Messiah Of Evil – Consumismo cosmico tra Lovecraft e Antonioni – Un’analisi dettagliata di un grande horror misconosciuto!

Allora, se mi chiedessero i dieci film che porterei su un’isola deserta, io risponderei che preferirei portarmi una bella scorta di antidolorifici, psicofarmaci, i libri di Krishnamurti e Tolstoj e un cassone di vecchi fumetti porno, su un’isola deseerta, ma se non ci fosse appello e potessi scegliere solo dieci film, uno di questi sarebbe Messiah Of Evil, noto (si fa per dire) in Italia con il titolo, giudicato da qualcuno fin troppo sbrigativo di: Il messia del diavolo.

Ora, non cercherò di spiegare come mai questo film mi piaccia così tanto. So che non riuscirei a farvi capire le mie ragioni, vi annoierei con una serie di scemenze autobiografiche. Quello che farò sarà provare a farvi entrare in Messiah Of Evil e magari convincervi a guardarlo, se non l’avete fatto.

E se l’aveste fatto, il mio sogno sarebbe spingervi a guardarlo ancora.

Perché?

Beh, perché no?

Messiah Of Evil è un film di Willard Huyck e Gloria Katz.

Willard Huyck e Gloria Katz
Uno dei tre è George Lucas

In realtà il regista è solo lui e la sceneggiatura, tecnicamente la scrisse da solo, ma i due hanno sempre rivendicato alla pari ogni cosa che hanno fatto. Lavoravano in tandem (Gloria è morta qualche anno fa) e se ne non avete mai sentito parlare e non vi tira il culo di andare su vattelapedia, allora faccio presto a dirvi io ciò che vi servirebbe sapere.

Willard Huyck e Gloria Katz, se avete una quarantina d’anni, avete visto qualcosa scritto, prodotto o diretto da loro. Per cominciare American Graffiti di George Lucas (sceneggiatura); poi c’è Indiana Jones e il tempio maledetto (sceneggiatura); Howard e il destino del mondo (sceneggiatura, produzione e regia). Sono anche gli autori dei dialoghi del primo capitolo di Guerre stellari (non accreditati) e per poco non hanno affossato la carriera cinematografica di Eddie Murphy scritturandolo “strategicamente” nel flop assoluto La miglior difesa è… la fuga (dirty pleasure for me).

La carriera di Huyck e Katz è altamente professionale, non c’è che dire, ma il primo film che hanno realizzato per intero, curandoneogni aspetto è Messiah Of Evil e lo idearono, girarono e a stento lo conclusero, al tempo in cui erano appena usciti dalla scuola di cinematografia.

Lucas gli comunicò, sempre in quel periodo, che voleva fare un film con la loro sceneggiatura di American Graffiti. Nel mentre un certo amico produttore gli fece sapere che avrebbero potuto girare subito un film tutto loro, a patto che si trattasse di un horror a basso budget.

Esordire con un horror a basso budget era una cosa fica all’inizio degli anni 70. C’erano esempi illustrissimi di gente molto in gamba, futuri autori di successo che avevano iniziato in quel modo. Francis Ford Coppola con Terrore alla tredicesima ora (1963); Peter Bogdanovich con Targets (1968)… e altri avrebbero continuato questa tradizione, per esempio Oliver Stone nel 1974 con Seizure.

Non parliamo di George Romero e La notte dei morti viventi per due ragioni: il film fu un successo ma ci vollero molti anni agli studiosi di cinema per arrivare a prenderlo sul serio; inoltre gli esempi di Coppola e Bogdanovich, ribaditi da Huyck e Katz sono significativi perché si trattava di gente che sfruttò l’horror e poi prese strade più verso il mainstream, ed è ciò che interessava a quei due.

Fecero un film a basso budget (un milione di dollari) e attinsero alle loro conoscenze e passioni giovanili in ambiti paurosi, ma non erano certo intenzionati a mettere radici in quel genere di cinematografia.

Messiah Of Evil è un film molto artistico, una cosa d’autore, sapete? Di quelle che piacciono ai critici e deludono il tipo di pubblico convinto che ci sia un nesso indiscutibile tra film e l’alimentazione spazzatura. È il genere di opera che istigherebbe una lettura poetica, estetica, magari indagando anche nei lavori successivi di Huyck/Katz. Peccato che dopo i due se ne siano bellamente sbattuti di queste cose intellettuali e abbiano cercato di fare soldi con l’industria; riuscendoci anche bene in alcuni momenti e sperperandone di brutto in altri.

