Ancora una volta il nome non mi viene incontro. Yoth Iria. ora lo scrivo e lo rammento con una certa facilità, ma ho dovuto esercitarmi e usare dei trucchi mnemonici che probabilmente, senza un adeguato e costante esercizio, questo nome tornerà presto nel culo dell’oblio. Yoth mi fa pensare a Youth, giovinezza, mentre Iria lo associo all’Ira, la rabbia nella mia lingua, o al limite l’organizzazione indipendentista Irlandese. “Gioventù terrorista” oppure “Giovinezza arrabbiata”. Poi vado a cercare il vero significato di queste due parole e ovviamente è tutta un’altra storia.
Me le spiega il progenitore del progetto… perché ovviamente questa non è una band di un certo numero di musicisti, che si vedono alle prove in una cantina, sudano, lottano, se le danno, concepiscono nel dolore, nel sogno e nella disperazione un pugno di canzoni che faticosamente riescono a incidere. Niente di tutto questo. Mi piacerebbe che fosse così, per ragioni che poi magari vedremo, ma la realtà è che si tratta di un progetto tranquillo e domestico.
Oggi nel metal ci sono più progetti che band e la cosa non mi piace, ma al tempo ne parlammo e al tempo ne riparleremo. Ora diciamo che Yoth Iria è un progetto di un signore di 50 anni che all’anagrafe si chiama Jim Patsouris ma che nel giro black metal greco è meglio noto come Mutilator.
Spiegone di cos’è Yoth Iria:
Yoth Iria sono i raggi che Lucifero ha inviato sulla terra per scaldare le anime degli uomini e sostenere con coraggio e forza le persone semplici contro la tirannia e la menzogna. Sai che questa è la vera storia, Lucifero e i suoi demoni sono i veri amici e compagni per l’umanità e quelli che si prendono cura dell’equilibrio universale.
Ehm, veramente io sapevo un’altra faccenda. Ma non mi sorprendo, in Grecia va molto questo satanismo “buono”, “affratellante” e basato su una versione davvero “calorosa” di Lucifero amico degli uomini e ingiustamente adombrato e condannato dalle tiranniche religioni organizzate a cui va risposto: “non serviam, porcodio!”.
I testi degli Yoth Iria, per quanto parlino di dei antichi ed esprimano un senso di rivalsa dal buio, in fondo non dicono mai cose offensive verso qualcuno. Sono più che altro decorativi di una certa mistica luciferina. E per carità, va bene così. Del resto Jim, a vederlo oggi sembra un professore di sostegno, non trasmette alcun senso di minaccia o pericolo, e anche nelle vecchie foto dei Rotting Christ era sì capellone ma tutto sommato un ragazzo pulito, uno come Carlo Masoni, senza tagli sulle braccia, niente lingua di fuori la fedina penale sozza. Certo, farsi chiamare “il mutilatore”… ma si sa, è roba da ragazzi in cerca di un’identità nel mondo, mentre gli ormoni spingono, spingono!
Jim Mutilator ha fondato i Rotting Christ nel lontano 1984, quindi non è un bighellone qualsiasi. Ha suonato anche con un altro gruppo, si dice fondamentale del giro greco blackettone, vale a dire Varathron, che non conosco ma approfondirò presto. Già, non li conosco. Ed è un bene. Se sono fondamentali lasciatemi ancora qualche cosa di fondamentale con cui deliziarmi, no?
Insomma, Jim Mutilator è una specie di istituzione vivente nella Grecia metallara, quindi non si discute. Per me però è soprattutto un uomo di cinquant’anni che, dopo aver mollato progressivamente la scena come musicista, si è riciclato a fare il negoziante di dischi ad Atene, dando l’avvio a un tumulto incessante nella propria coscienza. Nel suo PC c’erano infatti delle canzoni abbozzate e che sprofondavano sempre più nel tempo e nel rimpianto.
