Io riuscirò a vedere gli angeli quando voleranno sul mio mondo – Angels dei Guild Of Ages
Dedico questo pezzo a Francesco “Fuzz” Pascoletti
Parliamo un po’ dei Caught In The Act. Prima però bisogna specificare che per una volta, per questo mio articolo non posso contare sulla “rete” di sicurezza di wikipedia o di Encyclopedia Metallum. Non ci sono schede più o meno dettagliate su di loro e se digitate il nome Caught In The Act, con molta probabilità troverete un sacco di notizie su questi tizi.
Non è un errore e non sono rimbambito io. Non ho improvvisamente deciso di darmi alle boy band d’annata, tedesche, per giunta.
Il motivo per cui vi appaiono questi maschiotti è in parte la rovina dei Caught In The Act (quelli veri, per quanto mi riguarda). Ma come dicono alla sede svizzera di Amanzo, “andiamo con ordine”.
I Caught In The Act non si chiamano Caught In The Act, non più. Per un po’ hanno modificato quel nome in uno degli acronimi più sfigati della terra: C.I.T.A. ma quei cattivelli tedescazzi della boy band di cui sopra, sono riusciti a far valere le proprie ragioni anche su quello. Infatti, se scrivete C.I.T.A. band, vi ricompaiono sempre loro.
Ma non demordete e scrivete Guild Of Ages. A quel punto le informazioni a vostra disposizione forse saranno ancora meno, ma qualsiasi band vi comparirà con quel nome, ecco che ci siete: loro sono i Caught In The Act.
Mi premuro di riscrivere spesso il nome Caught In The Act perché voglio che google riconosca il mio articolo come una fonte di informazioni a cui qualche buontempone fumatore di fieno come me, possa un giorno brucare su un po’ della propria curiosità riguardo questa band.
Non questa
QUESTA!
Guild Of Ages è essenzialmente un nome sfigato che non ha funzionato granché. Il precedente non era altrettanto convincente per quel che mi riguarda, specie negli anni 90, quando suoni un tipo di musica che le riviste specializzate nemmeno riescono più a descrivere al pubblico dei lettori metallari.
C’è chi li ha lasciati passare sotto silenzio, addirittura, commettendo un autentico crimine giornalistico e chi, preso da compassione e ansia per uno dei gruppi melodici più ispirati e integri dell’heavy melodico americano, ha preferito spacciarli per epigoni del filone progressive-metal di inizio anni 90, invece di rimboccarsi le maniche e fare il proprio lavoro con le parole. I soli che davvero si sono battuti fino all’ultima goccia d’inchiostro per i Caught In The Act (poi C.I.T.A. e ancora dopo Guild Of Ages) sono i fuzziani di Metal Shock.
Nel 1994 io ero un giovinetto molto impressionabile. Tutto quello che compariva sulla mia rivista preferita rispecchiava ciò che effettivamente stava accadendo di eccitante nel mondo metallaro. Quindi se finiva top album quel determinato gruppo, io ero sicuro che avrei dovuto comprare tale disco, al più presto, dal momento che era il meglio possibile, se volevo capire cosa ci fosse di hot in giro.
A Metal Shock della gestione Fuzz, risentirono di quegli anni strani. In copertina trovavo i Pearl Jam. All’interno si parlava di Nirvana e di Soundgarden, di Smashing Punpkins e Radiohead. Poi li sentivo su Videomusic e non capivo bene cosa c’entrassero con il metal. Metal erano i Priest, Metallica, Iron Maiden, no?
Nel 1994 c’era chi scriveva con entusiasmo della rinascita del thrash. Poi ascoltavo il singolo dei Machine Head e le mie perplessità aumentavano. Cosa c’entravano i riffoni zeppi di armonici di Burn My Eyes con Under The Influence degli Overkill o The New Order dei Testament?
Non ero arrabbiato, solo confuso e desideroso di adeguarmi e capire cosa fosse il metal alla mezza degli anni 90. Ma non perdevo la fiducia. Le band di Seattle mi piacevano, in ogni caso, e anche i Machine Head erano fichi, solo che non mi raccapezzavo quando nelle recensioni, sempre più spesso, qualcuno cercava di spiegarmi che sound avesse questo o quel determinato gruppo.