Ma su questo torneremo.

Messiah Of Evil è un film unico. Ma non per i miei gusti. Lo è nella lunga filmografia dei suoi due creatori. Tutto ciò che i due realizzeranno dopo sarà diverso, scollegato dalle atmosfere e le scelte espressive di questo titolo. E devo ammettere che senza Messiah Of Evil non me ne fregherebbe quasi nulla di Huyck e Katz (non sono un fan di Lucas, Indiana e Guerre Stellari); se non per Howard, The Duck (altro dirty pleasure, di cui quasi certamente scriverò in futuro).

Insomma Willard Huyck e Gloria Karz dissero di sì all’amico produttore. Tanto è un horror, che ci vuole? Loro avevano studiato il cinema d’autore, quello artistico degli europei come Antonioni e Godard, erano attenti alla modern art visiva di Andy Warhol e altra gente che non avrete mai sentito nominare prima tipo Ed Kienholtz, Ed Ruscha. Nulla di male, neanche io sapevo chi fossero prima di approfondire un po’.

Però, a cosa ti serve tutta questa bella gente se devi realizzare un horror?

Bella domanda.

Beh, Willard Huyck pensò di dover tornare indietro agli anni della sua prima adolescenza, quando era innamorato dei vecchi horror della Universal. Lui è nato nel 1945, un anno prima di mio padre, e da ragazzino probabilmente si sarà sbafato di doppie visioni pomeridiane a base di Dracula, Frankenstein e I parassiti spaziali. Ma non solo. Verso i dodici, quindici anni, nel periodo ormonale e delle scelte, che poi avrebbe raccontato molto bene in American Graffiti, Huyck leggeva Lovecraft.

Così partì da questo suo background. La cosa meravigliosa che fece, probabilmente incoraggiato dalla moglie produttrice e co-autrice, fu di sposare Dracula, Grandi Antichi e tutte le belle cose di cui avevano lo stomaco pieno dopo anni di scuola cinematografica: quindi Antonioni e Godard.

Ecco perché Messiah Of Evil è un horror molto particolare.

Dentro potete trovarci Lovecraft. Per alcuni è uno dei migliori film ispirati alle opere di HP, alla pari con Il seme della follia di Carpenter e The Resurrected di O’Bannon. Ma attenzione, non sarebbe com’è senza Deserto Rosso di Antonioni

e i rimandi all’opera scultoria di Ed Kienholtz.

Messiah Of Evil comincia con un prologo stuzzicante sul piano della curiosità. In realtà non sarebbe nulla di speciale. Un uomo scappa, inseguito da qualcuno. È sfinito per il tanto correre e cerca un posto dove nascondersi. Intanto una musica melodrammatica tipicamente anni 70 dice: “nessuno mi crede, ne ho parlato in giro ma non c’è anima viva che mi dia retta”.

Hold On To Love, è il titolo del pezzo.

A un certo punto una ragazzina apre una porta e invita l’uomo a entrare. Lui non se lo fa ripetere e si ritrova in un cortile con una piscina. La ragazzetta è lì, seduta, non sembra giudicarlo o pensare qualcosa di particolare. Lui si sdraia in terra, lei si avvicina e lo accarezza. L’uomo le bacia la mano. Lei svelta la ritira, prende un coltello e gli taglia la gola.

Ora, tutto questo è canonico. Un incipit forte che attira l’attenzione. La cosa curiosa è che l’uomo in fuga è interpretato dal futuro regista Walter Hill.

Sapete chi è Walter Hill? I Guerrieri della notte?

Ma non solo. Fu quello che salvò il culo a Eddie Murphy dirigendolo in 48 ore.

Questo incipit però non è niente. Andate avanti.

C’è una donna che parla in fondo a un corridoio. L’immagine è sfocata. Lei si avvicina e parla. Dice questa frase bellissima: “Dicono che gli incubi sono sogni pervertiti”. Poi accenna a un posto, e della gente che ci vive, persone strane, pericolose. Stanno arrivando e nessuno le crede.

