Cronache di un prescelto alla raccolta differenziata

Qualche tempo fa vi avevo detto del mio nuovo lavoro, l’operatore ecologico. Il più delle volte andavo a piedi, con la scopa e il carrettino, raccogliendo cartacce, svuotando cestini, tenendo pulite le vie del mio paese. Al contrario di quello che io stesso abbia mai immaginato, è forse stato il lavoro più bello di sempre.

Ne parlo al passato perché, e da interista ero certo che fosse così, quel lavoro era troppo bello per durare. Non sto dicendo che sono disoccupato, ma con il passaggio alla raccolta differenziata, tutto è drasticamente cambiato per me.

Così mi hanno dato un camioncino con il rimorchio, una scheda per fare il pieno di benzina quando occorre, un foglio con sopra un elenco di vie da “coprire” e una pacca sulla spalla.

Sono sempre operatore ecologico ma motorizzato: devo correre, salire e scendere dal mezzo qualche migliaio di volte al giorno, raccattare i mastelli che trovo lungo il cammino e vuotarli nel vascone.

Un giorno prendo l’umido, un altro l’indifferenziato, poi la carta, la plastica… insomma, sapete come funziona, magari nella vostra città la fate da vent’anni. Qui abbiamo iniziato adesso, ed è stato un disastro totale.

La prima settimana sono andato in crisi nera. Mai affrontato un impiego così duro, stressante, depressivo. In teoria non dovrebbe esserlo, se il personale fosse proporzionato alla popolazione. Ma quando si è in dieci su diecimila mastelli, credetemi, è una tragedia.

Tragedia che si è aggiunta alla mia personale di vedermi catapultare in una dimensione tanto caotica e sfiancante, dopo aver trascorso una manciata di mesi a bighellonare placidamente lungo le strade del paese, con il carretto e la scopa, osservando le cose, pensando ai casi miei, curiosando nei vicoli della parte vecchia, sbadigliando e fermandomi a bere un caffé di tanto in tanto.

Ecco, dopo questo, immaginate di passare a una specie di versione fognaria di un corriere Amazon. Loro portano pacchi pieni di cose belle, nuove, affascinanti. Lo fanno di corsa come pazzi, cercando gli indirizzi e rischiando incidenti ogni minuto. Li rispetto profondamente. Noi invece recuperiamo gli scarti di quei desideri, di quei sogni, di quei fottuti imballaggi. E i nostri sogni sono fatti di merda. Carta, metalli, plastica… soprattutto quella fottuta plastica. Ne ho fin qui, di plastica.

Che fine aveva fatto il mio bel lavoro contemplativo, filosofico? Fare lo scopino era una roba da Platone, credetemi, crepo di invidia al pensiero che alcune persone l’abbiano fatto tutta la vita e ci siano anche andate in pensione.

Invece ‘sto casino della raccolta differenziata, con i mastelli da scovare in giro per le vie, i chilometri a marcia indietro con il mezzo troppo grande e le strade sempre fottutamente strette, i cazziatoni dalla direzione, le minacce di lettere di richiamo, i post indignati dei miei compaesani su facebook, i politici che ci sputtanano sui quotidiani locali per farsi belli e smerdare una volta ancora l’incapace sindaco.

Le segnalazioni pomeridiane, quando torni a casa distrutto e ti tocca ripartire per recuperare i mastelli che non sei stato in grado di individuare la mattina… e che probabilmente non li hai individuati perché le utenze li hanno esposti comodamente dopo che sei passato e non, come di regola, dalla sera prima alle venti fino alle cinque.

La gente in strada ti ferma per chiederti cose che potrebbero conoscere se leggessero i depliant che gli abbiamo dato insieme ai secchi, ma chi fa queste cose ignora l’alta percentuale di analfabeti funzionali che ci sono in giro.

La gente ti aggredisce perché è una settimana che non vai nella loro fottuta strada privata in mezzo al nulla.

Gli spieghi che se non è una via comunale tu non puoi entrarci.

Ma come, non era il porta a porta?

Il porta a porta per le utenze significa che se vivono in cima a una montagna, a due ore dalla civiltà, si aspettano che tu arrivi appeso a un drone e gli porti via la fottuta immondizia, ogni giorno.

Io pago seicento euro di immondizia l’anno e devo pure portartela dove dici tu?

Ma prima che c’erano i cassonetti a tre chilometri da casa come facevate?

Ma ora c’è il porta a porta.

