Sostanze stupefacenti e alcool sono la causa di una morte su quattro nel mondo del rock and roll, secondo il Journal of Epidemiology and Community Health. Cento tra i “wild child” deceduti presi in esame avevano meno di quarantadue anni e sono scomparsi tra il 1956 e il 2005. Gli inglesi in media a 35 anni, gli americani di 42 anni.
Il pubblico dei metallari è curioso. Passa la vita a sentire gente che canta di suicidio, dipendenze, depressione e tristezze varie, ma se poi uno di questi artisti finisce in obitorio, si sorprende e addirittura si scandalizza.
Alexi Laiho è andato per sempre ma dov’è la novità?
Nonostante ciò, si sono tutti sorpresi per la sua morte, forse fuorviati dal buon ritmo produttivo (un album ogni due anni) e una fitta attività in tour per il mondo. Nel mentre timbrava il cartellino del rock, Alexi ha continuato davanti agli occhi di tutti, fan e promoter, musicisti e amici, a mandar giù fiumi, laghi e stagni di alcolici pur di “benzinare” la sua fama di “Wild Child e quello che in fondo è un impiego che per certezze e contributi si potrebbe paragonare a quello dei giostrai o dei contadini.
So che la famiglia non ha ufficializzato la causa della sua morte ma è difficile non fare due più due. Aveva smesso di bere, ok, però gli organi erano così danneggiati che alla fine è muerto e basta. Quindi io dico che lo è per il bere.
So che nel metal i testi non sono così importati e fondamentalmente, l’attitudine non è presa sul serio dal pubblico. Se Varg venisse arrestato con l’accusa di attentato terroristico in una scuola elementare, sia fan che detrattori con le borchie, se la riderebbero.
Lo consideriamo tutti un buffone, un cazzone che si atteggia ad anticristo politico, tutto qui. Poi magari un giorno lo arrestano sul serio con 70 bimbi morti sul groppone e tutti diremo “ma noooooo, come può essere???”.
Darkstar.zine: Alexi, qual è il tuo drink preferito?
Alexi Laiho: Allora, fammi pensare. Io bevo birra e whisky. Mi piace molto il whisky. Jack Daniels. White Russian, che è decisamente buono. Poi mi piace la vodka, Kahlua, un po ‘di liquore al caffè. Sai, quello che sopra ci metti anche la panna. È molto buono. Potrei mandarne giù anche 20 e farmi davvero male. Non mi stancherei mai di questa roba.
Se un Pete Steele schiatta, dopo anni e anni di album incentrati su quanto l’esitenza faccia schifo e bevendoci su calici formato Troll di vino rosso. Bam! Il mondo metal trasecola.
“Era così pieno di vita, come è potuto accadere?”
I Children Of Bodom agli inizi degli anni 2000 erano uno dei gruppo più promettenti della scena, poi qualcosa iniziò a girare storto. I dischi presero una china davvero di merda. Ogni volta che ne usciva uno nuovo, si sperava in una ripartenza degna dei famigerati tre album iniziali, ma non succedeva mai.
E così tutti a dire, “eh, Alexander era l’anima della band…da quando non c’è più lui…” oppure “ormai si sono svenduti agli Stati Uniti ed ecco il risultato”. Nessuno che abbia azzardato un accenno alla dipendenza alcolica di Alexi Laiho. Quello non era un problema. La rockstar deve bere, farsi, uccidersi un po’ ogni giorno. L’importante è che non si commercializzi e che non muoia.
Si parlava di ristagno delle idee, poca ispirazione, ma come si poteva pretendere che Laiho facesse dischi all’altezza dei primi, se fisicamente era sempre più sprofondato dentro un cesso pieno d’alcol?
Ehi, ma va tutto bene, Alexi?”
“Sì, sì, alla grande”, diceva lui, anche se si era presentato in conferenza con una bottiglia di Bourbon. Children Of Bourbon avrebbe scritto qualcuno, tanto per ridere.
Altro giro, stessa estenuante corsa.
Nelle interviste Laiho diceva come stavano le cose, in realtà. Non nascondeva il suo alcolismo e proprio perché lo ostentava, nessuno lo credeva davvero alcolizzato. Raccontava aneddoti allucinanti su quello che gli capitava quando era sbronzo, ma con l’aria divertita, disinvolto, interpretando, secondo gli intervistatori, il classico ruolo alla Motley Crue. Ci spiegava a tutti di quanto la vita in tour fosse un massacro, di come le cose gli stessero sfuggendo di mano e tutti annuivamo divertiti. Te la spassi troppo, figlio di puttana, beato te!