Lei è infatti ricoverata, come scopriremo poi, in un istituto psichiatrico. Sostiene di un pericolo imminente per l’umanità, una nuova specie che avanza, come un virus che prenderà la terra.

Stacco netto e ci troviamo insieme a una ragazza che guida, di notte, in una strada di campagna. Si ferma a fare benzina e domanda al benzinaio: “vado bene per Point Dune?”.

Lui che ha appena scaricato un caricatore sano verso dei misteriosi “cani selvatici” sembra contrariato che la ragazza sia diretta proprio lì. Lei spiega che sta andando a trovare un parente; che poi sarebbe il padre, di cui non ha notizie da un po’ ed è preoccupata.

L’uomo insiste che non ha molto senso dirigersi a Point Dune.

A quel punto arriva un furgoncino guidato da un albino nero, gigantesco. Lui scende e chiede due dollari di benzina. Poi se ne sta lì impalato, come un automa.

L’albino maledetto

Il benzinaio appare sempre più nervoso e quando la donna fa per pagarlo, la liquida bruscamente, dicendo che non ha spicci per il resto.

Poco dopo, non vi svelo nulla perché lo immaginate già, il benzinaio farà una brutta fine. Ma ancora qui non c’è niente di davvero speciale. Ci sono due morti, uno è Walter Hill e l’altro il benzinaio. Quando però lei, la protagonista, Arletty è il suo nome (che arguiamo essere poi la matta che parlava di sogni perversi e di gente strana che infetterà il pianeta) arriva alla casa del padre, le cose iniziano a cambiare sul serio e lì vi renderete conto che non è il solito horror vintage col sangue troppo rosso e la colonna sonora elettronica un po’ ossessiva.

LA CASA DEL PADRE

Nella casa del padre, il pittore Joseph Lang, sui muri ci sono dipinte delle persone. Non si tratta di scene particolarmente significative. Sono dei gruppi di persone che guardano verso chi le guarda. Sono ritratte a frotte lungo un marciapiede, accanto a una scala mobile, dietro una finestra. Hanno sguardi vagamente cattivi. Vagamente. Fanno pensare ai soggetti di Edward Hopper

e a quelli di Grant Wood.

Gli autori di queste scenografie così efficaci sono di Joan Mocine e Jack Fisk (che in seguito collaborerà con David Lynch e con Paul Thomas Anderson).

Non è facile dormire in una casa dove in ogni stanza, compreso il bagno alle pareti ci sono ‘sti tipi che ti fissano. Chi li ha dipinti in modo davvero realistico è il padre della protagonista e lei sa che prima non c’erano. In quella casa dove lui e la madre passavano le vacanze e in cui il padre si era poi trasferito, alla morte di lei, ora ci sono quei tizi alle pareti.

Joseph Lang è un pittore affermato. Alcuni suoi quadri sono esposti alla pinacoteca locale. di Point Dune ma non sono in vendita. Lui ora non si sa dove sia finito. C’è però un diario. E nel diario che il pittore ha lasciato, è chiaro da subito che qualcosa non va nella sua testa. O meglio, Arletty, sua figlia, crede questo.

Il padre dice cose paranoiche, parla di morte, di “loro”. Quanto ne sentiamo parlare oggi di questi “loro”? I nostri amici spesso ne parlano, fateci caso. Specie se si prendono l’argomento green pass o Covid.

Arletty ammette una progressiva confusione mentale riguardo il povero padre e tratta il diario come una prova del suo crescente squilibrio, tutto qui.

Ma noi sappiamo che il diario, i tipi disegnati sui muri e la misteriosa scomparsa dell’uomo, sono perfettamente coerenti con le due morti dei primi minuti: Walter Hill e il benzinaio.

E che l’albino gigantesco e il suo fiorino, sul cui pianale, coperti alla svelta, abbiamo visto delle persone sdraiate che guardavano il cielo senza batter ciglio, ebbene noi sappiamo che anche quello è collegato con il resto.

Qui inizia anche a crescere una colonna sonora che non è stata pensata e voluta da Katz e Huyck, ma aggiunta dai produttori dopo aver tolto il film di mano a “quei due inconcludenti” e avergli dato una chiusa e una confettura sonora.

