Sapete, gente, sono un po’ in crisi. Mi capita, di tanto in tanto. E quando succede mi ricordo sempre che la parola crisi per i musi gialli significa una roba tipo opportunità. Per cosa? Rinnovamento, rinascita, cambiamento. Cosa riguarda questa crisi? La scrittura. L’amore va bene, la salute anche, il lavoro è beautiful, ma come scrittore mi affliggo. Essendo scrittore fino al midollo, se quella cosa non funziona ne risento tutto, fino all’uccello. Se quello non si alza, ahivoglia a dire che la salute, il lavoro, la famiglia… figurarsi l’amore.
Vivo un tempo davvero complesso. Quando c’erano Fenoglio, Pavese e Calvino, le cose non erano facili ma ci stava una maggiore condivisione di idee. Non sto idealizzando, cazzo. Ascoltatemi un momento. Quando si diceva la parola “partigiano”, c’era un mondo di cose condivise da tutti dietro questo termine: ricordi, idee, odio, amore. Se si parlava di catto-comunismo, pure. Persino a dire “l’alienazione”, che è l’estraneità dagli altri e dalla realtà vigente, ci si capiva tutti, perché si era tutti un po alienati e tra alienati ci si poteva comunque intendere, in qualche modo.
Attenti perché “In qualche modo” è un intercalare pericoloso. Contagia il linguaggio, come “praticamente” e “di base”. Cercherò di stare attento.
In qualche modo, dicevo, erano tutti nello stesso mondo. Avevano una convenzione del reale a cui tutti aderivano. C’erano solo tre canali. Pochi partiti. C’erano l’Inter, il Milan, la Juve. Beatles e Rolling Stones e così via. C’era un solo vero sentiero storico per tutti. I giornali scrivevano più o meno le stesse minchiate e tutti le bevevano.
Oggi, io che sono del 1978, se scrivo un romanzo sul 1996, mi ritrovo tagliato fuori le generazioni dei millennial. Mai come oggi, la tecnologia ha diviso la realtà in tante esperienze e soprattutto mai come ora i più giovani e gli anziani sono uniti solo nel disinteresse a cercare di capire cosa hanno vissuto e cosa stanno vivendo.
Sono padre e me ne accorgo. Tra me e le mie figlie c’è un abisso famelico a cui io e loro ci guardiamo anche solo dal giungere sul bordo e sfidarlo dritto nel culo.
Io sono uno scrittore e la tecnologia mi ha relegato su un’isoletta di “ti ricordi quando c’erano i Nirvana e la TV dava Beverly Hills?” oppure “Noi che da adolescenti non usavamo droghe per stuprare le ragazze e agivamo dritto per dritto”. Nonostante mi abbia messo in una dimensione alla Lost, la tecnologia, dicevo, mi ha anche offerto l’opportunità di scrivere e arrivare a un pubblico vero. Vago ma vero. Apro un blog, apro una pagina facebook, apro un canale Youtube ed ecco che qualcuno mi legge, mi vede e mi sente.
Posso diventare un personaggio.
C’è già in questo farsi personaggio un problema grosso, ma Pirandello se la ride nella tomba, al riguardo. Scrivo e scrivo e pubblico e pubblico. Nessuno mi paga ma non conta, lo faccio perché mi piace, perché sto bene, perché ne ho bisogno, perché non mi costa niente…
In realtà il prezzo è il tempo. Ne abbiamo sempre poco. Tempo ed energia che non tornano e più passano gli anni e meno sono. Apro un blog di letteratura, uno di cucina, uno di occulto, uno di musica. Potrei trattare tutti questi meravigliosi argomenti assieme ma no, la gente vuole che lo si faccia separatamente e io non voglio scegliere. Voglio tutto, quindi scrivo e scrivo su diciotto siti. Parole e parole che si perdono nell’internetto e nella memoria collettiva. La poca che le abbia anche solo per un secondo potute afferrare e trattenere.