Si sa, il rock and roll vero funziona così: bevi, vomiti, vai sul palco e ti prendi gli applausi con la bocca sporca di bava rosa.
Ozzy una volta ha detto che il solo posto dove mentre collassi in un angolo, poco prima di salire sul palco, qualcuno ti batte la mano sulla spalla e ti dice: “stasera sarai grande!”
Vediamo ammazzarsi ogni giorno Phil Anselmo, Abbath, Niklas degli Shining, Hoest dei Taake, il sempiterno Ozzy, ma finché poi dal vivo riescono a fare il loro spettacolo, finchè escono i dischi, belli o brutti che siano, tutto ci appare in qualche modo rassicurante.
Dai, lo sappiamo che bevono, si distruggono ma sono sempre lì. Sono supereroi. Sono gli dei del metallo! Yeah!
Poi un giorno Warrel Dane muore come la merda e “oh mio dio, ci siamo rimasti così male… Warrel! RIPPP!”
Sapevamo che era alcolizzato e dal vivo era sempre più uno schifo, ma non so, ci siamo rimasti male. Sorpesi, ecco.
I Nevermore sono passati dall’essere la band metal decisiva degli anni 90 a un ascensore troppo stretto di riff e pugni chiusi. Signorelli dirà di no ma per me è evidente che il gruppo doveva respirare le scorregge tossiche di Dane in quel fottuto ascensore da troppo tempo, e alla fine non ne poté più. Noi tutti applaudivamo e incoraggiavamo il vecchio Warrel, anche se era sempre più scavato, spento e svociato.
Abbiamo lasciato immolare sul bivacco della propria stessa leggenda fasulla il povero Lemmy, tributandogli ovazioni e cornire fino alla morte.
“Ehi, ma per ucciderlo ci sono voluti una neoplasia, il diabete, l’aritmia cardiaca e un cancro alla prostata tutti insieme. Praticamente il suo corpo era diventato tipo l’aristocrazia russa contro Rasputin, mica sono stati l’alcol e le droghe, ad ammazzarlo, però?”
Non sono sorpreso per la morte di Alexi Laiho. Nonostante tutto io me lo sentivo.
Forse qualcuno penserà che questo sia un articolo moralista e paternale su quanto non siano cool gli eccessi che conducono le nostre amate band alla tomba, ma non è così.
Ho bisogno del rock come di un sacrificio rituale e in ogni sacrificio che si rispetti ci deve essere qualcuno che si immoli a un certo dio affamato. La tradizione necrofila del rock, il magnete della morte di cui parlano i Metallica, non è una roba nuova. Esattamente come non lo è il comportamento orfico, tra depressione e via vai nell’oltretomba in cerca di chissà quale edipica Euridice, di tutti i divi del rock e guerrieri de lo metallo duro.
Io so che è immondo da dire ma è vero. Desidero che il rock vada dritto tra le chiappe della nera signora. Solo così mi piace davvero. Voi siete come me o siete inconsapevoli di essere come me?
Faccio cose pazze anche quando sono sobrio, ma di solito finisco per ferirmi molto di più da sbronzo, ovviamente. Quando sono ubriaco e cado dal tetto di una macchina, non succede niente. Però questa volta mi è andata peggio. L’ultima volta che abbiamo suonato a Berlino eravamo semplicemente fuori di testa e correvamo per le strade. C’erano tutti questi cespugli in mezzo alla strada e io corro e ci salto dentro. Sono finito in terra, il che era ok, ma poi questi ragazzi sono venuti da me chiedendomi: “Gesù Cristo amico, stai bene?” Si è scoperto che a meno di mezzo metro di distanza c’era un bastone con un’estremità molto affilata rivolta verso l’alto. Sarei morto se fossi atterrato 30 cm più in là. È stato allora che ho deciso: “Ok, la prossima volta controllerò prima i cespugli”.
La musica che amiamo e il mondo metallico che tanto ci piace, quello dei nonni Iron Maiden e della grande fratellanza, è composto di gente messa proprio male. L’esercito che ci difende, che tiene alta la fiamma, è composto di alcolizzati, tossici, impasticcati, anoressici, bulimici, schizofrenici, aspiranti suicidi, ex defunti, stupratori, ladri… ma facciamo finta di niente finché restano in piedi… o non si dichiarano nazi.