L’autore è un certo Phillan Bishop, il quale si vide musichiere inconsapevole di uno strano horror, dopo che aveva realizzato quelle partiture elettroniche per se stesso, in un 45 giri da regalare a sua madre e alla fidanzata, probabilmente.

Oggi di fatto, come scrive l’etichetta che ne ha rieditato una tiratura limitatissima: “si tratta di una suite d’avanguardia di musica modulata: strilli, droni e pulsazioni che si avvicendano e confluiscono in un vortice discordante attorno alle bizzarre immagini sullo schermo. Con solo tre film horror a basso budget dei primi anni ’70 al suo attivo, questo rappresenta la prima uscita della musica del misterioso Phillan Bishop”.

Eppure quella musica, insieme alla voce cavernosa di Joseph Lang che legge nella mente della figlia il proprio diario (Royal Dano), e poi lei, Arletty, che si aggira per le stanze piene di gente ai muri, tutto l’insieme diventa presto una specie di marea crescente intorno al cuore degli spettatori.

Non esagero.

LA SPIAGGIA E IL DISCORSO POLITICO DA FARE

Come scrive a riguardo Chris Randle: “Messiah of Evil non fa paura con i mostri… Fa vedere come l’orrore possa invece annettersi a un luogo, costringendoti a passare attraverso stanze familiari e traumatiche insieme”.

La casa del pittore è una ficata. C’è un letto appeso alla parete da quattro corde, senza piedi. Sopra non si trova solo il materasso ma anche un fondo con un vaso di fiori. Arletty dorme lì sopra, cullata appena dall’inerzia del proprio stesso respiro. Fuori si sentono le onde del mare.

Sì perché la casa è sulla spiaggia.

Sulla spiaggia c’è un discorso politico da fare.

Intanto chiariamo una cosa: Point Dune non esiste, ma il posto dove è girato il film è vero e si chiama Point Dume, e si trova a Malibù. Non si tratta di una spiaggia qualsiasi, eh? Su quella stessa distesa di sabbia sono state girate diverse cose molto importanti. Tipo il prologo de Il pianeta delle scimmie

e pure una scena de Il grande Lebowski.

Su quella spiagga, nel 1971-73, l’attrice Marianna Hill che interpreta Arletty, cammina malinconica, chiedendosi che fine abbia fatto il padre. E di notte, mentre lei è in casa, circondata dai ritratti sui muri, con il letto meraviglioso appeso alla parete, fuori, sulla stessa spiaggia, molti degli abitanti di Point Dune, vestiti in modo casuale, non per fare il barbecue o il bagno di mezzanotte, sostano, attorno a dei falò, guardando il mare, come in attesa di qualcosa che stia per uscire dalle onde.

Cosa?

L’arrivo de Messia del titolo, molto probabilmente.

Dico probabilmente ma ve lo spiego dopo, il motivo di questa mia vaghezza.

LOVECRAFT E IL CONSUMISMO COSMICO

Prima torniamo a Lovecraft. C’è chi appena vede il mare e una cittadina costiera fa subito due più due e dice Innsmouth. Qualcuno ha scritto che Messiah Of Evil è “L’ombra su Innsmouth della West Coast”, ma non è esattamente così.

Per certe cose, senza dubbio Huyck ha preso spunto da questo lungo racconto di Lovecraft, soprattutto la struttura narrativa. Il protagonista arriva, parla con un vecchio pazzo, scopre cose, percepisce una minaccia sempre maggiore, un senso di congiura dell’intero villaggio detentore di un segreto e accomunato da un virus mutazionale nato dal flirt con qualche divinità venuta dal mare.

Inoltre nel racconto di Lovecraft il narratore superstite, scopre alla fine di essere imparentato con la gente di Innsmouth. Anche Arletty, essendo figlia del pittore (e il pittore è ormai “uno di loro”) è tecnicamente legata a sangue con la gente di Point Dune.

Il ruolo del vecchio pazzo che rivela cose irriferibili è il rimando più evidente con Innsmouth. Nel racconto si chiama Zadok Allen, 96 anni, ubriacone, socievole a patto che lo si faccia bere. Nel film è Charlie, interpretato dal caratterista illustre Elisha Cook Jr. (Il falcone Maltese, Rosemary’s Baby). Anche lui parla se gli si offre da bere. Andrà via con una bottiglia.

Elisha Cook Jr.