Per dire: come suonavano i Jesus And Mary Chain? E i Morgoth? I Treponema Pall? I Primus? Che disco era The Promised Land dei Queensryche? E Vicious Circle dei L.A. Guns? Era un bel casino, no? Si trattava di metal? Come mai in molti di quegli articoli la parola magica nemmeno veniva menzionata?
Poi un giorno a Metal Shock impazzirono per i Caught In The Act e io pensai che anche il mondo li adorasse e stesse portandoli verso il trono dell’heavy moderno.
Leggete qui che roba scrivevano, per dire.
“Il debutto dei Caught in the act è la cosa più incredibile successa all’heavy metal nel ’95” – Fabio Zampolini.
Lasciamo stare chi è Fabio Zampolini. Quello che conta è: scriveva su Metal Shock nel 1995 e mi presentava i Caught In The Act in questo modo.
Poi cercava di spiegarmi che genere di musica facessero, per essere “la cosa più incredibile successa all’heavy metal nel 1995”.
Allora iniziava citando il metal classico: la melodia, però c’era anche il riffone. Era AOR, che musicalmente come definizione mi confondeva più del Pomp Metal, che veniva citato in aggiunta, per gettarmi nella più totale incertezza.
Nell’intervista che Zampolini fece alla band, presentandola un po’ deluso come un pugno di ragazzi timidi e impreparati al rapporto con la stampa, si citavano Bon Jovi, i Journey, gli Styx.
Chi diavolo erano gli Styx?
In quel periodo ero pazzo per il metal americano anni 80. Avrei fatto un pompino a un ciccione brufoloso, se mi avesse copiato Tooth & Nail o Under Lock And Key dei Dokken. Soffrivo all’idea che nel giro di cinque anni, quel genere, definito da Beppe Riva “Class Metal”, fosse letteralmente sparito dalla scena proprio quando io mi ero scoperto follemente innamorato di esso.
Se Zampolini si fosse limitato a dirmi quanto i Caught In The Act dovevano ai Dokken, sarei andato a comprarli subito, ma pur leggendo e rileggendo ogni riga della recensione di Relapse Of Reason, era tutto così ambiguo che non riuscivo a decidermi se puntare su di loro la mia mancetta natalizia o su Motley Crue dei Crue. Alla fine optai per i secondi pentendomene a sangue. Solo dopo molti anni ho capito la grandezza di quell’album.
Nulla di male ma se avessi acquistato i C.I.T.A., quando uscì il secondo album, Heat Of Emotions, definito dal Fuzz in persona “Inarrivabile” su Metal Shock, avrei capito che la mia musica preferita non era tutta raccolta in un cesto del discount e che da qualche parte, gente giovane, forte e speranzosa, si stava battendo ancora per un futuro heavy class di qualità. Oggi mi viene da ridere ma nel 1995 io avevo un bisogno assoluto di sapere che qualcosa di speciale stesse accadendo ancora in America, anche se non a Los Angeles, ma in Colorado.
Fuzz scrisse cose meravigliose di Heat Of Emotions, Top Album di Metal Shock come un siluro sulle chiappe di venere.
“Siamo davanti alla band definitiva dell’hard melodico per questi travagliati ninetines”.
Hard melodico. Cioè? Quanto melodico, e quanto hard? Poi subito dopo ecco una frase che mi confondeva ancora di più:
“Un riff di chitarra appreso dagli Iron Maiden più epici e descrittivi”
Gli Iron Maiden? Ah, ma che palle, gli Iron Maiden!
In effetti ci stava un paragone del genere, perché i Caught In The Act traevano ispirazione anche dal metal classico inglese ma quel riff, ma l’apertura del brano Far Behind, a dire il vero era più simile ad Hang Touch dei Tesla.
La band era stata in tour con i Tesla e probabilmente si era lasciata influenzare dal loro repertorio. Tornati a casa e messisi a scrivere, ecco che il riff di Hang Touch sotto mentite spoglie gli si è riproposto come un rutto di capodanno il 2 gennaio. “Dove l’ho già sentito?” avrà pensato Bobby Barth. “Va bene, è bello e ci sta a pippa di cocco, quindi vai Danny, incidiamolo!”