Tutto questo ha quasi mandando in panne il mio sistema nervoso, come ai tempi della lavanderia, ricordate? Quando mi ritrovavo a piangere nel casotto della pesa, di nascosto dalle telecamere di quel nazi del proprietario e dei capò che avevo per colleghi.

Qui però non mollo, perché non basta la fame a spingerti a tenere il lavoro. Ci devono essere diverse altre ragioni. Ora provo a elencarvele.

La prima è la poca distanza che devo percorrere per andare a lavorare. Penso a quelli che si alzano alle 4, fanno due ore di viaggio in treno per beccarsi lo stesso stipendio che prendo io. Anche a me è capitato di vivere così e posso assicurarvi che è una merda, anche se magari durante lo spostamento posso leggere, scrivere o ascoltare musica, è comunque logorante. Qui arrivo sul posto in un minuto e mezzo.

La seconda cosa è la puntualità nei pagamenti, con gli straordinari e tutti i contributi possibili. Uno potrebbe pensare che è il minimo, ma chi pensa questo non si è trovato a cercare lavoro negli ultimi dieci anni. Questi spaccano il 15, e se casca il fine settimana, i soldi ti possono anche arrivare il 13.

La terza cosa è che il lavoro che faccio mi piace. Mi piace davvero. Ma davvero, inside of me. Ho lavato quintali di panni sporchi di merda, consegnato carne nei supermercati, ho raccolto le olive, le nocciole, imbottigliato olio in un frantoio, seppellito ed esumato cadaveri, inserito milioni di risultati ematici in un database e consegnato analisi a tutto il mio paese. E tutte queste cose non mi piacevano.

C’era un lato umano in ogni attività che poteva aiutarmi ad accettare cosa dovevo fare per vivere, ma una parte di me, in profondità, era convinta che fosse uno schifo guadagnarsi da vivere facendo quelle cose.

Esempio: imbastire i funerali, per come li fanno certe agenzie funebri con cui ho lavorato, è indegno. Mi piacevano i morti ma il commercio che contribuivo a far girare intorno a essi, mi toglieva quel senso di orgoglio che cercavo di nutrire guardando le vaghe parvenze di sollievo che mi illudevo di scorgere nei parenti che servivo.

Raccogliere olive e nocciole, come tutti i lavori in campagna, è roba disumana, sudicia e stupida.

Stare all’accettazione in un contesto sanitario ti leva la sensibilità rendendoti stronzo davanti a un malato oncologico che non ha pazienza di rispettare l’orario del ritiro.

Portare via l’immondizia alla gente invece è fico.

Mi ci trovo, capite?

Farlo alla maniera differenziata è anche meglio, perché aiuta l’uomo bianco a non morire soffocato dai propri stessi rifiuti, come profetizzava il grande capo Sealth della tribù Pellerossa Duwanish in una lettera al presidente degli Stati Uniti, Franklin Pierce (1865).

Potrete dirmi che è una cosa fasulla, che è una fregatura e che poi rimettono tutto insieme e chissà che fine fa quell’immondizia… va bene, ma è sempre meglio che vedere quei cassonetti pieni di merda da scoppiare.

Quei cosi erano un tabù. Si infilava tutto in un bustone e lo si portava lì. Se non c’era posto si lasciava la propria merda un po’ più in là, fregandosene se qualche cinghiale la spargeva in giro o se il vento la trascinava in mezzo ai fiori nei paraggi.

Una volta date le spalle a quei cassonetti, non ci si pensava più.

Ora invece le persone vedono crescere in casa tutta la plastica che comprano, tutta la carta che non usano e tutto il cibo che buttano, perché non ne hanno bisogno e lo mandano a male. Si sentiranno in colpa e magari faranno qualcosa. O forse si sentiranno in colpa e non faranno nulla, però è sempre una differenza da prima. E devono aspettare una settimana per liberarsene. Ci convivono, che gli piaccia o no.

So che dietro il consumo smodato di merda c’è il lavorio costante delle multinazionali, la manipolazione commerciale di centiania e centinaia di agenzie pubblicitarie che sanno come funzionano i nostri piccoli e patetici ingranaggi mentali, ma così è più evidente quanto ci stanno fottendo. Anche se dietro la decisione di passare ad altre forme di smaltimento rifiuti ci sono sempre i soliti interessi politici ed economici, ok.

Però è più difficile far finta di niente quando sei tu l’amministratore e archivista della tua stessa schifezza.

E ora i cassonetti colanti broda verdognola e olezzanti di figa morta non ci sono più. Il paese è più bello.