Un giorno Jim si decide e chiama alcuni amici. Un altro signore di cinquant’anni circa, George Zacharopoulos, noto nell’ambiente nero e zolfo come “Il Mago”, il quale molto professionalmente si impara i pezzi in un paio di giorni, va in Studio e li canta benissimo. Un altro amico, George Emmanuel, chitarrista dei Lucifer’s Child (anche questi mai coperti) e gestore del Pentagram Studio, produce l’EP e il disco, suonandoci pure sopra ma non accettando la proposta di concretizzare gli Yoth Iria in una vera line-up post Covid che lo coinvolga direttamete. Troppi impegni con lo studio, evidentemente.
Infatti il problema è questo, ormai. La gente non può dedicare la vita a un gruppo. Un gruppo è come una famiglia e una relazione amorosa insieme. Una cosa davvero ambigua, per certi versi. Richiede tempo, dedizione, soldi, energie altissime. Se hai quindici anni, puoi portare avanti una soma del genere. Se ne hai 30 e il gruppo va avanti da quindici anni, pure. Ma cominciare a cinquanta sarebbe una cosa fuori di testa. Molto meglio prendere delle canzoni, metterle tutte carine sul PC, andare in uno studio e farsi aiutare da un paio di amici esperti. Poi ci sarà un ragazzo di talento che disegnerà la copertina, un’etichetta più o meno indipendente che pubblicherà e distribuirà il disco e tutti contenti.
E l’album, eccolo. Si intitola As the Flame Withers, che ha un significato piuttosto coerente con il vissuto da cui è fuoriuscito, vale a dire: “Mentre la fiamma appassisce”. Mentre si sta spegnendo il fuoco, Jim e il Mago scavallano i cinquanta con questa lettera d’amore all’heavy metal. Bello, no?
E devo ammetterlo, il disco non inventa nulla, sta ben piantonato in un compendio calcificato di suoni, riff, temi da accademia della crusca heavy metal, ma li combina in modo piuttosto efficace. Fa rivivere le parti di cadavere del dottor Frankenstein. The Great Hunter, per esempio, in apertura, ha questo fraseggio discreto ma prevedibile, però quando giunge al ritornello e Il Mago ruggisce “The Great Hunter in the sky/Roaming the fields of Ares” non so voi ma io inizio a sentire i primi squarci di piacere sul mio vecchio cuore viziato.
Poi c’è il tiro basso di Unborn, Undead, Eternal, che vola come un rapace in caccia e una volta imbeccato il sorcio sale verso il sole ed esplode in una pioggia di penne e budella con una melodia che è una versione metallica degli A Perfect Circle. Sì, lo so, molti non accetteranno mai un paragone simile, ma dietro quel giro di chitarra c’è la poetica spirituale di Billy Howerdel, che vi piaccia o no.
Del resto Jim ha dato fondo agli omaggi delle sue band preferite ma non ha fatto i conti con le influenze involontarie, che ti si infilano nel flusso creativo e talvolta ti fanno scherzi inverecondi, magari con un ammicco indecente alla Raffaella Carrà di Rumore nel mezzo di una tempesta di blast-beat e ulcere duodenali sulla quarta corda del budello canoro.
As The Flame Whiters sa come si porta a casa la pagnotta, ma è un disco che pur trattando temi oscuri e berciando e menando per quasi cinquanta minuti in ambienti freddi e infidi, non turba mai davvero l’animo dell’ascoltatore. Vi si trovano diversi appigli per tirarsi su di morale e affrontare le nebbie mattutine quando si va a lavorare in fabbrica, ma se uno pensa a che ruolo possa avere nel mondo tra vent’anni, è difficile trovare una risposta.
Bellino sì ma non schioda dalla fottuta comfort zone. Come un grido ribelle in una tana di punk, non in una chiesa. C’è tutta la pasciuta melensaggine esoterica e creativa di gente ormai adagiata nel mezzo della selva oscura con larghissimo anticipo. Ora però i cinquanta sono veri ed ecco che si aprono le porte degli inferi. Ma Jim è così tanto che gironzola nei paraggi dello Stige da attraversarlo quasi con uno sbadiglio.