buttafuori

Lettera aperta di un buttafuori

Ok, è vero, pare ormai giunto il crepuscolo della Nazione a suon di assurdi dpcm a raffica. Un virus molto pericoloso ha decretato non solo la manifesta incapacità di organizzare una buona risposta al problema da parte del Governo, ma anche e soprattutto l’incredibile capacità di questo di incolpare del tutto noi cittadini. Ora, se non voglio puntare il dito contro chi se la sta più o meno godendo a botte di coprifuoco e posti di blocco che neanche in un romanzo di Orwell (si sono presi il controllo totale del Paese con una scusa nemmeno troppo buona) e non metto in discussione la pericolosità del Virus che uccide (in bassissima percentuale, in caso non fosse chiaro, ma il rischio c’è e sarebbe assurdo dire il contrario) vorrei invece spendere due parole sulle colpe di tutti, le nostre e le loro e sulla posizione della categoria che nessuno considera mai: i buttafuori.

Siccome i locali sono chiusi sono costretto a sbarcare il lunario occupandomi di distanziamento e regolamentazione degli ingressi (come altri millemila miei colleghi). in pratica sono uno di quei poveracci che si gelano il culo dieci ore al giorno fuori dai supermercati e dai grossi negozi, dai fast food ancora aperti (finchè restano aperti) e così via.

Oltre ad essere sottopagato (ma tanto sotto) a lavorare in condizioni limite, in piedi per ore e ore di fronte agli ingressi, devo pure sopportarmi il mormorio del pubblico. Ovviamente a lavoro non posso rispondere a tono, mi devo ciupare tutte le stronzate che la gente mi rifila, annuire, controllarmi e cercare di far sì che rispettino le norme previste, quella logiche e quelle assurde.

Avete presenti gli eroici infermieri?

Noi non siamo eroi. Noi siamo rompiballe che obbligano le signore a coprirsi il naso che manco respirano, pore creature, e finché non sono oltre l’ingresso, dove spesso le perdiamo di vista e possono liberarsi del fastidio rappresentato dalla mascherina, le obblighiamo a tollerare il supplizio.

Noi non siamo “legittimi” come quelli che gli rifilano multe da capogiro per il loro bene se infrangono il coprifuoco (sì ho detto coprifuoco. Si chiama così quando ti obbligano a rientrare in un certo orario in spazi in cui possono confinarti. Ogni altra definizione risulta aleatoria, siamo sotto co pri fuo co, fatevene una ragione), no, noi siamo solo sceriffi assunti per rompere le palle ai cittadini.

E la storia non cambia, anche prima della chiusura per covid eravamo le guardie nei locali, sempre criticati perché presuntamente violenti e aggressivi, soprattutto dai genitori dei giovani. Poco importa se poi siamo noi a beccarci le coltellate dai loro figli quando questi si azzuffano, ubriachi, fatti o semplicemente stronzi, in discoteca o alla fiera del peperone gigio di Vattelapesca al Mare.

Bene, oggi vi scrivo perché vorrei che cominciaste a capire che a noi, personalmente, questa chiusura ha portato danni quanto a voi. Ci ha rotto le palle e ce le rompe ogni giorno, forse più che a voi.

Le nostre paghe sono ridotte di un bel trenta per cento (in altri posti va pure peggio) ma noi non ci lamentiamo e facciamo un lavoro che non dà alcuna soddisfazione. In silenzio, senza manifestare o frignare sui social.

La gente ci tratta peggio di prima, incolpando noi delle impopolari decisioni di un governo non eletto che gioca a fare il Grande Fratello, ma noi sopportiamo perché è il nostro lavoro. E manco posso dire di sopportare tutto col sorriso, perché indossando la mascherina so che non lo vede nessuno comunque.

Le Forze dell’Ordine ci guardano spesso come se fossimo i compagni di scuola meno fortunati, anche perché siamo noi ad infastidirli, chiamandoli, quando le situazioni degenerano e non possiamo usare modi poco gentili. Ormai un buttafuori ne sa quanto un team di avvocati di leggi e leggine atte a “limitare l’uso della forza”, riservato a chi indossa la divisa e solo in certi casi limite. Quindi se ti insultano o ti sputano addosso puoi scegliere: o te la becchi o te la rischi, per dirla tutta.

Perché scrivo queste righe? Perché vorrei dire a chi si trova davanti a presone che lavorano, già al limite della sopportazione, di ragionare prima di parlare.

Mi rivolgo ai complottisti della domenica per sfatare alcuni miti: il termoscanner non cancella la memoria, non raggiunge con misteriose onde la vostra ghiandola Pineale trasformandola in un transistor, non vi rende impotenti. È un cazzo di termometro, andate a leggervi come funziona e non rompete i coglioni che dobbiamo lavorare.

Vorrei dire due parole anche agli arrabbiati del caso, quelli che ti urlano in faccia che non è giusto, che non è democratico e che non si può andare avanti così: non volete sottostare alla regole imposte arbitrariamente da un Decreto che non considerate legale? Ma pensa… andate a dirlo ai vostri governanti. A me, che sto ad intirizzirmi le palle dalla mattina, non me ne frega un beneamato cazzo. Davvero, proprio niente. Invece di scassare i cabbasisi a uno che lavora, scrivete ai giornali, sui social, sui muri, o dove vi pare e piace. E mi raccomando accenti, apostrofi e punteggiatura. E le fottute “h” per favore.

Infine una piccola parentesi credo di doverla riservare agli anziani, i nostri cari vecchini. Molti sono adorabili, altri, devo confessarlo, insopportabili arroganti che pretendono di avere sempre ragione, spesso senza sapere nemmeno di cosa parlano. L’età non rappresenta l’automatica presunzione di infallibilità assoluta. Quella è prerogativa divina, non geriatrica.

E vogliamo parlare dei furbi da coda? Se c’è una fila la fai pure tu. Non ti infili in mezzo con aria saccente e tante belle scuse per cui tu avresti diritto a passare prima degli altri. Io, che faccio coda tutto il giorno con voi anche se non vorrei, le scuse le ho sentite tutte. Molto prima di conoscere te.

Tutte.

Ora vi saluto, mi aspettano davanti a un supermercato e devo correre, se arrivo in ritardo e mi licenziano perdo il mio meraviglioso stipendio da quattordicenne (ah no, ora fino a sedici anni compiuti non si lavora).

Buona spesa a tutti, sperando di rivederci nei locali, ai concerti o negli stadi.