve amare davvero tanto l’ex Misfits, che gli dedica la propria versione di quattordici delle più famose canzoni della sua carriera, reinterpretate con voce forse non più graffiante come ai bei tempi, va detto, ma con cuore e stile, arrivando a dare a tutto il lavoro un tono “oscuro”che aleggia come un fantasma dalla tuta coperta di lustrini!

Ecco, mi sento già meglio, tanto che salto di palo in frasca ed estraggo dal cappello l’ultimo disco dei Vader. Sì perché ora, proprio ora, è il momento della…

Viulenzaaaaa, tanta, che gronda da tutto l’album, annichilisce l’ascoltatore e lascia chi ama il thrash/death dei Vader a sorridere beato, con occhio iniettato di sangue e sorrisetto perfido. Aspettavo da tempo questo Solitude In Madness e non sono rimasto deluso, come sempre i Vader mi danno ciò che mi aspetto da loro: potenza & cattiveria. Stavolta anche più del solito!

Dopo un EP come Thy Messenger, che non mi aveva convinto del tutto, nonostante anticipasse questo capolavoro con alcune anteprime, e la mezz’ora appena di musica contenuta in questo Solitude In Madness, canzoni come Into The Oblivium ripagano i fans dell’attesa. Un piccolo capolavoro made in Polonia che alza il livello medio delle uscite recenti.

Ora che mi sono sfogato voglio salutarvi con una chicca strana e bella, non per tutti, forse addirittura di  difficile ascolto la prima volta, ma che affascina poco a poco. Sto parlando di Tales Of A Future Past dei tedeschi Mekong Delta. Un disco che mescola tante cose, una sorta di costruzione su base thrash metal che evolve verso sonorità impreviste ed inaspettate.

Se accettate un consiglio dategli un paio di ascolti, uno non basta, l’immediatezza cede il posto al fascino di un’attenta ricerca sperimentale che, a molti di voi, potrebbe piacere. Senza mai scadere in cose assurde e noiose i Mekong Delta hanno saputo confezionare un prodotto che dice, finalmente, qualcosa di davvero fuori dal coro.

E per stavolta chiudo e la riapro a settembre, dalla scuderia selvaggia è tutto, a voi studio!