I Chris Holmes sono molti più di quelli che vorreste immaginare. E così deve essere. Senza il costante flirt con la morte che queste persone hanno, trovereste anche voi il metal meno affascinante. Abbiamo tutti bisogno che un cazzone danzi sulla lama di un rasoio al posto nostro, viva on the edge e corra veloce e muoia libero e quelle stronzate lì che gridiamo col pugno in alto.
Nel film Velvet Goldmine una rockstar simula la propria morte sul palco ed esce di scena. Non lo fa però per fuggire sull’isola di John Lennon ed Elvis ma perché spera possa bastare una rappresentazione di quello che il pubblico devoto sta chiedendo sul serio in cambio della fama e il denaro e il cuore che gli ha donato per renderlo il dio rock che è diventato.
Ti abbiamo reso quello che volevi essere, ora però devi fare ciò che sai. La cosa più imperdonabile che una rockstar possa fare è invecchiare prima di schiantarsi contro un muro.
Qualche fratello metal bacchettone magari prova a stigmatizzare certi atteggiamenti nichilisti. Tempo fa dei tizi in rete hanno blaterato condanne per il comportamento sbagliato di Trey Azagtoth, che ubriaco alla guida, è stato fermato dai poliziotti e invece di scusarsi ha detto “io sono un grande professionista della sbronza” o qualcosa del genere.
Ma per carità, il metal non funzionerebbe davvero più se tutti si ripulissero e facessero foto con le bottiglie di gatorade o di the alla curcuma. Io per dire odio tutti quei gattini che circolano da un po’ nel giro dei divi metal. Voglio le croci rovesciate, non i micetti.
Under Grass And Clover parla di una grave astinenza da alcol, che è qualcosa di cui ho sicuramente scritto prima, ma non negli ultimi anni. Non bevo più così, ma ai tempi era piuttosto estremo. E mentre scrivevo Hexed, in un certo senso sono tornato indietro nel tempo e ho iniziato a ricordare come ci si sentiva a passare attraverso l’astinenza e passare attraverso la disintossicazione. Si trattava solo di ricordare quei tempi orribili. Non bevo più nemmeno per strada. Ho chiuso con quel periodo, quindi non provo quei sentimenti. Non voglio sentirmi così fottutamente male mai più . Mi svegliavo emi facevo un paio di bicchierini, non per ubriacarmi, ma solo per mantenere la calma e sentirmi normale. È solo triste. Ma all’inizio non ci pensavo – era normale per me.
Ma del resto i divi metal non bevono per scelta. Lo fanno per necessità. La vita in tour, riuscire a campare facendo dischi, restando a un certo livello, è semplicemente impossibile senza rimetterci di brutto la salute e la sanità mentale.
Agli inizi degli anni 80, tutti quei gruppi che poi si sciolsero prima o durante l’arrivo del Grunge, non contavano di farci una carriera con il metallo. Sapevano che era folle pretendere di tenere quei ritmi tutta la vita. Pensavano di darci dentro qualche anno e poi tornare a studiare o accettare il posto nell’azienda di papà, trovare un lavoro vero, sposarsi e cose così.
Molti di loro effettivamente fecero questo. Altri no, sono ancora qui, continuano a respirare e invecchire sui tourbus, mangiano di schifo, vedono il mondo da dentro i locali in cui si esibiscono e non potrebbero fare un’esistenza diversa perché sono troppo anziani o squattrinati per ricominciare da capo con un altro lavoro.
Bevono tutto il tempo che stanno in tour e se fossimo al posto loro lo faremmo anche noi. Bere o pippare, scopare e vomitare. Non c’è altro modo di ammazzare il tempo. Ma Yeah, questa sì che è vita, no?
Nergal ha detto che in tour, se ti sbronzi, il giorno dopo recuperi subito. Sei così pieno di adrenalina che bere e bere non sembra farti niente. Se invece ti ubriachi quando torni a casa, ecco che poi stai di merda una settimana intera.
Ma anche lui concorda: è difficile non ubriacarsi e lo è anche smettere quando si torna a casa, perché nel mentre, in quei mesi e mesi di tour, si è sviluppata una dipendenza.
Non è possibile fare quella vita senza pagare il prezzo enorme che comporta. Sono davvero pochi a sviluppare gli anticorpi per sopravvivere tanto a lungo e con il tempo diventano dei poveri sfigati grassi e pelati. Alexi è durato solo vent’anni circa sul pazzo treno del ruacckeroll. Ne aveva 41. Giovane, eh? Pensavamo tutti ne avesse di più. Era decisamente in ritardo con la mietitrice, anche se la metteva sulla copertina di ogni disco che incideva.