Basta Lovecraft e Crowley – Il metal deve ispirarsi ad altro!

Questo mio pezzo prende spunto da un commento di un lettore/collaboratore, Emanuele Nappo Garzi, riferito all’articolo Metallo troppo metallo. Lui dice che il metal ha tentato ormai ogni sorta di contaminazione con altri generi rock e pop, quindi non ci possiamo lamentare e nemmeno pretendere che si vada ancora oltre.

Ora, io non so bene perché Emanuele mi abbia detto questo. Forse perché ho sostenuto che il genere debba rivolgersi verso il mondo fuori, invece del proprio asfittico paesino truista, procurandosi così un’ispirazione di tipo antropofagico. Io però non intendevo dire che ci dovrebbero essere dei tentativi tra il black metal e la trap (pare ce ne siano, invece) o tra il metal e la dance ucraina.

Sono convinto che il genere dovrebbe cercare ispirazione verso nuovi contenuti e non verso altri generi musicali.

Ora direte: al pubblico non gliene frega un cazzo se un pezzo parla di Conan o di Napoleone. Va bene, ma il problema non è il pubblico. Il problema sono le band. Solo loro riusciranno a salvare il metal dal rancidume ridanciano in cui è piombato.

Se un gruppo decide di fare un concept su Alle montagne della follia di Lovecraft, che a quanto pare è il meno letto e più citato dei suoi romanzi, molto probabilmente sarà un gruppo stoner-doom che mescolerà ritmiche sabbathiane a qualche sperimentazione space-rock alla Hawkwind.

Sarebbe fico, no? Ma non andrebbe molto lontano, un disco del genere.

Se invece una band metal decidesse di fare un album sulle opere di Otto Dix, probabilmente non avrebbe grandi appigli a cui aggrapparsi per direzionare il tipo di riff o di melodie. Dovrebbe tentare nuovi ponti di suggestionabilità tra musica e tema scelto.

Vi faccio un esempio più specifico. I Manowar si ispirarono a Conan il barbaro e a tutta la schiera di film epici hollywoodiani di fine ’70, inizio 80. Scegliendo quella direzione tematica e scenica, la musica del gruppo dovette adeguarsi. Vero che nel primo album ci sono ancora retaggi anni 70 (Death Tone, Metal Daze) ma Battle Hymn e Dark Avenger furono dei tentativi di tradurre in musica determinate immaginazioni letterarie e cinematografiche precise.

Quando arrivarono i Cirith Ungol, invece di prendere a modello il Cimmero di Howard/Milius, guardarono ai romanzi di Moorcock, offrendo una versione più intrigante e complessa di epic metal music. Se la band avesse optato ancora una volta per Conan, avremmo avuto brani più maestosi e violenti, ma non tanto dissimili dalle cose dei Manowar.

Inizio a farmi capire?

Oggi tantissime band sapete cosa fanno?

a) scelgono di muoversi entro determinati sottogeneri già cristallizzati, riducendo moltissimo le possibilità espressive, già minime.

b) adottano quelle quattro o cinque tematiche esplorate e sfruttate all’inverosimile dal sottogenere stesso in cui si inculano.

Se faranno doom, parleranno di disperazione, depressione, droghe e apocalisse. Se sceglieranno il black, allora dai col satanismo, l’occultismo, il nazi-gonzismo o magari l’ultimo grido nel giro esoterico: il paganesimo folk neo-matriarcale con le corna da cervo.

Se faranno power useranno la fantascienza e il fantasy gentile. Se si decideranno per il death allora ecco Lovecraft o il sado-splatter.

La musica è sempre stata la rappresentazione di qualcosa. I Cannibal Corpse tentarono di rifare con gli strumenti il genere di rumori percepibili durante un massacro. Gli Iron Maiden cercano ancora di pompare nei cuori dei metallari l’impeto di antichi eserciti in marcia.

Che fossero visioni, trasposizioni di saghe epiche o idee politiche, ogni musicista in passato ha cercato delle melodie, suoni e combinazioni ritmiche in grado di esaltare e spingere il pubblico a “sentire” e “vedere” quei contenuti.

Appena spingiamo play la mente costruisce immagini, scene di film, ricordi. Adoriamo la musica che può affiancare la nostra esistenza, come fosse la colonna sonora del film che stiamo interpretando; un film in cui si muore davvero, a un certo punto.

Oggi non si prendono più strade nuove con la scusa che tutto è stato già esplorato, ma se il metal scegliesse nuovi temi e attingesse a fonti culturali alternative a quelle sei in croce che sfrutta da 40 anni, probabilmente anche le note, per commentare queste nuove lande artistiche o filosofiche, dovrebbero inerpicarsi lungo nuovi sentieri e gole.

Qualche esempio?

Il black metal potrebbe avvicinarsi ad Albert Camus.

Il doom dovrebbe pigliare una volta per tutte la via del misticismo e dell’ascetismo, raccontando la vita dei martiri o la solitudine dei tiranni.

Il thrash potrebbe piantarla con il nucleare e la violenza domestica, con la guerra e la corruzione dei potenti e magari usare la propria irruenza per descrivere l’iter esistenziale di un virus nel corpo di una bambina.

L’epic metal e il power che diventerebbero se all’improvviso rinunciassero alle dimensioni spazio-temporale della storia violenta o delle stelle e ci raccontassero la vita di una pornodiva con l’Aids? Non sono generi adatti? Guardate che anche la mia vita di netturbino ha momenti epici e necessiterebbe proprio di quella fierezza ferrigna e istero-lalìa per affrontare una nuova giornata di immondizie da raccogliere e spalare.

E invece no, facciamo ancora un disco sulla caccia alle streghe con i motivetti medievaleggianti, uno sui grandi antichi con le chitarre sature in SI, uno su Re Artù con le cavalcate e le armonie in controcanto e uno sulla vita dell’ennesimo serial killer con la doppia-cassa e la voce lacerata che urla “I Can’t Stop, I Must Doeeeeeet”.

Gli Slayer in Dead Skin Mask dovettero vedersela con la mente e le scelleratezze di Ed Gein. Avrebbero potuto scrivere musicalmente un’altra Necrophiliac, ma hanno preferito addentrarsi nel cuore di un mostro e portarsi dietro il pubblico. Ecco perché quel riff sinistro in crescendo e quel finale circolare con la voce di una ragazza che implora pietà. Ora l’ennesimo gruppastro thrash farebbe le stesse cose e dubito che otterrebbe, musicalmente, risultati diversi.