Questa non è una monografia su Adam Bomb, (su Sdangher non ne scriviamo mai) voglio concentrarmi solo sul primo album, che poi è quello che conoscono meglio, il solo che ho inzuppato nella mia vita.
Considero gli album come biscotti, ecco perché dico inzuppato. Li immergi nel latte della tua esistenza e quando li tiri via ecco che ne sono intrisi. Quando li fai suonare ancora, almeno nella mia mente e non so voi, mi si rivelano vecchi episodi, particolari e momenti vari della mia esistenza passata. Come la Madeleine di Proust.
Sapete chi è Proust, vero?
Ma senza scomodare Alla ricerca del tempo perduto (che, si sappia, ho letto da cima a fondo, ricavandone un godimento pari solo ai primi dischi degli Iron Maiden) prendiamo il disco Fatal Attraction di Adam Bomb.
Quando lo riascolto mi si confonde l’immagine un po’ dinoccolata e per nulla irresistibile di Adam Bomb e un vecchio bar in cui andavo tanto tempo fa, quando mi ero invaghito, come mi è capitato innumerevoli volte, della ragazza che ci lavorava.
Fatal Attraction è stato una consolazione, perché vi assicuro che ogni volta fuori da quel bar, mi trascinavo verso la mia macchina con un senso di sconfitta doloroso, poiché nonostante l’impeto wagneriano che scalciava nel mio cuore, riuscivo solo a dire: “buongiorno, un caffè” e “grazie, arrivederci”.
La musica mi consolava e mi irrancidiva nella mia commiserazione ma cosa volete, la vita è così. Per fortuna che c’è l’heavy metal, con i suoi anthem(s) capaci di eleggere ai ranghi della gloria celeste, le vergognose lagnanze virginali.
Le ritmiche possenti di uno Scott Columbus sono state in grado di dar voce al mio sommesso e frustrato desiderio e soprattutto, i riff di un Doug Aldrich, mi hanno preso per i capelli e sollevato lo sguardo, stanco e intimidito, verso l’orizzonte di un’altra schifosa giornata della mia casta e brufolosa adolescenza, che finalmente se ne andava affanculo.
Quando riascolto Fatal Attraction parto sempre dalla terza traccia: I Want My Heavy Metal. Possibilmente devo essere in macchina e guidare lungo una delle vie meno congestionate del mio paese, magari in aperta campagna, alla larga dai deprimenti scorci caratteristici dell’Italietta. Io la chiamo la MMS (Metal Main Street) dove sono sfrecciati un po’ tutti i metallari nostrani, come un corteo di millemiglia: Beppe Riva, Pascoletti, Della Cioppa, persino Trombetti col suo vespone mentale dai baffi alla Frank Zappa. Loro tutti hanno spinto a tavoletta la fantasia, dove la strada provinciale si lacerava tipo un vecchio telone liso, rivelando le strade dei figli di puttana in fuga dalla Hollywood crepuscolare. .
E oggi più di ieri, anche se al Fuzz viene l’orticaria a leggere di highways incendiate in una recensione, pure lui scorrazza sulla MMS. E io con i miei zoccoloni, Simon Broglio centauro a tutta birra, Achille Cotone e il suo aviogetto, Ruggiero Musciagna… anzi no, Ruggiero Musciagna no, probabilmente lui striscia sul ponteggio di qualche periferia industriale, mentre ai suoi piedi, disgustose lumache senza guscio, tentano di salire sulle sue scarpe. A ognuno la propria musica e ogni musica un viaggio diverso.
Via, squarciando l’orizzonte a tutto gas, sparando dai finestrini l’unico inno possibile:
Oh, oh, oh, it’s the only way to go
Well don’t you know
Drivin’ in my car
I want my heavy metal
Blastin’ out guitar
I want my heavy metal
Adam Bomb è un tipo che mi fa impazzire e vi spiego la ragione. Poteva essere un grande, ha sempre avuto una tecnica chitarristica notevole e soprattutto ha saputo scrivere canzoni piene di gusto e di intemerata pacchianeria. Come si possano conciliare queste due cose, io non so spiegarvelo ma vi basterà sentire uno dei brani di Fatal Attraction o di Pure S.E.X. per farvene una ragione.
