Horrorscope è il disco più importante nella storia degli Overkill. Perché una simile dichiarazione? Non sto parlando di meriti artistici ma storici. Intanto è il primo album che segna il passaggio a due chitarristi, cosa poi mantenuta (tranne il periodo Bloodletting) nei successivi trent’anni dalla band. Soprattutto però è il disco con cui Bobby Blitz e DD hanno guadagnato il rispetto generale e dimostrato di poter gestire da soli la proprietà Overkill, sbattendo in faccia a un dubbioso Zazula l’album più feroce e ispirato dell’intera discografia; il primo senza quello che era stato il principale compositore della band fin lì, Bobby Gustafson.
Horrorscope però non è la base degli Overkill che verranno negli anni 90, per molti versi è tecnicamente irripetibile e soprattutto non è un disco realizzato da quelli che ora gestiscono la baracca. L’autore di parecchi brani è Rob Cannavino, il primo dei due chitarristi a essere inserito nella band dopo l’uscita di Gustafson e il solo ad aver subito le rimostranze dubbiose di Zazula, il quale non credeva fosse all’altezza.
Cannavino è uno dei principali autori dell’album. Bobby e DD non sarebbero mai stati in grado di realizzarlo da soli e tanto meno gestire la produzione, affidata a Terry Date. Hanno avuto il merito di dare fiducia alle persone giuste, mettere insieme una squadra capace di creare un lavoro ancora molto sottovalutato dai thrasher d’ordinanza.
Del resto Horrorscope non fece nessun botto. Uscì, raccolse critiche buone e meno buone nello stesso anno del Grande Asso Pigliatutto: il Black Album.
Non ha senso domandarsi cosa avrebbero potuto combinare gli Overkill, i Testament, gli Anthrax e tutti gli altri, se i Metallica non fossero usciti proprio quell’anno. La storia di tutte queste band non sarebbe stata come è stata, senza quei quattro lì davanti a mostrare la via. Non è un caso che subito dopo il Black Album, proprio Exodus e Overkill misero da parte il thrash e si fiondarono sulla forma canzone codificata da Ulrich ed Hetfield con roba tipo Enter Sandman e The Unforgiven.
Su I Hear Black sono presenti molti e vari stati d’animo diversi, ma tutti accomunati da un senso di buio, di oscurità. Emergono in quest’album tutti i nostri sentimenti un po’ più negativi, e tutte le songs sono tinte di un’atmosfera un po’ oscura.
Il disco è diverso nella sua struttura in primis, rispetto ai precedenti. Agli inizi della nostra carriera eravamo intenti a cercare qualcosa di shockante, per fare colpo immediatamente sulla gente, e ogni album era come diviso in capitoli, ognuno rappresentato da una canzone. Qui è tutto più rarefatto. C’è un solo denominatore comune: l’odio e i sentimenti negativi in generale.
Force Of Habit degli Exodus, uscito nel 1992, fu una delusione generale per i fans del genere. I Hear Black del 1993 lo fu ancora di più. Solo una piccola differenza. Il lavoro degli Exodus andò male in classifica e decretò la fine temporanea del gruppo, mentre il sesto album degli Overkill fu il più venduto della loro storia. L’album si piazzò nella posizione 122 del Billboard 200.
DISPREZZATO E VENDUTO
Se oggi faceste un giro su youtube, potreste notare le decine e decine e decine di commenti su quanto I Hear Black non sia stato capito e accolto con il dovuto entusiasmo. Qualcuno ha persino scritto che gli Overkill avevano insegnato la strada a Ozzy e i Pantera degli anni 90. Ma per favore.
La realtà è che Bobby, DD, Cannavino e Gant più il batterista “levitante” Mallare, decisero di mollare tutti i riff, le visioni apocalittiche e le ritmiche tirate per qualcosa di più spirituale e incentrato sui sentimenti.
Non venne fuori questo granché ma il gruppo, nella memoria di Cannavino e non mia, si concesse per una volta “un’attitudine più intimistica, doomeggiante e cadenzata”. Erano gli anni degli Alice In Chains, c’era la rabbia meccanica dei Fear Factory e quella totemica dei Sepultura, c’era il blues carro-armato dei Pantera, e da ogni spiffero metallico si infilavano ovunque i feeling e la depressione post-grunge. Bobby Blitz non indossò mai camicie di flanella o i capelli raccolti in una crocca, ma un brano come Shades Of Grey dice tutto.
