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Lode all’Algoritmo, il nuovo Dio che ci distrugge

Signori, da questi concetti, abitudini e comportamenti non si scappa. Siamo tutti polarizzati in tribù, volenti o nolenti, fatte di microcosmi legati a passioni, hobby, interessi, idee politiche, religiose e culturali ben radicate e definite in ognuno di noi. In quanto tali, all’interno di queste “caverne di Platone” vigono regole, consuetudini, codici scritti e non scritti ben precisi e diversi da mondo a mondo.

La conoscenza personale diventa conoscenza tribale. La conoscenza tribale è l’informazione o conoscenza che è nota all’interno di una tribù ma spesso sconosciuta al di fuori di essa. Una tribù, in questo senso, può essere un gruppo o un sottogruppo di persone che condividono una conoscenza comune. Essa è un serbatoio di informazioni scritte e non scritte.

È un “centro energetico” attorno al quale menti affini si riuniscono e si scambiano idee, tradizioni, protocolli, ipotesi, ispirazioni, esperienze, lezioni apprese e nozioni tecnologche, il tutto focalizzato su un nucleo di interessi condivisi. La conoscenza tribale è figlia quindi della mente tribale.

Proprio come la mente di un individuo, è un centro in continua evoluzione di informazioni. Il nucleo contiene valori e tradizioni fondamentali e testati nel tempo. Difficilmente ci si sottrae a questo hammurabico codice, una sopravvivenza mentale che dovrebbe salvarci dai “nemici esterni”, ossia le altre tribù, che applicano altre leggi, pensieri, convinzioni, quindi spesso viste come ostili, minacciose, pericolose, perchè minano le nostre certezze e le nostre “gabbie” di abitudini, rituali quotidiani e convinzioni.

Continuate pure, capirete la presenza di questa foto andando fino in fondo all’articolo

Qui entra in gioco la nuova divinità, il Dio Moderno, ovvero l’algoritmo. Facebook, il web e i social ci imprigionano nella logica del “Daily Me” (Io Quotidiano, ma anche Dio Quotidiano secondo me), ovvero quel meccanismo digitale perverso, per cui l’utente finisce per essere circondato dall’eco assordante delle proprie convinzioni, creando idealmente un proprio ecosistema chiuso in cui non si apre mai ad altri punti di vista.

Senza accorgersene, credendo di pensare liberamente , l’Algoritmo crea le nostre “bolle” politiche e sociali, attraverso i filtri, che ti fanno apparire solo contenuti simili a quelli che hai già visto, così le cose che vediamo sono solo un “iper-nicchia” fatta apposta per noi.

Mettiamo un like, apriamo un annuncio pubblicitario di un articolo che ci piace, esprimiamo opinioni in una certa direzione, e l’Algoritmo inizia a costruirci, come in un Minecraft orwelliano e kafkiano, un mondo soltanto nostro, claustrofobicamente chiuso e soffocante, se visto dall’esterno.

L’effetto perverso lo potete immaginare facilmente: l’utente si trincera dinnanzi alle sue credenze e, come in un guscio ermetico, non riesce a venire a conoscenza di altre opinioni – che è poi la vera essenza del concetto stesso di pluralismo informativo e di opinione pubblica, il confronto tra punti di vista diversi.

Facebook appaga alla perfezione questo “Daily Me”; e nel micromondo personalizzato l’utente si sente a casa, ideologicamente al sicuro, semplicemente perché i punti di vista opposti sono banditi e l’Algoritmo implementa il proprio credo, senza mai metterlo in discussione.

Diventa un “parlare a” anzichè “parlare con”, un folle soliloquio tra l’Algoritmo e la persona, in cui gli altri sono comparse digitali, che possono solo confermare o contestare l’ideologia chiusa della nostra Monade Elettronica.

L’informazione diventa “su misura” e ci isola, diventa quantità univoca e non qualità plurima. La degenarazione è un Nazismo Cibernetico; il social sedimenta in noi idee precostituite, alimentando il cameratismo tra utenti che la pensano allo stesso modo e l’odio nei confronti di coloro che non appartengono alla nostra camerata.

D’altronde, in un mondo digitale in cui abbiamo dato le chiavi del cancello di casa all’Algoritmo, esso ha iniziato a governarci a suo unico interesse, parassitandoci per ottenere i nostri gusti, i nostri dati, i nostri soldi con gli acquisti, e sopratutto ingurgitandoci la mente e l’anima.

Un nuovo Dio che solo nelle più cupe distopie ci lascerà adorarlo senza alcun sacrificio umano. Saficricando gli altri per il nostro ego-narcisismo, siamo schiavi e condannati a un Inferno fatto di pixel e di codici binari. La fine è già in corso, ma non ce ne accorgeremo forse mai.

Achille Cotone

Perché è una fine che ci da’ ragione. Ringrazio il contributo apocalittico di Achille e mi permetto di continuare offrendo una mia piccola esperienza sperimentale. Sono un appassionato feticista di indumenti femminili. In particolare adoro quelli fatti in lycra e in nylon.

Leggins (o leggings), collant, spandex, tutine zentai, qualsiasi cosa che fasci i gambe e culi con la massima aderenza. Non chiediamoci perché, è cosa da valutare in ambiti ben più clinici di questo.

Su facebook, da circa due anni non partecipo più molto. Evito di chiudere il profilo perché ci condivido i pezzi di Sdangher, gestisco ancora la pagina e il gruppo, ma in generale non pubblico più nulla, non scrivo post dallo scorso anno o giù di lì e mi soffermo a scrollare pochi minuti al giorno, solo per cliccare mi piace sulle foto di donne dai gran bei culi e dalle gambe lunghe, avvolti in collant o in leggins.

Non l’ho fatto per vedere cosa succedeva. L’ho fatto perché sono un lascivo feticista figlio di puttana, ma a forza di compiacere quel genere di pagine e di pubblicazioni, ho finito per ritrovarmi un Daily Me, come lo chiama Cotone, interamente composto di quella roba.

Per me ora facebook è un’esperienza molto piacevole. Non ricevo più nemmeno gli aggiornamenti dei miei più cari amici o delle pagine dell’Inter, del metal, del cinema e della letteratura quella bella. Solo culi e gambe, donnine che mi mostrano il culo indossando tutine da ginnastica, per lo yoga, pantyhose da sbroda e tanta carne.

Scrollo cinque minuti, metto mi piace e mi piace e oh sì quanto mi piace e poi me ne esco sereno da facebook, torno alla mia vita. Sul mio facebook non ce n’è di coviddi.

Questo non mi rende felice, sia chiaro. Dimostra che qualsiasi feticismo abbiate al posto del pensiero, finirete per andare in overdose da quello, se continuere a pigiare mi piace su quello che vi piace.

Dire mi piace con un click non afferma di più la vostra presenza, ma vi toglie un po’ della realtà, pezzetto per pezzetto.

Francesco Padrecavallo