Magari sono pezzi datati (così come Poison e Metal Gods) ma allo stesso tempo vi sbattono in faccia arpeggi e melodie che non potete dire di aver sentito altrove. Adam Bomb in quei lavori suona class metal con evidentissime influenze glam rock alla Sweet e T.Rex e lo fa a modo suo.
Lo ascolto e per quanto mi venga da sorridere in certi momenti, alla fine di pezzi come You’ll Never Know, non saprei cosa cazzo recriminare.
Proverò a farmi capire in un altro modo. Prendete i Tesla. Sono fantastici. C’è qualcuno che non lo pensa tra i presenti? Naah… però, prima di andare avanti è essenziale che concordiate con me: i Tesla sono fantastici.
I loro primi quattro dischi in studio esprimono una classe e uno stile che non hanno paragoni nell’ambito della scena melodica americana degli anni 80. Ecco, le canzoni di Adam Bomb non c’entrano nulla con quelle dei Tesla, eppure sono indiscutibilmente di qualità, solo che l’effetto che registrerete nelle vostre viscere sarà più o meno quello di quando sentite un lavoro a caso di Ron Keel.
Ovviamente Keel è il peggio che ci sia. Non ce l’ho con lui, è un dato di fatto. Anche Malmsteen è d’accordo con me.
Insomma, Fatal Attraction è una sublime fusione tra Tesla e Keel, non intendendo lo stile ma l’effetto complessivo. Pacchianamente gustoso.
Ma chi è Adam Bomb? Non è una domanda oziosa, questo tipo ha avuto una storia interessante e credo valga la pena ripercorrerla un momento. Gli sono capitate delle cose interessanti. Per esempio a 14 anni suonava insieme a Geoff Tate in un gruppo chiamato Tyrant. Poi un giorno incontrò Eddie Van Halen in una camera d’albergo che, racconta Adam, gli impartì una lezione di chitarra di tre ore. Tre ore che ti cambiano la vita, no?
Non so voi ma secondo me uno così è un predestinato. Geoff Tate e Van Halen prima dei diciotto anni. Che ne dite?
Quando però si trasferì da Seattle a Los Angeles gli successe una cosa fondamentale che compromise la sua ascesa al successo. Conobbe Tommy Thayer.
Chi è Tommy Thayer? Oh, cacchio e stracacchio…
Al tempo dell’incontro con Bomb era il leader dei Black N Blue. I due diventarono subito grandi amici e non è un caso che Bomb si ritrovò a suonare sul loro secondo album, Without Love del 1985, anno del suo debutto discografico solista.
Ecco il problema.
Se ci fate caso, escludendo Alice Cooper, Ozzy Osbourne e Dave Lee Roth, che erano dei veterani con un pubblico al seguito, negli anni 80, almeno in ambito metal, non sono stati mai andati forte i solisti.
Non ditemi Lizzy Borden, Bon Jovi o Dokken. Per quanto avessero il nome del loro cantante, erano pur sempre dei gruppi, proprio come Alice Cooper era una band fino al 1974 o giù di lì, prima che il loro frontman si emancipasse dagli altri e tenesse il nome con sé per un cammino solista verso l’autodistruzione artistica ma soprattutto umana.
Quindi, il giorno che Tommy Thayer consigliò ad Adam di mettere su il suo progetto solista, Adam Bomb, fu la rovina.
Le qualità creative non bastavano perché a livello di immagine, Bomb non era semplicemente sufficiente. Ci voleva una band, un frontman sexy e un nome fico oltre alle buone canzoni scritte da lui.
Che poi nella formazione di Fatal Attraction c’è pure Jimmy Crespo, sostituto di Joe Perry negli Aerosmith dei primi anni 80. Bomb alla voce e alla solista si presenta con il suo nome vero: Adam Brenner, ma è chiaro che il disco è di Adam Bomb, c’è un Adam Bomb ed è il tizio sulla copertina. Adam Bomb è lui, non stiamo parlando “degli Adam Bomb”.