I Hear Black non era un brutto album ma semplicemente l’album che gli Overkill non avrebbero mai dovuto fare. Non con quei suoni, le melensaggini di Ellsworth, la cui voce fino a lì non si era mai avventurata in contesti tanto sofferti e melò.
I riff poi erano due o tre, non di più. C’erano dei ritornelli melodici e un approccio pentatonico blues davvero insistito e per nulla assimilabile alle atmosfere solite degli Overkill. Forse Skullcrusher aveva qualche parentela larga con Spiritual Void e Ignorance & Innocence, ma brani come I Hear Black e World Of Hurts sapevano troppo di altre band.
Con il tempo si sono capite un po’ di magagne: i brani furono realizzati in fretta. Mallare era entrato nel gruppo subito dopo l’uscita polemica di Sid Falck e non ebbe il tempo e il modo di dire la propria sulle strutture. La scelta del produttore, rinunciando al geniale Terry Date, fu il peggior autogol, ma probabilmente non era facile rimpiazzarlo con qualcuno altrettanto in gamba, che fosse pure economico.
Si optò per l’usato sicuro, Alex Perialas.
Buffo perché dopo Under The Influence, lavoro amato da Bobby Blitz ma secondo lui, molto frustrante a livello produttivo, la band sostituì lo storico produttore con Date e ottenne i risultati migliori della propria discografia. Quando Terry salutò, gli Overkill tornarono da Perialas e fecero un altro disco tra i loro preferiti e… più frustranti a livello produttivo.
Oltre allo storico Alex ci misero mano anche Bobby e DD, e questo forse peggiorò addirittura le cose.
I Hear Black è un lavoro con i suoi perché. Innanzitutto, ma a molti di voi sbatterà il cazzo, le liriche sono tra le cose più ispirate scritte da Ellsworth. Inoltre, a parte l’assenza di riff corposi, le durate infinite e i perentori cambi di tempo tipici del thrash crepuscolare, il disco rispecchia in modo molto attendibile la vena dark e tormentata del gruppo, ingrediente che non verrà mai più meno, almeno fino a dopo Immortalis e la svolta retro-thrash definitiva.
Inoltre Dreaming In Columbian, con quei cori da cerimonia voodoo, è un affascinante pastiche tra tossicodipendenza urbana e visioni stregonesche nelle sperdute piantagioni di coca grondanti sangue e superstizione. Alienazione tossica e insetti che strisciano sulla faccia… yeah, cazzo! Bobby si è ispirato a un amico, dipendente dalla coca e sempre più sprofondato nella merda, ma è curioso che pochi mesi dopo l’uscita del disco e di questa canzone, il principale responsabile delle tristi vicende dell’amico di Ellsworth, Pablo Escobar, trovi la sua brutta fine. 1993 – Death On A Roof.
Il brano I Hear Black invece, sempre a livello di testo, è una serenata psicotica in chiave di veleno traslata dai vaneggiamenti mediatici di David Berkowicz, il celebre serial killer che firmava le lettere inviate ai media, Figlio di Sam. Bobby aveva già preso spunto da lui per il pezzo Hello From The Gutter: “Ciao dalle fogne di New York che sono piene di letame di cane, vomito, vino vecchio, urina e sangue. Ciao dalle fogne di New York che inghiottono. queste prelibatezze quando vengono spazzate via dalle spazzatrici” e ci è tornato in modo ancora più deciso con questo pezzo non eccezionale ma che dopo vari ascolti rivela un proprio perché.
Spiritual Void è una rilettura sabbathiana realizzata molti anni prima che diventasse cool scopiazzare i Sabbath e una posse pressoché infinita di giovani band iniziasse ad ammazzarci l’anima con pseudo Children Of The Grave e Snowblind varie.
Certo, Undying e Just Like You sono piuttosto insulse anche se la prima si apre con un verso meraviglioso:
“Svegliati, piccola, papà sta arrivando a spaccarti il cranio in due”
e hanno il torto di non soddisfare il bisogno di violenza e di velocità che da qualche parte il pubblico sperava di riscuotere, almeno in coda a una scaletta tanto ballerina. Riascoltarlo oggi, dopo tutti quei dischi pesanti e crudi, non infonde più il senso di panico e disperazione che un fan del gruppo doveva gestire tra gli arpeggi di Shades Of Grey e le inconcludenti giungiate megadethiane di World Of Hurts.
