I Partigiani del metal – Estasi e tormento delle certezze assolute

I grandi filosofo dell’antichità, da Platone a Sant’Agostino, da Socrate a Cartesio, ponevano il concetto di “dubbio” nella conoscenza, sulla vita e sulle cose che la riguardano, come “conditio sine qua non” per potere interpretare correttamente gli eventi e le circostanze legate al pensiero e all’azione. Il dubbio è, secondo Sant’Agostino, un passaggio obbligato per raggiungere la verità. Rifacendosi a Socrate, egli affermava che il dubbio stesso era l’espressione della verità. Non potremmo dubitare se non esistesse una verità in grado di sottrarsi al dubbio. La verità, di conseguenza, non può essere di per sé conosciuta. Può essere raggiunta solo sotto forma di confutazione dell’errore. La prova della sua esistenza risiede nella capacità di dubitare delle false illusioni che oscurano il cammino verso la stessa. Peccato che, almeno per quello che è l’Italia, questa verità filosofica non abbia mai attecchito. Paese della partigianeria, del bianco e nero, comunisti e fascisti, vax e no vax, interisti e milanisti, anche in ambito musicale, settore artistico dove la relatività, il gusto soggettivo, la naturale propensione all’evoluzione, alla rottura degli schemi, dovrebbe essere una componente insita, così come in tutte le altri arti, così non è.

Andando poi nello specifico di un sottogenere quale l’heavy metal, le cose si fanno ancora più difficili. Una stragrande maggioranza di ascoltatori, accetta solo la propria fazione, la propria appartenenza al clan e alla tribù che si carica a molla, ed esclude una verità al di fuori delle capanne del villaggio e al totem personale.

Una tendenza già insita nelle decadi degli anni 80 e 90: glam contro thrash, black contro death, power contro nu metal, che un pochino pareva essersi allentata con la nascita di ibridazioni quali l’industrial metal, il grunge, il symphonic e il gothic metal, ma che oggi, con una regressione spaventosa, ha ritrovato la frantumazione estrema e settoriale dei sottogeneri.

Passata l’ondata dell’evoluzionismo darwiniano, siamo tornati al creazionismo biblico, al vintage, all’auto-plagio, a frasi come “ai miei tempi sì che…”, alla regressione come rifugio sicuro dalle intemperie del dubbio. La nuova “moda” sbocciata sui social come Facebook è la schifosa, squallida e intollerante divisione assoluta di molti “metallari”, che stanno creando due fazioni distinte: “solo anni 80, dopo la merda”, oppure “prima del 2000 solo vecchiume bolso”.

Così la nuova arena dei gladiatori è la creazione di pagine, gruppi, oppure commenti al vetriolo, in cui questi “metal talebans” si schierano, gladio e scudo in mano, per scannarsi dinanzi all’imperatore (l’heavy metal). Se aggiungere qualcosa al preesistente, allargare le vedute, questo modus che è o dovrebbe essere insito nella crescita personale, così non è, per molti.

In soldoni, si resta arroccati a frasi come “il vero metal è morto nell’anno X”, “solo le cose nuove”, oppure “i gruppi recenti copiano e sono derivativi” e minchiate del genere.  Questi slogan riempiono la bocca di tante piccole micro cefalie, rinchiuse in due metri quadrati di stanzetta.

Ecco le nuove guerre virtuali farsi avanti, insulti, minacce, coalizioni, “io e i miei soci”, guelfi e ghibellini di sto gran cazzo. Pare, secondo questi figuri,  che adorare i Crimson Glory o i Blazon Stone, i Jaguar o i Silver Talon, l’uno dovrebbe escludere l’altro. Peccato che, si possa tranquillamente far convivere tante anime dentro di sé, adorare allo stesso modo i Running Wild, i Nestor e i Cure, oppure Bach e i Napalm Death.

Ma i “soci”, seriosi e intransigenti, non ammettono fusioni e strade parallele. Solo spartiacque, decadi e limiti precisi. Per andare avanti, tanti sono tornati indietro. Una regressione, che espandendo la visuale, sta colpendo tutti i settori sociali, almeno in Italia.

Frammentare, sotto-generare, dividere, guardare solo in una direzione, una deriva che non produce nulla di buono. Per ora succede questo, e ritornando al piccolo mondo metallaro italiano, mostra uno spaccato di persone mediamente ottuse e con grandi problemi. Il passato è passato, il futuro è da scrivere, ma oggi cosa c’è ? Ecco, il non vivere il presente è una gravissima sconfitta. Un giorno le librerie piene di CD e vinili crolleranno addosso a chi le aveva erette per sfuggire alla propria mediocrità e soprattutto alla realtà vera del mondo là fuori.