Inoltre, Crespo, che è la causa che spinse molti a comprare a scatola chiusa Fatal Attraction, non risulta che abbia scritto una nota, mentre nella band di Steven Tyler firmò quasi tutto Rock In A Hard Place.
Adam Bomb è quel capellone dall’aria ammiccante alla Diamond Dave, che però non può lasciarsi mai completamente andare, visto che deve badare a quello che fa con le dita. La chitarra è visivamente un limite, così come i capelli corvini e lunghissimi per gli standard americano del 1985.
I King Cobra, nello stesso anno si presentarono con un singer biondo a tutti i costi, perché era quello che la gente voleva. Vedendo Adam nel video di I Want My Heavy Metal, (clip piuttosto brutto e invecchiato a merda) si capisce che Carmine Appice nei Cobra, aveva ragione lui.
Prendete la copertina del disco. C’è Adam con lo sguardo perso e le labbrucce bisognose, i pantaloni super attillati e la scritta Adam Bomb. L’attrazione fatale del titolo quale sarebbe? Lui? Ma che roba gay è? Fosse stata Lee Aaron ok, ma lui, per quanto carino doveva spostarsi e mettere al centro una gran fica. Punto.
Non ditemi che queste sono cazzate e conta la musica, non è mai stato così, specie negli anni 80. Semplicemente Adam Bomb era un musicista notevole e un autore interessante, ma ha sbagliato tutto a livello di immagine e di strategia discografica.
Questo gli è costato moltissimo. I suoi dischi restano a farmi esclamare ogni volta, magari in presenza di estranei che mi guardano sorpresi, come la vita sia ingiusta. La musica dovrebbe essere tutto. Lo è per me, ma alla fine non basta mai.
Ma tornando a noi e alla mia cotta per la ragazza del bar. Senza sapere molto l’Inglese al tempo, trovavo consolazione in un album che guarda caso l’ho scoperto dopo, aveva la canzone giusta per me, la già citata You’ll Never Know. Una ballata arpeggiosa e un po’ spigolante, in cui Adam confessa a una ragazza che:
Quando ti ho guardato negli occhi
Potevo vedere cosa intendeva mio padre
Sono tornato a casa da solo e ho pianto
Oh piccola…
Era esattamente quello che facevo io. Non sempre ma l’ho fatto. Quando si prova un’attrazione (fatale) per una sconosciuta, si matura un desiderio e un’infatuazione elevati senza aver mai scambiato una parola, ma solo sguardi e sospiri. Ed ecco che sopraggiunge un senso di impotenza. Ogni tentativo di parlare equivale a far uscire una montagna dal culo.
Quindi io prendevo il mio caffè e la osservato smistare piattini e cappuccini e poi me ne andavo a testa bassa, mentre la sua frase pre-registrata declamava a me, come a qualsiasi altro avesse varcato la soglia verso il mondo esterno dopo di me “grazie e buona giornata!”
Talvolta questo senso di impotenza mi rendeva così frustrato e senza rendermene conto cantavo i versi di You’ll Never Know, che è appunto la storia di un tipo che ama segretamente una ragazza e che non riesce a farglielo capire e si dispera perché lei non saprà mai nulla di quello che lui passa dentro.
La musica in apparenza è il classico lento anni 80, ma ci sono dei risvolti imprevisti, come per esempio quell’apertura: If we’re torn a part, you’re forever in my heart che si sporge perigliosamente sul re minore e poi arretra fino a scivolare con dolcezza su un letto in do maggiore.
Roba fina che amo, ok?
Per capire in definitiva come mai consideri così speciale la scrittura di Adam Bomb, vi conviene sentire Shape Of The World, con quei continui piano e forti, alternando riff distorti e parti pulite, stacchi, fraseggi.
È un dinamismo fuori dal comune, nel 1985.
Va bene, ho finito con le mie stronzate. Date una possibilità al vecchio Adam, se non l’avete mai fatto.