mercyful coven

La micro-editoria e il futuro della musica da leggere

Leggendo Mercyful Coven, il volumetto fanzinaro scritto da Marco Grosso e interamente dedicato agli “evil years” dei Mercyful Fate, non ho potuto fare a meno di riflettere su alcune questioni. Non voglio soffermarmi sul librino in oggetto, sarebbe un gesto poco rispettoso nei confronti dei lettori e dell’autore stesso, visto che io e lui ci conosciamo bene (ha pure scritto su Sdangher). Finirei per compitare una delle solite marchette inutili tra “colleghi”, che si vedono spesso in rete e anche su certe riviste. Più che altro mi domando quanto abbia senso per un italiano oggi, pubblicare a proprie spese un testo dedicato a un gruppo storico, di cui si è già scritto in abbondanza, e nemmeno nella propria lingua.

Scrivere e stampare, in piccolo numero, focalizzando l’offerta su una band storica del metal, può avere riscontri di vendita sorprendenti. Le 100 copie della fanzine sembrerebbero già esaurite. Inoltre la scelta di scrivere in Inglese, ha favorito l’interesse di acquirenti appassionati e collezionisti, in tutto il mondo.

Tanto più che la piccola scena scribacchina italiana, sempre pronta a riempirsi la bocca di parole come “supporto” e “fratellanza”, ha disertato quasi completamente la fase promozionale e di “appoggio” della piccola impresa di Grosso.

Indifferenza generale dei colleghi recensori ma entusiasmo pratico di Manuel Fiorelli, autore dell’introduzione e di Enzo Rizzi, che ha disegnato la copertina di sua sponte. Il resto degli addetti non ha condiviso e tantomeno sostenuto il lavoro di Marco.

Nemmeno io.

Ma io non credo nella fratellanza metallica e non ho mai scritto una riga in stile “volemose bene” di certi fraticelli del folk ambientale truista, livorosi e paranoici. Ho pagato in primis le rivalità e le invidie di molta gente ma soprattutto l’indolenza e la mancanza di curiosità della generalità dei metallisti con le toppe sul cuore.

Marco Grosso non è simpatico a molte persone del giro. La ragione secondo me è che, rispetto ad altri, lui FA COSE o almeno tenta di farne (fanze, dischi, articoli). Non c’è niente di più imperdonabile per chi invece preferisce starsene con le dita sotto il culo perché “non ha tempo” o “non ha voglia” che vedere qualcun altro in azione. Lo fa sentire così a disagio. Spera che fallisca così da poter dire: “visto? Ben gli sta”

Ma perché dovrebbe “stargli bene?”

“Perché se io non faccio, nessuno deve fare”

Sono felice del successo di Mercyful Coven. Non lo dico per il bene dei Mercyful Fate. Non me ne frega nulla se il loro nome continua a prosperare tra gli appassionati. Sono felice per Marco, che è mio amico. Non posso che rallegrarmene se qualcosa gli va bene, no?

Tornando sulla questione dell’Inglese, scelta che anche in altri ambiti della critica ormai è diventata d’obbligo, non credo sia così doverosa. Sono convinto che non si possa più ambire a vivere scrivendo articoli su band e album e come Italiano credo sia l’ultima delle fregature, quello di dover rinunciare alla mia lingua per esprimermi con una non-lingua (l’inglese internazionale).

Cerco di fare le cose in modo serio e approfondito, condividere e non imporre stimoli e idee. Se qualcuno legge e apprezza, tanto meglio. Non ho bisogno di soldi per continuare a farlo con puntualità e impegno.

Di sicuro riconosco che si possa ancora investire in modo microscopico, mirato, riuscendo magari a recuperare i soldi spesi e rallegrarsene. Marco Grosso ha realizzato un esempio pratico che qualche editore magari farebbe bene a studiare per il futuro.

Secondo me l’editoria specializzata e l’autarchia delle fanzine, si ritroveranno sulla stessa poltrona brindando all’underground.