Chi è Bobby Barth?
Un veterano AOR già in precedenza attivo sulla scena con gli sfigatissimi Axe, il quale appena ha sentito i C.I.T.A. se li è appressati al cuore cercando di aiutarli a trovare un contratto ed esordire sul mercato, facendo loro da produttore, arrangiatore e manager. Nel primo album dei Caught, Relapse Of Reason, c’è moltissimo la mano di Bobby Barth, e in coda alla track-list, come ciliegina, potete sentire due canzoni proprio dei vecchi Axe: Silent Soldier e Stean Another Fantasy omaggiati dai Caught In The Act.
“Bobby ha creduto in noi appena ci ha sentito suonare” disse la band al tempo. “Col tempo si è trasferito a Denver per starci vicino, dal 1996. Ci ha tenuto le redini tirate nel primo album e un po’ meno nel secondo, anche se l’ultima parola è la sua, sempre. Ci ha indurito il sound riducendo le tastiere”.
Ok, ora continuiamo con il Fuzz.
“Una melodia di cui si temeva perso lo stampo”
E la madonna!
“Oggigiorno non è la cosa più semplice di questo mondo scrivere melodie vincenti, come dimostrano i prodotti di gente navigata come B. Adams e Nightranger, che con le ultime fatiche non vanno oltre le due, tre canzoni valide”.
“Heat Of Emotion è leggermente spostato sul class rock rispetto al primo album”.
Class sì, ma non metal. Class Rock! Che cosa è il Class Rock? I Free? Gli Elo? I Legs Diamond? Mi fanno schifo i Legs Diamond!
“Un paradiso hard-pompous”
Pomp Metal, ovvero i Magnum? Oh, cazzo no…
“Miles Away ballad degna del miglior bon jovi ma sotto No Heroes, I’ll Cry No More, Led Zeppelin in versione pomp-americana. Find My Way con refrain memori dei Beatles rivisitati …”
Zep, Beatles… ma che razza di musica facevano ‘sti Caught In The Act?
Non si capiva, bisognava conoscere i gusti del Fuzz per rendersi conto che quel gruppo rappresentava il sogno bagnato che gli anni 90 le etichette gli proibivano ormai anche di fare la notte nell’intimità onirica del proprio lettino.
Essendo lui il capo-redattore di Metal Shock nel 1995-96, spinse quindi la band, aiutato dal fido Zampolini, ma a poco valsero gli sforzi. Il gruppo tirava abbastanza forte in Giappone e in Europa, però era sconosciuto in America, dove si esibiva nei localetti, suonando cover dei Journey a quattro ubriaconi nostalgici con il bicchiere di birra in mano e il berretto con l’aquila in testa. Pensate che il primo disco dei Caught In The Act, pubblicato dalla Empire Records, non era nemmeno uscito negli Stati Uniti. Si trovava solo nei negozi di import, a prezzi molto alti. A quel tempo era normale. Capitava pure a Dokken e Firehouse, per dire.
Nonostante questo vendettero parecchie copie.
Per il tour di Heat Of Emotions poi iniziarono anche a suonare nel nostro continente, condividendo il palco con i Pink Cream 69 e nel biennio 97-98. Si divertirono molto. Poi però furono costretti a cambiare nome e per quanto Bobby Barth, li spingesse e gli procurasse contratti e agganci vari, le trenta-quarantamila copie dei due primi album non si bissarono più.
“Sì, è una band pop per teenager che non conoscevamo. Hanno pubblicato il primo disco contemporaneamente al nostro, stiamo cercando un modo per coesistere in pace” – Danny Martinez
Non so come andò ai Guild Of Ages, nel 1999-2002. Con quel nome il gruppo ha complessivamente inciso altri quattro album in venti anni circa, ma dei 50 italiani che conoscono i Caught In The Act, almeno 30 non hanno mai saputo che il gruppo, dopo Heat Of Emotions, ha continuato a esistere e ancora oggi è in giro. Di fatto, i dischi usciti col nome GOA non hanno rappresentato un brusco cambio di rotta artistico per la band. È la medesima band, con lo stesso percorso creativo, interrotto nei primi duemila e ripreso pochi anni fa, quando i Caught Of The Act/C.I.T.A./Guild Of Ages sono tornati a girare nei locali per il gusto di esserci ancora un po’.