Però di fatto, in Italia nessuna delle principali riviste metal stroncò l’album, le recensioni erano più perplesse che altro.
Nicola Guglielmi nel 1993 scrive su HM che “forse gli Overkill sono una band un po’ datata, ma assolutamente rigenerata e freschissima sul piano delle motivazioni”.
Su Metal Shock, un certo M.D.P. scrive: “Bobby Blitz si danna l’anima nel tentativo di trovare soluzioni lirico-melodiche originali e complesse ma, spesso, è il primo a perdersi in un oceano di suoni ultracompressi che non gli riesce di dominare”.
“Se il nostro scopo in tutto questo fosse stato di vendere il maggior numero di copie possibili, ci saremmo messi a fare un sacco di ballads e cose del genere. Ci saremmo alleggeriti un sacco, così come hanno fatto un sacco di altri nostri colleghi e magari avremmo anche cambiato nome. In fondo della nostra formazione originale siamo rimasti solo io e D.D. per cui nulla ci avrebbe impedito di cambiare nome e genere musicale e tentare la grande scalata. Ma il nome Overkill significa qualcosa che va oltre il contingente e che prescinde da chi suona nella band. Overkill è simbolo di potenza, di energia”. Bobby Blitz – 1993
Solo un anno dopo Bobby avrebbe ammesso che qualcuno a cui avevano dato fiducia in sede compositiva, non aveva capito bene cosa desiderassero fare. E probabilmente la persona in questione era…
Rob Cannavino: Abbiamo sperimentato su I Hear Black e tutti hanno contribuito a quell’album. E per quanto possa essere fantastico, immagino che parli da solo. A volte mi piaceva, ma se qualcuno me lo mette davanti rabbrividisco. Era solo un territorio inesplorato per noi e stavamo suonando dal vivo in studio, cercando di farci sentire la vecchia sabbathaggine dietro ogni cosa, che a volte funzionava e a volte no. Dopodiché lasciammo che D.D. prendesse le redini. Merritt suonò gli assoli e io tutte le ritmiche. Ho una canzone lì che è un’ode al nostro amico Chris Oliva, morto mentre ci stavamo preparando a registrare. Oltre a questo, D.D. in realtà scrisse lui la maggior parte di quel disco e anzi, da lì in poi, negli anni, divenne l’unico compositore delle musice. Insomma, Horrorscope e I Hear Black sono storie diverse.
Vero, anche W.F.O. lo scrisse quasi tutto DD. Mentre la produzione fu interamente gestita dalla band. Il 1993 era già stato un anno complicato ma il 1994 lo fu anche di più. I fan del metal sparirono e sulle riviste nessuno voleva più dare spazio agli Overkill. Ai concerti c’era ancora parecchia gente ma si avvertiva una specie di iato tra quello che succedeva secondo i media e ciò che poi avveniva sotto al palco, almeno per un po’.
Bobby e DD capirono che si erano giocati in un colpo solo l’intera credibilità con I Hear Black e che non sarebbe stato facile recuperare tornando sui vecchi passi, semplicemente perché, a metà anni 90, fare di nuovo il vecchio thrash probabilmente era anche peggio. La soluzione poteva essere buttarsi sul genere dei Machine Head e dei Pantera?
Nah.
Quando W.F.O. uscì non interessò a nessuno. I giornali specializzati lo trattarono alla stregua di una riedizioni di vecchie b-sides e rimasugli nel cassetto. In effetti quel disco sapeva di vecchio ma in un modo che non andava bene, non come oggi, che tutto è vintage, e non vetusto. Nel 1994, il concetto di disco “old school” non esisteva ancora. Se sapevi di vecchio eri semplicemente vecchio, fuori dal tempo, andato e destinato al suicidio commerciale.
Ovviamente gli Overkill sono ancora tra noi. Dopo W.F.O. si contano tredici dischi realizzati, escludendo EP, live, DVD e cose varie. Io però mi fermo qui. Magari un’altra volta scriverò degli anni 1996-2026, chissà. Ora non mi tira molto farlo.