Siamo all’inizio di ottobre del 2020, un anno che definire maledetto è fargli un complimento. Un periodo in cui si inizia ad avere bisogno di qualcosa di leggero e positivo, fosse anche una piccola cosa apparentemente insignificante ma che rieasca a regalarci almeno un momento spensierato. Quando meno te lo aspetti, salta fuori quasi dal nulla il nuovo singolo di una band leggendaria che in molti, forse in troppi, avevano ormai dato per spacciata… Parlo degli AC/DC ed è evidente che non hanno nessuna intenzione di fermarsi.
Se ti chiami Angus Young hai avuto tutto dalla vita: sei uno dei più famosi chitarristi della storia moderna, sei l’autore dell’album rock più venduto del pianeta, hai suonato per 40 anni davanti a folle oceaniche e adoranti, hai ispirato generazioni di musicisti.
Se nel giro di pochi anni perdi un fratello con cui hai suonato per tutta la vita, vedi il tuo batterista in guai grossi con la giustizia, il tuo cantante perde l’udito e il tuo bassista storico annuncia il ritiro, è anche più che comprensibile che tu dica “basta!” e decida di smettere.
Ma no, tu sei Angus Young e piuttosto che ritirarti da quella che è la tua vera vita, decidi che vuoi almeno onorare la memoria di tuo fratello: riprendi quel mucchio di canzoni che avevate composto insieme nel corso degli anni senza mai pubblicarle e con pazienza e coerenza, aspetti, discuti e ricuci i rapporti. Rimetti insieme quella band che solo un paio di anni prima era andata letteralmente in pezzi e sei di nuovo in gioco.
Così è nato Power Up: dalla costanza e dalla passione di un musicista che non avrebbe avuto nessun bisogno di sforzarsi per andare avanti ma che invece ha voluto con forza dimostrare di avere ancora qualcosa da dire.
Oggi Power Up è uscito ufficialmente ed è una gioia enorme poterlo ascoltare.
Dodici canzoni schiette, dirette, essenziali e soprattutto ROCK, Rock come non si sentiva da troppo tempo.
Come potrebbero suonare oggi gli AC/DC, chiederete voi?
Stanchi, mosci, l’ombra di loro stessi?
La risposta è un sonoro “NO”!
Servono solamente 15 secondi alla prima traccia, Realize, per spazzare via ogni dubbio sullo stato di grazia degli AC/DC: un assalto frontale urlato e pestato che ci riporta dritti alla produzione degli anni 80, con vigore e adrenalina a mille.
Da qui in poi è tutta in discesa, un pugno di brani col marchio AC/DC impresso a fuoco, fra episodi più scanzonati come Through The Mists Of Time e Witch’s Spell ad altri più di spessore come la splendida No Man’s Land, passando per la velocità di Demon’s Fire e il passo cadenzato di Code Red.
Se il singolo Shot In The Dark è già un classico, sarà il riff esaltante di Kick You When You’re Down a darvi il colpo di grazia.
Non ci sono santi, quando si ascoltano gli AC/DC non si può fare a meno di avere il bisogno fisico di sbattere la capoccia e i piedoni. Questi nuovi brani non fanno che confermarlo per l’ennesima volta e la buona notizia è che non ce n’è uno solo obbiettivamente definibile come “brutto”. Questo è rock ‘n’ roll e gli AC/DC ne sono semplicemente i più grandi interpreti.
Angus Young è ancora un maestro sulla sua Gibson SG, con cui spara quei riff sincopati, quelle melodie e quelle fughe soliste che lo identificano da sempre. Non una nota di troppo, non un secondo in più di quello che serve. Sembra quasi di vedere gli spiriti di Chuck Berry e B.B. King sorridere soddisfatti mentre riconoscono i loro insegnamenti nel lavoro di Angus.
Stevie Young, preciso spaccato con la sua chitarra ritmica, suona come se avesse assimilato l’anima dello zio, quel Malcolm Young citato da un plotone di chitarristi rock e metal come un’influenza primaria e imprescindibile.
Phil Rudd, una macchina da guerra in 4/4, dallo stile semplice e lineare ma unico e fondamentale. Di infallibile precisione, inconfondibile di groove e di swing, sul charleston semiaperto. Poterlo riascoltare è una manna per l’umore.
Cliff Williams e il suo basso sicuro, un muro incessante che regge ogni brano con disinvoltura inumana. Una garanzia dal 1978, non riuscirei ad immaginare nessun altro al suo posto.
Infine c’è lui, Brian Johnson. Nonostante ci sia ancora chi si ostina a paragonarlo al compianto Bon Scott dopo quattro decadi, è impossibile non sperticarsi in lodi per il buon Jonna. Rendiamoci conto che quest’uomo ha 73 anni e stava perdendo il suo udito. Eppure, eccolo, ancora capace di graffiare come non mai e prendere a pedate nel didietro certi presunti cantanti che hanno un terzo della sua età. Straordinario, insostituibile, immenso.
Power Up è più di un album, è una boccata d’aria, una botta viva, una speranza.
Compratelo, alzate il volume fino a far tremare i vetri, ascoltatelo, assorbitelo, fatelo vostro e scolatevi una birra gelata alla salute di Angus, Brian, Cliff, Phil e Stevie!