Non c’è niente da fare. Con gli anni ti convinci di poter prevedere chi farà un gran bel disco e poi lo ritrovi dove meno ti aspetteresti. Non avrei mai pensato che gli In Mourning, band melodeath svedesotta tutta casa, famiglia, lavoro e sala prove, potesse realizzare uno dei più bei lavori metal del 2021. Ovviamente la mia sparata è relativa alla quantità modesta di album nuovi ascoltati, sia chiaro.
Insomma, gli In Mourning sono al sesto album. Se non li conoscete è colpa loro, ovviamente. State manzi su questo. Non vi voglio convincere che avete perso qualcosa. Si tratta di un gruppo sfiorito ancora prima di sbocciare.
Anche se le loro prime pubblicazioni ufficiali (i demo) risalgono al 2000, a sentire loro c’erano già da prima. Si dichiarano coevi di Dark Tranquillity, In Flames e Opeth, nientemeno.
A proposito di questi ultimi, ho letto da più parti un insistito paragone. Nello specifico qualcuno ha detto che gli In Mourning fanno le stesse cose degli Opeth, ma di quelli prima della svolta prog-vintage.
Beh, io credo che chi dice questo, abbia sentito solo il penultimo album della band, Gardens Of Storm (2019). Giusto lì infatti ho riconosciuto un debito nei confronti di Mikael Akerfeldt tra il 1998 e il 2005 ed è uno dei motivi per cui, nonostante alcune melodie bellissime, io trovi quello il titolo peggiore di tutta la loro discografia.
Andando invece a ritroso, dagli ambiziosi e conceptari Afterglow e The Weight Of Oceans fino ai primi più estremi Monolith e Shrouded Divide non ho trovato grandi tracce degli Opeth e anzi, credo che la componente gotica abbia sempre portato il loro death su una strada molto più personale, anche nelle fasi “proghettone”. Però c’è un fatto indiscutibile per quanto mi riguarda. Se non avessero inciso The Bleeding Veil (titolo per certi versi alla Opeth) non avrei mai scritto una riga sugli In Mourning (anche il nome potrebbe essere un pezzo degli Opeth).
E un’altra cosa. Nonostante The Beelding Veil sia un lavoro stupendo, non basterà a farmi ricordare di loro tra dieci anni.
Vedete, gli In Mourning sono bravissimi, hanno sempre realizzato album di qualità ma abbiate pazienza, gente, ormai quanti cazzo di gruppi ci sono come loro? Decine e decine. I sette e mezzo e gli otto nelle webzines si sprecano. E sono meritati, sia chiaro. Ma il livello alto raggiunto da troppe band, rende quasi noiose le tante uscite impeccabili, tecniche, articolate.
Che due palle, no?
Anche gli In Mourning sono bravissimi e rispetto ad altre band più incistate nella piccola riserva metallara, concedono delle boccate d’aria fuori dal genere. Sono effettivamente di un’altra scuola, quella anni 90, ma non sono abbastanza grandi da realizzare qualcosa che resti. Non sono gli Opeth, appunto e nemmeno i Mastodon o gli At The Gates. Sono soltanto gli In Mourning.
Ma The Bleeding Veil è bellissimo. E se fosse l’album d’esordio di quintetto svervegico di sbarbi con i risvoltini, probabilmente vi farei una testa così a predirvi chissà quale avvenire per loro (vedi gli Unto Others), ma stiamo parlando di un gruppo che ha vent’anni di carriera sul groppo. Gente adulta, con un impiego statale, sobria e che realizzano dischi con l’intento puro e semplice di realizzare altri dischi. Da questa innocua e abitudinaria situazione io non mi aspetto sconvolgimenti, ma del resto non mi sarei nemmeno immaginato un cazzo di lavorone come The Bleeding Veil.
Ora, magari lo sentirete per curiosità e penserete che è una merda. Io posso dirvi giusto che mi piace perché è più essenziale ed eterogeneo dei precedenti album, è asciutto e corposo insieme (ammesso che quello significhi qualcosa). Principalmente il motivo per cui mi scaldo tanto è che le melodie di tutti i brani e diversi riff qui e là, mi si infilano nel bosco arterioso e vi appiccano un incendio emozionale che levati. È un album che parla a me, capite? E forse avrà da dire qualcosa pure a voi.