Scrivo e sono letto (poco). Non voglio recriminare su questo. Potrei smettere e al diavolo tutto oppure seguitare e non lamentarmi. Se non sono letto la responsabilità è anche mia. Mi piace fare la strada complicata, difficile, quella che gli altri evitano sempre. Cosa mi aspetto? Un trionfo?
Quello che davvero però mi fa deprimere, da scrittore è il continuo dover trasmigrare da una piattaforma alla successiva.
Noi penni(s)vendoli del web, nella migliore come nella peggiore accezione, siamo dei poveri sfollati. Prima apriamo un blog e poi arrivano i social. Passiamo su quelli perché i blog non vanno più e poi scopriamo youtube. Apriamo un canale e poi siccome c’è troppa concorrenza e non si guadagna più tanto nemmeno lì, cerchiamo di rifarci col podcast. Dal podcast torniamo sui social perché ora c’è Twitch (o come si chiama).
Immaginate un nuovo social dove non si deve scrivere ma usare solo i movimenti del corpo. Lo chiamerò Mute. Sono certo che qualche mio collega scribacchino proverebbe a fare recensioni anche lì, con una danza del ventre per esprimere quanto il nuovo degli Iron Maiden l’abbia fatto cagare, magari.
Ed è un continuo spostarsi e spostarsi in contesti sempre più dementi, minimali, viziati e umilianti in cui è sempre chiaro, da subito, che se non paghi, non ce la farai a crescere perché il social stesso ti impedisce di crescere. Sistema mafioso, non vi pare? Del resto è gratis.
Ma anche io scrivo gratis.
Ok, ma di te il mondo non ha bisogno. Sei tu che hai bisogno del mondo e quindi sei social.
Sapete cosa sono gli scrittori? Ospiti indesiderati. Lo sono sempre di più. Burroughs ne Il pasto nudo (e ancora più chiaramente Cronenberg nell’adattamento) li ritraggono come inviati molto speciali in una realtà che solo loro riescono a vedere. Il mondo ha bisogno del rapporto che questi inviati speciali possono rendergli, ma tentano in tutti i modi di convincere questi poveri sfigati medianici che non è così.
Il pubblico vero, dice qualcuno che ha capito tutto, ha bisogno di poche parole, non bisogna offenderlo, annoiarlo, deprimerlo, altrimenti non si ferma, non clicca, non legge.
Vi immaginate Moravia alle prese con i click? Immagino un abbruttimento tremendo di questi autori, se esistessero oggi.
Il pubblico non legge, dice chi ha capito tutto, e se legge poi non capisce niente, perché mediamente è analfabeta funzionale.
Che bello essere scrittori in un mondo di analfabeti funzionali. In fondo è un po’ come i grandi scrittori del passato che agivano in un mondo di analfabeti e basta. Solo che quegli analfabeti avevano una certa umiltà di fondo, un rispetto per chi sapeva leggere e scrivere, per chi pubblicava libri, a patto che non fossero i loro figli.
Noi scrittori sfollati passiamo da una casetta di paglia all’altra, in attesa del lupo che soffi via i pochi like che abbiamo sul tetto e ci costringa a cercare un’altra sistemazione, all’inseguimento del pubblico disfunzionale, dei viziati che leggono poco, pensano meno e si indignano moltissimo ma corrono dietro alla sirena di un altro facequalcosa.
Si può anche non traslocare e diffondersi in mille rivoli. C’è gente che ha il canale youtube, il blog, il profilo instagram, facebook e twitter, fa i podcast, pubblica romanzi su amazon e collabora con tre siti, tutto rigorosamente a gratis, ma io mi chiedo se non sia uno sperpero inutile di energie vitali in troppi rivoli.
E allora? Forse è il caso di fermarsi in un posto, accettare la povera casa depressa che abbiamo e attendere la fine di tutto questo circo sociale, in cui non sono le persone e i pensieri a decidere dove portare il pubblico, ma l’ennesimo loft tecnologico da social-merda.