Secondo Kim Newman è un riallaccio alla tradizione gotica, ma secondo me è solo ripreso dalla struttura di Innsmouth e sì, il racconto di Lovecraft ha un’impronta gotica, a livello strutturale, anche se apparentemente modernizzata.

In realtà c’è anche un altro racconto di Lovecraft, meno conosciuto di Innsmouth, ma che Huyck doveva aver presente quando scrisse la sceneggiatura, ed è L’oceano della notte.

Anche lì c’è un personaggio che vive in una casa isolata, sulla spiaggia. Non è un racconto compreso nei miti di Chtulhu. Si tratta di uno di quelli che Lovecraft scrisse per il suo amico, poi morto suicida, Barlow.

A un miglio di distanza c’è un paesino costiero che si chiama Ellston Beach, dove iniziano a succedere cose molto strane. Alcuni bagnanti, buoni nuotatori, scompaiono in acqua. Il protagonista a un certo punto trova un braccio umano sulla riva. Si parla di squali ma è poco probabile. Lui vede una notte degli esseri umanoidi che escono dall’acqua. Non li definisce così ma nel tempo, chi ha scritto a proposito di Oceano della notte, li ha paragonati a dei ghoul. Sapete cosa sono i Ghoul?

Divoratori di cadaveri del folklore arabo. Vivono nei cimiteri e si mangiano le salme.

Messiah Of Evil è stato apparentato furbescamente dai distributori, al primo film di Romero. Non vi dico quanti titoli ammiccanti gli hanno dato per fregare i ragazzini nei Drive-In: al punto che Romero si rivolse a un tribunale per impedire che continuassero a intitolare Messiah come Return Of The Living Dead o The Return Of The Screaming Dead e così via.

La Motion Picture Association of America disse che Romero non aveva i diritti esclusivi sulle due parole Living Dead, ma intimò i produttori di Messiah di smetterla con questi tentativi di far passare il film per un franchise di quel film lì.

Però metterlo insieme ai morti di Romero poteva starci, perché anche nel film di Huyck ci sono gli zombi. È tra i cinque o sei film che sfruttarono la saga di Romero, prima che in effetti lo diventasse nel 1978 con Zombi. Tra gli altri si citano Let’s Scare Jessica To Death (1971), The Return of Count Yorga (1971), Children Shouldn’t Play with Dead Things (19872) e Deathdream/Dead of Night (1972), entrambi di Bob Clark, oltre a The House Of Seven Corpses (sempre del 1974) e Lemora (1975).

Messiah esce nel 1973, ma le riprese vere e proprie risalgono al 1971. Di sicuro poi, rispetto a Jessica e Yorga, nessuno di questi film ha una scena anticipatrice e forse ispiratrice dello Zombi romeriano, vale a dire quella del supermercato.

Solo che qui si tratta più probabilmente di Ghouls, appunto. Mangiano carne cruda al banco della ciccia in vaschetta. Poi si accorgono che c’è una donna nei paraggi, una povera figona sperduta. Mollano gli hamburger e pasteggiano con lei.

Ma c’è qualche altra cosa, a parte i Ghouls che vengono dal mare, ad associare L’oceano della notte e Messiah Of Evil: una sottile critica sociale.

Lovecraft descrive da misantropo anti-balneare qual era, la piccola cittadina di Ellston Beach.

Una folla di stupide marionette appollaiate sulla bocca dell’oceano sconfinato”

Era una giornata di fine settembre e il paese aveva chiuso i locali dove la sciocca frivolezza regnava su vite vuote dominate da paure nascoste e dove burattini imbellettati eseguivano le loro buffonate estive. I burattini erano stati messi da parte, con i loro sorrisi dipinti o le espressioni rimaste aggrottate sulla faccia e non erano rimaste neanche cento persone in paese. E gli edifici ristuccati di fresco, prospicienti la spiaggia, erano stati lasciati nuovamente a sgretolarsi al vento”

Qui subentra il discorso molto affascinante sulla non vita delle località turistiche durante i mesi invernali, ma Point Dume è in inverno, durante il film e nessuno fa caso alla desolazione del posto. È solo una località balneare durante la bassa stagione, ma per la verità, come Innsmouth, c’è molta più gente di quella che si vede in giro di giorno.

