Gauss, Ikea e recensioni: metallo batte matematica 10 a 0

Se c’è qualcosa di così dannatamente arcaico, obsoleto e inutile nell’anno 2021 è il vigente sistema, codificato tanti anni fa e mai “superato” concettualmente, delle recensioni col voto numerico in calce. Un format usato dalla quasi totalità delle webzine e dalle riviste, con qualche lodevole eccezione, che presenta molti “lati oscuri”, certamente né trasparente né utile per un lettore. Anche le pietre sanno che le etichette discografiche e le agenzie che curano gli interessi delle band pretendono il voto, a fronte di non inviare più i promo (digitali al 90%) ai media che si occupano di recensirli.

Il voto serve, se è alto, a riempire i banner pubblicitari e le cartelle stampa per mettersi “una medaglia al petto”, una sorta di mini curriculum per puro marketing e così invogliare il probabile acquirente del disco ad aprire il portafoglio e comprarlo.

Ma d’altronde è giusto per chi sta da quel lato della barricata, la musica è un business e questi sono mezzi leciti, non infrangendo alcuna legge. Diverso è il discorso per i lettori e soprattutto per i recensori. Chiunque può andare su Youtube o Spotify, ascoltarsi un album e farsi la propria opinione, senza leggere manco mezza riga sul web o sulla carta.

Se legge una recensione è nella maggior parte dei casi per affezione a quella penna, e per confermare o smentire l’opinione che si è fatto dopo l’ascolto. Scade quindi la componente di “divulgazione”, che nell’era pre-internet permetteva, per ovvi motivi, di dovere leggere una rivista specializzata per capire se quella band faceva al caso suo.

Non tutti i negozianti aprivano il cellophane di un vinile per farlo sentire, qualcuno faceva ascoltare una traccia per telefono (succedeva pure questo), e sull’impressione di pochi secondi la scelta era: sì o no, senza troppi tentennamenti. La recensione numerica aveva quindi un senso. Oggi è puro anacronismo. Funziona per una serie di motivi accessori e secondari al suo scopo primario: permette al Mario Rossi di turno di (forse) ricevere il pacchettino di cd a Natale dal caporedattore o dall’etichetta, se ancora arrivano i cd fisici.

Permette all’etichetta di raccogliere una serie di feedback, sul modello “recensioni di Amazon”, per pianificare gli investimenti su questo o quel gruppo, anche se conosce benissimo la fallacia di quel sistema. Fallace perché molti recensori, pur di continuare ad avere i pacchettini nella cassetta delle lettere, mal volentieri recensiranno un disco sotto certi voti, autocensurandosi da soli, spesso e volentieri.

Non tutti, ma molti sì. Raramente si vedono voti sotto il 7, fioccano molti 8 e 9, francamente ingiustificati. Una stima reale e più obbiettiva dovrebbe fare oscillare i voti medi tra il 5 e il 6,5, in una “distribuzione normale” della Curva di Gauss. I 7 e gli 8, così come i 3 e 4, stanno agli estremi e non hanno una distribuzione così alta, matematicamente.

Ma la logica metallara batte la matematica e la fisica, ed ecco che scombussolando tutto, la curva si sposta clamorosamente sempre verso destra del tabellino. Fallace perché stravolge la logica di scrittura di una recensione: sposta il focus dalla narrazione di un album, dalla condivisione e dall’incuriosire il lettore con elementi suggestivi, tutto su un unico obbiettivo: giustificare il voto finale, che appena dopo l’ascolto dell’album il recensore pone come priorità, subordinando tutto il testo a quello.

Consciamente o inconsciamente scriverà tutto per essere coerente con il voto, stando attento a non generare ambiguità tra esso e il testo che lo descrive. Senza il voto un redattore può svincolarsi da qualsiasi gabbia e schema codificato, a briglia sciolta sulla narrazione pura. Racconterebbe di più e informerebbe meglio in questo ultimo modo, dando per scontato che la recensione è solo un “link” all’approfondimento del lettore.

Nel primo caso la recensione numerica diventa, nelle intenzioni, esaustiva e chiusa, pesante se troppo lunga e infarcita dal chilometrico “track by track”. Ma poco o nulla cambierà, tutto scorrerà nei soliti binari, in una sorta di gigantesco catalogo Ikea con codici e numeri, stampato da tante piccole fabbrichette di mobili. L’amore per la scrittura, quello vero e scevro da pass, promo e pacchettini nella buca delle lettere, non esiste e forse non è mai esistito, se non per pochi e rari soggetti.