Ti piace la musica, compri coi primi risparmi uno strumento, spesso scalcinato, inizi a riprodurre le canzoni dei tuoi gruppi preferiti. Piano piano ti impratichisci e ti viene voglia di formare la tua band personale. Poi, se le cose girano bene (non spesso, non sempre), la tua musica piace, il tuo gruppo inizia a farsi conoscere e acquisti una certa visibilità. Se sei nella percentuale (risicata) di chi riesce a trovare il posto al sole, ecco che magicamente la tua carriera decolla, dischi, concerti, foto e autografi. Uno dopo l’altro, in fila come soldatini di stagno, i tuoi album consolidano la tua carriera e tutto sembra filare dritto, come un righello da 30 centimetri di metallo. Poi? Qualcosa cambia, non sempre ma spesso, e decidi di guardare oltre, di mettere il naso fuori dalla comfort zone del tuo gruppo, di cercare tra altri cantanti, altri chitarristi, di sentir pestare duro altri tamburi. Questa è la storia dei musicisti dei gruppi più o meno famosi, quelli che vedi sulle (rare) riviste in edicola, più spesso su webzine e blog. Il pubblico degli ascoltatori è abitudinario, confortevole nelle certezze, pigro, e nella sua mente associa e combina le quattro o cinque facce dei Kiss o dei Metallica nella sua mente, ci si affeziona, vuole che restino solo quelle, le incornicia mentalmente in una foto col loghino.
Ma se, come un bimbo che vorrebbe che mamma e papà, che si tirano i piatti e si scannano per l’assegno divorzile, restino comunque insieme e non si lascino mai, la realtà spesso uccide i desideri. I nomi sul retro-corpetina cambiano, oggi non c’è più Jason Newsted, domani entra Janick Gers, dopodomani Dave Lombardo lascia la baracca. E l’ascoltatore, nella cameretta piena di librerie di vinili e fumetti, di nascosto soffre, si lacera dentro, perché la BAND deve essere quella lì, con i cinque faccioni che non si spostano mai.
Ma dall’altra parte della barricata per un musicista le cose sono diverse. I gruppi di successo, più o meno affermati, sono delle piccole “società per azioni”, con contratti, scadenze, entrate e uscite da rendicontare, ruoli da rispettare, tanto che la parte artistica e creativa, con gli anni, assume sempre meno il nucleo fondamentale.
Ecco allora che nasce e si sviluppa la necessità di avere altri sguardi, altri sfoghi, sperimentare, tornare all’entusiasmo giovanile, insomma, uscire di casa e abitare anche altrove, con altri amici e nuovi familiari. Nasce così un’entità mitologica e difficile da maneggiare: il SUPERGRUPPO.
Nel mondo del metal, ma ancor prima in quello del rock e del progressive, il Supergruppo è una realtà forte, molto praticata, spesso abusata, con diverse e alterne fortune. Gli annali raccontano di tantissimi esempi di tale soggetto; farne una lista sarebbe superfluo, tanto li conoscete quasi tutti.
Citiamo a caso Asia, S.O.D, Down, Fantomas, UK, Liquid Tension Experiment, Demons & Wizards o gli Strontium 90 di Sting e i Brand X di Phil Collins. La domanda è una e una soltanto: cosa spinge un musicista di successo o comunque affermato, ad accantonare più o meno temporaneamente la “casa madre” per buttarsi in un Supergruppo ?
Da qui tante considerazioni, riflessioni, spunti e pensieri. Sicuramente c’è da confermare come spesso la produzione del Supergruppo sia limitata, e la sua vita, salvo casi eccezionali, di breve se non brevissima durata.
Perché allora mettere impegno, fatica, attenzione e buttarsi anima e corpo in un progetto la cui esistenza è limitatissima nei fatti ?
Di Supergruppi longevi ce ne sono pochi, alcuni durati il tempo di un disco e forse di un tour, poi tutti a casa per cena con mamma e papà.
A causa del Supergruppo, magari del capriccio di un momento, amicizie e sodalizi artistici importanti si sono rotti, band consolidate sfasciate in un attimo, carriere buttate via, riprese poi anni dopo, perdendo il “golden moment” che le avevano portate in cima alla lista.
Per un musicista famoso ci sono tanti motivi che lo spingano a tentare la fortuna con un Supergruppo. La voglia di suonare qualcosa di diverso, che nella band principale non è possibile, perché depositaria di uno stile preciso che i fans non vogliono che cambi; magari il ruolo compositivo, che per svariati motivi non viene riconosciuto, o addirittura richiesto, perché il leader è un altro e non vuole dividere la torta dei crediti con nessuno.
Poi di contro la curiosità, naturale e pura, di uno strumentista di conoscere altri “colleghi” e di provare a fare qualcosa insieme, di vedere se c’è alchimia, se nasce qualcosa di artisticamente stimolante e valido.
L’idea di fare dei soldi extra è stato ed è il motore che ha mosso tanti Supergruppi (Asia e GTR ad esempio), mettendo insieme, come in un ideale “Magic Team”, Messi, Ronaldo, Platinì e Maradona.
