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Podcast – Una riflessione equina!

Quando ero piccolo mi piaceva molto usare due cose: il walkman e la radiolina portatile. Avevo una serie di musicassette TDK, i così detti “mix tape”: sigle di cartoni animati (dai, andavo alle elementari) e qualche pezzo di musica classica. Non è che fossi un piccolo melomane o cazzate simili, ma ho sempre amato il suono del pianoforte.

L’altro accessorio dicevo era la radiolina portatile, piccola, a pile, tutta in plastica. Cercavo la frequenza radio che più mi attraeva e stavo ad ascoltare. Un po’ come la TV, ma con solo l’audio.

Ora la vita è più semplice, apro youtube e decido io quando vedere/sentire (chi non apre un video e ascolta solo l’audio?) quando mi pare e piace a me. Col tempo ho scoperto poi un mercato nascente, ancora in sviluppo da noi, ma già ben quotato all’estero, chiamato podcast.

Dico in sviluppo, perché mentre la apple già lanciava attraverso i suoi player, queste “radio amatoriali” (2004), noi solo negli ultimi anni abbiamo iniziato a spostarci verso il nuovo mercato. Il podcaster negli USA è già considerato un lavoro.

Non credo di dover spiegare cosa sia un podcast, però non si sa mai chi mi sta leggendo, forse mio zio Teo, quindi in breve: è come la radio, ma già registrata e condivisa nella rete. Come una cassetta, ma online? Come un mp3 ma con dialoghi? Qualcosa del genere.

Insomma, prendete una stazione radio, dite ai Dj o opinionisti di registrarsi in precedenza, editarsi, e pubblicare il tutto su qualche sito.

Youtube col solo audio? Ecco, ora abbiamo trovato il paragone migliore.

E ne ho scoperti tanti ultimamente di podcast, più di quanti forse ne potrò mai ascoltare, ma che se spulciati nel range dei soli argomenti che mi interessano sì. E con essi riesco a riempire quei buchi noiosi durante il lavoro (che attualmente faccio da casa) o le passeggiate al cimitero (quando non siamo in zona rossa) che da un po’ non mi si prende più a trascorrere ascoltando musica.

Poi magari finisco per sentire un podcast sulla musica e allora penso “sono proprio un coglione”. Ma in realtà un podcast musicale è diverso dall’ascoltare un album, perché tra un pezzo e l’altro ti viene raccontata una storia sull’artista o ti vengono offerti altri spunti su cui riflettere. Un po’ come leggere un articolo di Sdangher ascoltando la band citata.

Un servizio pensato per il multitasking, come mi ha detto il Padre Cavallo.

Una radio amatoriale, come si è espresso qualcun altro; di quelle a bassa frequenza che ascolti solo nell’area circoscritta, ma senza la paura di incombere in qualche legge riguardo la distribuzione di materiale via etere. Hai la possibilità di ascoltare la “trasmissione” anche un mese dopo la morte del dj o podcaster, come più preferite chiamarlo.

A dire il vero io quando lavoro, essendo una cosa molto “facile” per il servizio che faccio, trovo piacevole invece tenere la mente concentrata tra ciò che sento e ciò che intanto faccio. La mia mente assimila in modo attivo le parole che passano attraverso le cuffie e passivamente quello che eseguo nel mio impiego.

Così facendo, grazie ai podcast, cerco di mantenere saldo nella mia testa il timone mentale che dedicandomi solo al mio nuovo lavoro (e credetemi, non potete immaginare cosa sia costretto a fare per vivere) avrei perso di sicuro mesi fa.

Davvero, lo smartworking è interessante, ma credo che nel mentre tu debba fare anche qualcosa che ti piaccia, altrimenti è più uno smartsuicide.

Ho provato pure gli audiolibri per un periodo (forse la cosa più vicina al concetto di podcast prima del podcast) ma non fanno per me.

Quando leggo devo sentire la voce della mia mente che legge le parole, costruendovi attorno immagini diverse. Una storia non riesco ad assimilarla come un articolo qualsiasi tipo quello che state leggendo ora. Davvero, ci ho provato varie volte e i risultati sono stati penosi. Meglio ritagliarmi del tempo la sera, pur leggendo un pdf dal cellulare, che ascoltare un libro con le cuffie.

E dicevamo del podcast, leggo che è stato spesso paragonato al blogging; tipo un audio blogging. Per chi magari come me è sul treno, vuole aggiornarsi su qualcosa, tenersi informato, ma tra rumori e voci non riesce a concentrarsi nella lettura, l’audio isolante nelle cuffie del podcast è qualcosa di molto più efficace.

Mi sono goduto un episodio su un videogioco che conosco, che mi ha allietato un noioso viaggio fatto di gente che tossisce e si arrabbia. Non posso stare sempre a sentire musica. Questo periodo anzi mi capita proprio di non volerne ascoltare proprio.

Non vi sto dicendo: “fanculo i blog, fanculo Sdangher! Diamoci ai podcast”, ma non possiamo negare il potenziale offerto da questo servizio.

Abbiamo vissuto anni con le radio accese, qualcuno ancora oggi pure ne tiene una ad alto volume in un’officina o in fabbrica: così almeno si sente più libero di quanto in realtà non sia.

Il podcast è soltanto la naturale evoluzione della radio, che offre la possibilità a qualche outsider sociale, di ritagliarsi un proprio spazio, come youtube appunto fece per quelle che ora sono le star del momento su nuovi servizi come twitch.

Perché è divertente anche notare come siamo passati dal “voglio vederlo quando mi va” al “voglio vederlo quando è indiretta”. Un passo indietro che forse avverrà pure per questo mercato, dalla radio all’mp3, per poi tornare allo stream online. Siamo veramente animali strani, altroché cavalli.

E io? Io ammetto sono interessato molto ai podcast, altrimenti non vi avrei ammorbato con questo inutile discorso. Mi gira in testa già qualche idea, ma i mezzi saranno poverissimi, però devo pur iniziare da qualche parte. E se va male potrò dire che almeno ci ho provato.

Argomenti ne ho (pochi) e tempo anche (poco pure quello), ma volevo cimentarmi. Voce di merda, discussioni inutili sulle mie passioni. Non pretendo di guadagnarci sopra, ma è un nuovo stimolo per me, per tornare di nuovo a fare qualcosa che mi coinvolga sul serio, tenendo conto che questo 2020 ha ammazzato le mie passioni peggio di quanto potrebbe potenzialmente riuscire  a fare il virus, se lo beccassi come si deve.