Non c’è di mezzo più Bobby Barth con loro. Il nuovo album Rise risulta infatti prodotto da Martinez e Truijllo. Un gran disco che però non ha portato nessuno sviluppo ulteriore alla carriera dei Guild Of Ages. Ormai dobbiamo chiamarli così.
Indubbiamente i primi due album, quelli usciti come Caught In The Act, possiedono ancora oggi qualcosa in più. Ci sono canzoni come No Heroes, Relapse Of Reason, Heat Of Emotions, Endless Summer, che ti lasciano qualcosa di speciale, dopo averle sentite. Sono fatte della stessa rugiada delle notti migliori per questo genere. Solo che cambiava il contesto e non so voi ma io ne ho sempre avuto bisogno, di quel determinato contesto.
Cosa intendo? Se ascolti i Motley Crue nel 1988 vedi certe cose nella testa: motociclette, spogliarelliste, luci al neon rosse e debosciati in piscina che scolano vodka fino a non capire più nulla. Se senti i dischi degli anni 80 nel 95, vedi le stesse scene perché ogni album è una sorta di capsula temporale. Come una fotografia, sprigiona la polvere e l’odore di quei tempi. Anche se non li hai vissuti, finisci per illuderti di vederli davanti ai tuoi occhi con la stessa dolcezza aggressiva dei ricordi autentici.
Se invece quattro tipi anni 90, capelloni sì ma con le camicie di flanella, del Colorado, suonano quella musica, ti rendi conto che c’è davanti a te un locale semivuoto, con le poltroncine orride tipo quelle dell’Orion di Roma e un ciccione davanti al palco che fa sì con la testa e si sbroda sulla maglietta scoloritissima dei Van Halen del 1983.
Ecco, i Caught In The Act del periodo 1994-1998 restano impregnati di quella disfatta, c’era un vuoto, una diaspora triste che ammanta le melodie più brillanti di un uggia che non si meriterebbe, ma che c’è, come una scorreggia di smog sulla fiancata della vostra bianchina immacolata. Chiaro?
Uno però alla fine se ne sbatte e lascia perdere il contesto, si affida alla musica. Gli anni di One
Vox Dominatas
e Citadel
incisi per la MTM tedesca, con Bobby Barth a produrre e il nome Guild Of Ages, sono tutti buonissimi lavori. Vi esorto a recuperarli. Non c’è più roba all’altezza di Say A Prayer o Far “Hang Touch” Behind, ma Something Inside, Walk The Line, Until The End, Angels, Changes, valgono più di tutta la roba composta dai Dokken negli ultimi quindici anni.
I primi album, spesso sminuiti dalla band in fase di intervista come lavori immaturi e passati per troppe mani e capocce, restano comunque l’apice. Negli anni successivi a Heat Of Emotions il gruppo prese sempre più il controllo sulla scrittura e la produzione, mantenendo alta la qualità ma senza ripetersi più a quei livelli iniziali. Certo, l’entusiasmo doveva essere un po’ scemato, le aspettative ridimensionate in confronto ai primi anni 90, ma la testa è sempre rimasta alta.
I Caught In The Act/Guild Of Ages erano e restano l’ultimo genuino guizzo di un genere che ormai cola melassa nostalgica sul catalogo Frontiers, con rari momenti di vitalità vera, ma per lo più ordinaria amministrazione hipster-vintage. Solo gli Eclipse oggi hanno qualcosa da aggiungere al genere.
Forse anche i Guild of Ages l’avrebbero. L’ultimo Rise del 2018 è un lavoro fiero e fresco, onesto come tutto quello che il gruppo ha sempre realizzato, senza guardare in faccia nessuno. Ieri e oggi.
Peccato che sembri una sorta di episodio isolato, fatto giusto per offrire qualcosa di nuovo ai fan e mostrare a se stessi che ancora riescono a realizzare musica di qualità.
Non ce li vedo i Guild Of Ages/Caught In The Act a pubblicare ancora tre o quattro nuovi album nei prossimi dieci anni con questo nome. Ma ci spero.
Un ringraziamento sentito a Salvatore Falluca per avermi aiutato con il materiale per questo articolo.