Ecco il paragone calcistico è quello più calzante; i migliori musicisti messi tutti insieme, come in una Nazionale, attirano enormemente l’attenzione del pubblico, lo fa sognare, lo gasa, gli fa immaginare chissà quali capolavori che dovrebbero venire fuori dall’unione di quei super big, il disco definitivo, la canzone perfetta, il tour leggendario.
Ian Anderson, Ritchie Blackmore, Rick Wakeman e Sting fianco a fianco?
Steve Harris, Michael Kiske, Malmsteen e Portnoy tutti nello stesso disco?
Il music business su queste cose ci gioca, prova, sa che le figurine di Zico e Rivera con la stessa maglia vendono (sulla carta) più di Baggio insieme a Bacolin e Cadrega. E i giocatori fenomenali stessi vogliono sgambettare insieme ai loro pari, per vedere come fanno quel passaggio, come tirano, come dribblano.
Magari “rubare il segreto” a Mancini, che non passare la palla all’onesto, sgobbone, mediano Bacolin. E se nelle band su cinque spesso quattro sono Cadrega e uno è Vialli, si pensa che tanti campioni insieme faranno meglio di uno bravo e quattro “onestoni”.
Errore madornale. Nella musica due fenomeni e tre gregari efficaci sono sovente più performanti, e la storia della musica ha quintali di esempi in tal senso.
Quindi?
La mente vola, galoppa, freme, si fa impaziente, e poi ? Alla fine, tante volte, la montagna partorisce il topolino.
Perché?
Perché si riproducono le stesse dinamiche “tossiche” che i musicisti hanno nella navicella base: Ego smisurato, incapacità di collaborare davvero e fare un passo indietro quando serve, scarsa empatia con gli altri componenti, fretta di produrre qualcosa da smerciare e incassare in poco tempo, sopravvalutazione o sottovalutazione della capacità compositiva degli altri, entusiasmo iniziale scemato alla svelta, nessuna voglia di imbarcarsi in tour e promozione.
Solo lati negativi?
Certo che no, di Supergruppi che funzionano e che hanno prodotto cose memorabili ce ne sono, pochi certo, ma significativi.
Penso al primo disco dei S.O.D, Speak English Or Die, capace di oscurare gli Anthrax, ad Asia che con 10 milioni di copie vendette più di Yes, King Crimson ed ELP messi insieme, o ai magnifici Mister Big, che grazie a To Be With You balzarono in cima alla classifiche di tutto il mondo.
Ma quando lasci il coniuge per avere un’amante fissa, poi essa stessa diventa una sorta di seconda moglie, e il brivido del proibito sparisce. Così torni a casa da quella ufficiale, e l’avventura finisce. Così è stato per tanti Supergruppi: ci siamo conosciuti, abbiamo provato, non è andata come pensavamo, più o meno amici come prima, e di corsa a fatturare in azienda di papino, liberandoci dello spin off che non era funzionante.
Ci sono poi Supergruppi in cui la produzione era fatta dagli “scarti” rivisti e riletti dei vari componenti, che sapevano in partenza che la proposta non era gourmet, ma discount, ci hanno provato lo stesso, pensando: “meglio su disco che in archivio a languire sul PC, metti che la imbrocchiamo, costo zero e tutto da guadagnare”.
Se certi Supergruppi non hanno visto un centesimo, non significa che il loro lavoro fu scadente, e anche qui lascio a te lettore cercare nelle produzioni.
Nel mercato moderno, per un musicista non famoso, c’è la versione “cinese” del Supergruppo: il Progetto Parallelo. E via un fiorire di rimescolamenti di musicisti di una data zona locale, tanto a Pistoia tutti suonano con tutti, e i venti – trenta che strimpellano prima o poi, come in una gang bang, si ritrovano ammucchiati da qualche parte, in saletta o su di un palco.
Anche in questi casi, il 99% di questa roba è paccottiglia che dura un lavaggio e poi si restringe. Non si ricava altro che una pizza e una birra alla sagra della Trifola, si ci paga un altro CD extra, e di nuovo si ripiomba nell’anonimato delle locandine digitali su Facebook, dei 25 like e dei 6 album venduti.
Come una gigantesca Lotteria, un Gratta e Vinci sonoro, si tenta la sorte, ci si prova, se non va si spacca e non succede niente, ma se Gianni Gioppino alla chitarra e Ciro Cartone alla voce, di due gruppi diversi, magari insieme rendono, chissà che i Bamba Steel Project sfondano più delle loro band di provenienza, ovvero Brutal Pentolino e Satanic Toilet.
Così accade ed accadde per i super famosi, la loro lotteria aveva premi più sostanziosi, ma il gesto della grattata o la X sulla schedina è la stessa della Tombola di paese. Alla fine, come nella vita, la bravura e il talento contano, ma la fortuna e l’alchimia vincente sono un “metallo raro”, che si trova una volta su un milione, in mezzo a tonnellate di pirite e sassi di fiume. E se lo trovi vinci tutto.