L’ORRORE CONTROCULTURALE NELLO SPAZIO FILMICO

In Messiah più di un analista ha scorto una critica alla società edonistica della contro-cultura. C’è una tensione espressa nei luoghi, oltre che i personaggi. Sia nella scelta della spiaggia, definita come un posto anti-consumistico per eccellenza, ed è dove il nuovo Messiah è atteso.

Sia per la brutta fine del trio di strani personaggi che si uniscono ad Arletty durante il soggiorno. Sto parlando del cacciatore di leggende Thom e le sue due squinzie.

La prima è la bellona che finirà pasto nel supermercato. L’altra è la ninfetta (come la definisce Kim Newman) che diventerà pasto anche lei nella scena del cinema.

I critici hanno rilevato nel vortice ispiratore la presenza di Charles Manson e i relativamente recenti al film, fattacci di Cielo Drive: riallacciandosi al Messia del titolo, e il carismatico Thom (interpretato dal gayo Michael Greer) con le sue ancelle (rispettivamente Toni (Joy Bang) e Laura (Anitra Ford). Lui rimanda molto al carisma “haremistico” dell’Helter Skelter.

Il personaggio di Thom non si capisce bene da dove arrivi e tanto meno dove finisca. Sì, perché a tratti, verso la fine, potrebbe essere proprio lui il Messia del titolo. Non si sa bene, e questo perché Huyck e Katz non riuscirono a terminare il film. Non ebbero il tempo di girare una conclusione che desse le risposte a tutta la faccenda. I produttori si presero le pizze e fecero a modo loro.

UN FINALE SENZA FONDO

Secondo qualcuno è meglio così. L’assenza di una conclusione vera e propria permette allo spettatore di farsi “i propri film” e di sicuro qualsiasi chiusa difficilmente, secondo me, sarebbe stata all’altezza delle aspettative.

C’è una potenza in Messiah Of Evil che va oltre le effettive competenze e consapevolezze dei due autori. Al punto che dopo tanti anni, quando con internet, il film recuperò spettatori (e nel 2009 uscì in DVD) e si appropriò di una fama tardiva e meritatissima, gli autori quasi non se ne capacitarono.

Il film uscì per la prima volta nel 1973, e mai in VHS. Non credo sia mai stato trasmesso in TV da Italia 1. La prima volta che ne ho letto fu nella seconda Guida al cinema Splatter di Gian Luca e Giancarlo Castoldi, i quali lo definiscono prima un horror intellettuale e poi uno dei migliori degli anni 70, “angosciante e agorafobico, aiuta a capire come le certezze possano crollare in un attimo”

I rimandi ad Antonioni, per l’uso degli spazi e dei colori, richiama come detto a Deserto rosso, secondo me la cosa più vicina a un horror che abbia mai realizzato il regista de L’Eclisse. Basti pensare alla frase conclusiva della protagonista al personaggio di Corrado Zeller (Richard Cavallo Harris): “la realtà nasconde qualcosa di orribile ma nessuno vuol dirmi cos’è”.

Molto Lovecraftiano, non vi pare? Ma è Antonioni. È il primo film a colori del regista italiano, quindi l’uso dei toni accesi che ricongiungono a quello nel titolo, il rosso, anticipano i cromatismi densi di Suspiria, e sono, secondo qualcuno che ne capisce più di me, associabili al discorso molto interessante della cosiddetta cromofobia: “la paura della corruzione e della contaminazione attraverso il colore”.

Se vi interessa approfondire questo aspetto vi consiglio un articolo molto bello su Messiah Of Evil, che ho trovato qui, http://www.johntrafton.com/messiah-of-evil dove si parla anche delle città di Los Angeles al cinema, di Ed Ruscha e molto altro.

Per concludere, non ci dimentichiamo di Godard e la Nouvelle Vogue. Gloria Katz ha detto che l’escamotage del diario (e qui ce ne sono ben due: quello del padre e poi della figlia che racconta di come ha tentato di trovare e salvare il padre) provengono dal cinema francese “des auteurs”. Per quanto un horror alla Messiah Of Evil potevano girarlo Truffaut o Rivette, è Godard che viene citato nella scena finale, con il pittore che si dipinge il viso di blu alla Belmondo in Pierrout Le Fou). Un giorno poi parleremo della totale psicopatia della violenza godardiana.