Cat Sick Blues di Dave Jackson
C’è chi lo trova uno slasher davvero originale ma io sarei propenso a non infilarlo in quel cestone degli anni 80. Il cinema maschera e coltello è davvero troppo ripetitivo e scadente per Cat Sick Blues e inoltre è morto quanto il thrash metal, campa di rivisitazioni e retro-game. Penso sia più corretto dire che ne riprende alcune componenti e le infila in una lavatrice tra il grottesco e il surreale spinto.
Il protagonista si chiama Ted (Matthew C. Vaughan) e quando gli si prende il matto indossa una maschera da gatto, con guantoni da gatto/Krueger e un maglione un paio di misure più corto del suo flaccido fisico a pera. Se ne va in giro a uccidere, come potrete immaginare. Ah, indossa pure un grosso pene finto, con delle schegge laterali sull’asta… non è facile da descrivere, faccio prima a mostrarvelo, se lo trovo sul web.

Ted non è semplicemente un malato che uccide le donne, però. Anche, certo, ma ha pure un disegno stregonesco che motiva le sue odiose gesta. Quale? Potrete scoprirlo solo tenendo duro fino alla fine del film. Cat Sick Blues non è un horror spaventoso e per molti versi non è nemmeno un horror. Potremmo definirlo un film d’autore, in stile Bad Boy Buddy (che Jackson cita come influenza e io vi consiglio di recuperare), ma non vi darà chissà quali spunti di riflessione sull’eternità e sulle relazioni uomo-donna nel primo secolo pandemico. Il film del resto risale al 2015, cinque anni prima della meteora, ma come ogni meteora, correggetemi se sbaglio, fa un luuuungo viaggio nei secoli prima di impattare sul culo di un pianeta distratto.
Lo so che non c’è stata nessuna meteora, ma se ci pensate è una bella metafora del Covid.
Comunque, Cat Sick Blues prende un po’ in giro la smodata passione per i gatti che dilaga sul web e non solo. In ogni casa c’è un gatto. In ogni cortile c’è un cane, solitamente piccolo, che abbaia indiscriminatamente al postino e alla farfalla. Si tratta di una fottuta moda e come ogni moda contiene aspetti di superficiale emulazione e conseguenti incoerenze tra l’acquistare e il gestire. Inoltre il mio vicino ha un cane che mi impedisce di dormire con il suo stupido latrato e ci sono dei maledetti gatti che si piazzano davanti al cancello e lo mandano fuori di testa per delle ore.
Dietro l’amore per i gatti e i cani si nasconde una inquietante solitudine. E quando sento degli essere umani sprezzare i propri simili e lodare i loro piccoli amici umanizzati, io provo un certo disagio. Non è questa la strada per un mondo migliore, gente, secondo me.
Cat Sick Blues (mi sono rotto di metterlo in corsivo) parla di un uomo che ama così tanto il proprio gatto da non poterne accettare la morte. Quindi parla di morte, solitudine e conseguenti sublimazioni pornofiliache e slasheristiche.
Parla anche di una donna, Laura (Meg Spencer) che ha guadagnato per molto tempo da vivere filmando la propria micia (nel senso buono) e postando video sul web. Questo fino al giorno in cui un pazzo, trovando in rete il suo indirizzo di casa, non la raggiunge, ammazza la gatta, che si chiama Imelda, e stupra lei.
Su Meg Spencer devo dire che riesce a essere sexy anche interpretando per novanta minuti una donna in fase ovulare. Veste in tuta, non è truccata e sospira tutto il tempo, ma è pazzesca, almeno a detta dei miei ormoni.
Lo stupro è registrato per sbaglio e sempre per sbaglio finisce sul web, diventando infallibilmente virale. La cosa produce effetti peggiori sulla povera Laura, introducendo nella sua vita, distrutta dopo la morte della sua adorata Imelda e la violenza subita, Ted il gatto, che da buon serial killer è in un certo senso un artista e necessita di una musa ispiratrice da preservare in seno alla propria missione uccisoria.