Posso garantirvi che almeno per noi raccoglitori delegati della merda di tutti, ne scorgiamo molta di meno in giro.

Per adesso.

Ultima cosa che mi ha spinto a non sfaculare il lavoro e sviluppare i muscoli necessari a tenerlo, quella che davvero ha fatto la differenza: la solidarietà che ho scoperto tra i colleghi. Sembra incredibile, soprattutto a un antiretorico come me, ma sono capitato in un posto ancora non compromesso.

Ci aiutiamo, siamo alleati. Ho convissuto in posti di lavoro con leccaculo, vigliacchi, psicotici. Non c’è niente di peggio del fare un lavoro di merda, che dividerlo con persone che hanno perso da tempo la propria umanità, ma è inevitabile che se si resiste a certi ambienti lavorativi è perché ci si è spinti a una modifica biologica. In alcuni posti non ho trovato uomini ma esseri canini, rattili, scimmieschi. Non voglio offendere gli animali, ma la bestialità umana è immonda. L’uomo che sviluppa tendenze animali non diventa nobile come i cervi o fiero come i leoni, diventa una roba mostruosa che spurga via l’umanità e fertilizza il mondo di ferocia predatoria, di lascivia rettilea. Un serpente è magnifico ma un uomo serpente è disgustoso. Un orso è nobile, un uomo orso è un serial killer.

Ovviamente non sto dicendo delle scarse affinità intellettuali che ci possono essere con chi lavora al tuo fianco. Un giorno nella chat ho usato la parola redarguire e sono andati tutti in crisi, ma queste sono scemenze. Se non ho un partner con cui parlare dei film di Wenders chi se ne frega. Io parlo proprio della mancanza di altruismo, di totale assenza di generosità nei colleghi.

Alla lavanderia per dire, un collega più anziano che doveva insegnarmi tutto, non mi insegnava nulla. Provai a conquistarlo con le buone. Lo invitai a prendere un caffè al distributore e glielo offrii. Lui ringraziò, bevve e tornò al lavoro, senza cambiare granché rispetto a prima.

Lo invitai ancora alla macchinetta e gliene offrii un altro, il giorno dopo. Accettò, ringraziò e niente, fanculo.

Lo invitai ancora una volta e un’altra, pagandogli sempre io il caffè, ma nulla. Grazie e crepa.

Poi un giorno lo vidi che andava con gli altri colleghi a bersi il caffè, senza neanche chiamarmi. Offriva lui a tutti, ovviamente. Ma io potevo fottermi.

Parlo di questi atteggiamenti, capite?

Quando mollai seppi da un altro collega che era stato più umano con me, che il tipo non era felice di me e che voleva mi mandassero a casa, anche se mi impegnavo come un pazzo e avevo due figlie da sfamare, non rompevo le palle a nessuno e cercavo solo di stare al mio posto.

Dal momento che ero entrato lì, dopo avermi squadrato un minuto, lui aveva detto agli altri che non gli piacevo.

Se non lavoro più lì è anche merito suo, devo ringraziarlo. Ora guadagno più di lui e faccio quello che amo fare.

Quando scopri che il tipo al tuo fianco ti smerda col capo, magari cerca pure di farti perdere il lavoro, non ti aiuta se hai bisogno di capire come funzionano le cose… credo sia la cosa peggiore di tutte. Ti guardi dal titolare e dai suoi vice, ma non da uno che è al tuo livello del cazzo.

Il lavoro può essere pagato poco, malgestito, stupido, ma se accanto a te non c’è un briciolo di complicità e di onestà con chi è tuo pari, allora è davvero difficile riuscire a tenersi un lavoro. Almeno per me è così.

Ci sono persone in gamba dove lavoro io. Mi sento bene tra loro. Corro, mi spacco il culo tutti i giorni per me e per gli altri, e non mi sento mai sfruttato, circuito, tradito e solo. Magari è solo un’illusione e tra qualche tempo scriverò di quanto siano false certe persone: ne ho viste troppe e non posso proprio non lasciare un piccolo spazio per lo scetticismo, ma per ora credo di aver trovato un altro pezzo della mia casa.

Tutti noi cerchiamo luoghi di cui sentirci parte, in cui riconoscere un senso di casa. Trovi la donna giusta, il paese giusto, la musica giusta, il lavoro giusto… come Riccioli d’oro, avete presente? Non so bene dove mettere i tre orsi nella mia metafora, mi limito ai letti, le scodelle di minestra e le poltrone. Che ovviamente sono ingombranti e non si riciclano ma vanno portato all’isola ecologica.