Questo film è uno schifo, vi avverto. Uno schifo tecnicamente girato molto bene e che non teme di essere disgustoso e respingente, come un album degli EyeHateGod.
Vi metterete seduti con il pop-corn e la cedrata a guardarlo con la vostra ragazza ma dopo circa dieci minuti lei inizierà a brontolare che si tratta di una schifezza senza cervello e che non l’amate abbastanza se pensate di farle sorbire una merda così idiota di film (storia vera).
Il bello è che voi la ignorerete e continuerete a guardare, per la semplice ragione che vorrete capire dove e come riesca a tirare avanti per novanta minuti circa una cosa del genere.
Personalmente non amo i gatti. Ne ho una certa paura e li trovo anche abbastanza ripugnanti. Sotto il pelo sento quelle ossicine…, so che hanno il pelo intriso della propria bava e appena possono si infilano in un cassonetto. Non ho nulla contro di loro, ma la penso così, quindi provo una certa comprensione per la visione sardonica e “sclerata” sul mondo degli “amici dei felini” di questo film. Sono convinto che anche lo sceneggiatore, Andrew Gallacher, sia vicino al mio sentire verso i mici e voglia dirci una cosa sola: inutile che viriate verso le cose pelose per sfuggire al dolore che vi procurano i vostri simili. Vivrete dei lutti anche peggiori e probabilmente non ne uscirete vivi, comunque.
Il regista Dave Jackson non saprei come consideri gli animali. Da regista parla soprattutto di girare un film come una roba davvero troppo stressante e faticosa per ripeterla un’altra volta. Ma, sapete, è come il tipo che si fa un tatuaggio e si lagna del dolore provato. Dopo un po’ se ne fa un altro e poi un altro ancora. Purtroppo, a parte un corto intitolato Gacha, Gacha (2018) girato in Giappone e che non ho visto, Jackson non ha più diretto nulla ed è un peccato perché abbiamo bisogno di maestri destabilizzatori come lui nel grande retro-mondo del cinemascopo consolatorio.
Cat Sick Blues è fastidioso come l’odore di una vecchia piscia di gatto in un vicolo, ma è anche evocativo quanto la stessa. Quando entro in un vicolo e sento l’odore di pipì felina, torno agli anni infantili passati a giocare a nascondino a Barbarano, tirando calci a un pallone contro i muri di tufo, leggendo Topolino e masturbandomi la notte con le calze rubate dal cassetto di mia nonna. Ehm… Comunque!
In Cat Sick Blues c’è l’origine malsana e pornofila dei vecchi slasher bacchettoni americani, sì, Inoltre ha un gusto erotico per la messa in scena degli omicidi che deriva senza dubbio dall’Italia e dal Giappone. Ted ammazza tutte queste ragazze carine come se le scopasse e per quanto il film abbia uno sviluppo quasi fantastico e decisamente onirico, potrebbe essere la biografia più fedele del famigerato Ted Bundy.
Già, Ted Bundy. I piani più alti del mainstream ci stanno vendendo da un po’ film come No Man Of God ed Extremely Wicked eccetera eccetera, lavori di sicuro molto ben fatti ma fin troppo “puliti” e rassicuranti rispetto al vissuto che vogliono raccontare di quest’uomo traviato dalle riviste pornografiche e dall’American Way Of Life. Nemmeno i documentari di Netflix esprimono davvero l’essenza immonda di quel gran pezzo di Imelda inarrestabile che è stato Ted “sorriso” Bundy Boy. Per me andrebbe studiato a scuola. Dietro la politica assassina d’occidente, tra il neoliberismo cannibale e l’amore carnivoro dei social, c’è il faccione vacuo di quell’esemplare, assai più vicino a noi di quanto ci piaccia pensare.
Per concludere su Cat Sick Blues, una minzione alla colonna sonora di Matthew Revert, a metà tra il Carpenter anni 80 e il grindcore mestruale, il synthpop caramelloso e la psycho-delia millenniale. Se questo film esprime tra l’altro un certo senso di incombente fatalità alla Signore del male è merito suo.